Giorgia Meloni ed Enrico Letta
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I ceti dirigenti italiani, dalle imprese alle università, dalle libere professioni alla sanità, hanno conosciuto i vantaggi di un Paese che stava cambiando e ha goduto dei benefici interni di una nuova credibilità internazionale. Tutto questo porta inevitabilmente a fare confronti e accentua, da un lato, una paura dell’utopismo di sinistra estrema etichettato come comunismo e, dall’altro, quella della demagogia della destra che ha nell’anima populista della Lega e in quella inspiegabilmente neopopulista di Forza Italia i suoi alfieri. I ceti dirigenti non sanno a che santo votarsi perché a loro non va bene né l’uno né l’altro modello bipolare, temono l’influsso paralizzante delle punte estreme vecchie e nuove che intacca contenuti decisivi per il futuro del Paese e restituisce al mondo ingiustamente l’immagine dell’Italia dei vecchi cliché di sempre.
Gli incubi della campagna elettorale 2022
Gli umori fanno vincere o perdere le elezioni politiche. Nel 2018 gli umori erano quelli delle intemerate di Grillo, oggi sono quelli del nuovo moderatismo della destra di Meloni.
C’è, però, un terzo umore, figlio dell’esperienza straordinaria del governo di unità nazionale guidato da Draghi e della sua Italia credibile e efficiente, che attraversa il ceto dirigente di questo Paese e si traduce in un doppio incubo di cui non sa come liberarsi. Il ceto dirigente italiano ha conosciuto i vantaggi di un Paese che stava cambiando e ha goduto dei benefici interni di una nuova credibilità internazionale.
Tutto questo porta inevitabilmente a fare confronti e accentua, da un lato, una paura dell’utopismo di sinistra estrema etichettato come comunismo e, dall’altro, quella della demagogia della destra che ha nell’anima populista della Lega e in quella inspiegabilmente neopopulista di Forza Italia i suoi alfieri.
L’ultima boutade di Berlusconi sull’elezione diretta del Capo dello Stato si colloca in questa direzione. Riflette il tema classico di dare al popolo la scelta, ma non si misura sul tema decisivo di chi governa un Paese che nel nostro caso è il Presidente del Consiglio sorvolando o svilendo la complessità di passare al presidenzialismo americano o alla coabitazione del semipresidenzialismo alla francese. Buttala lì come una boutade in una campagna elettorale in cui nessuno può avere interesse a spaccare preventivamente il Paese, rappresenta purtroppo uno schiaffo imperdonabile a Mattarella che rappresenta al meglio l’unità nazionale e un tipico comportamento populista che desta preoccupazioni di grado elevato.
Campagna elettorale 2022: i ceti dirigenti non sanno a chi votarsi
I ceti dirigenti non sanno a che santo votarsi perché a loro non va bene né l’uno né l’altro modello bipolare, temono l’influsso paralizzante delle punte estreme vecchie e nuove che intacca contenuti decisivi per il futuro del Paese e restituisce al mondo ingiustamente l’immagine dell’Italia dei vecchi cliché di sempre. Il doppio incubo dell’utopismo di sinistra e della demagogia di destra viene percepito a livello di classi dirigenti – è un fatto e farebbero bene a tenerne conto analisti e sondaggisti – ma non sappiamo se a livello di classe popolare questo doppio incubo è percepito o no.
Non sappiamo se la gente coglie o meno la pericolosità di questa tenaglia perché siamo un Paese diseducato. I ceti dirigenti italiani, dalle imprese alle università, dalle libere professioni alla sanità, sono tutti in questa ottica. Restano fuori, benché consapevoli, solo quelli che fanno già parte di una squadra e quindi operano per la loro maglia perché non possono perdere. Faccio l’esempio di Zaia e Bonaccini che da capi delle loro Regioni si muovono su sponde opposte per le stesse ragioni e con le medesime preoccupazioni di fondo.
La preoccupazione dei ceti dirigenti, e la gente cosa pensa?
Chi di questi ceti dirigenti politici, del mondo produttivo e delle forze sociali, non fa parte strutturalmente di una delle due squadre, è preoccupatissimo e si pone incessantemente una domanda: la gente capisce questa cosa, si è accorta di quanto male può fare la tenaglia? Un pubblico diseducato dal talk italiano e che da decenni è stato abituato alle presenze più fantasmagoriche e che in questi decenni di promesse impossibili ha visto che alla fine in un modo o nell’altro è andata sempre superficialmente bene, fa fatica a sintonizzarsi sulla riflessione più consapevole. Ci siamo caricati un debito pazzesco, ma gli effetti non li abbiamo visti e allora pensano che non li vedranno mai. Non è così, ma loro la pensano così.
Campagna elettorale 2022: il peso dell’incertezza
Questa incertezza pesa perché in una democrazia contano i voti e i voti sono tanti e soprattutto uno vale uno. L’economia è sospesa nella attesa di come si sblocca la situazione politica ed è difficile fare economia quando non sai come va a finire. Quando non sai fino in fondo come ti posizionerai in Europa, quando non sai come evolverà la situazione ucraina e quella cinese. Quando ti vengono dubbi sul nostro ruolo e sul nostro posizionamento geopolitico i danni per la nostra economia sono certi. Pensare che bastava cavalcare l’onda favorevole per qualche altro mese e l’insolito primato europeo dell’economia italiana avrebbe blindato i binari su cui fare correre il treno della nuova Italia. Chi andrà a votare si ricordi almeno di chi ha fatto deragliare il treno e gliela faccia pagare.
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