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Carlo Calenda

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L’equivoco di Calenda va sciolto presto perché non può fare solo quello che raccoglie l’insoddisfazione di tutti, ma deve decidere di prendere una posizione chiara di contenuti e di alleanze e muoversi ogni giorno per allargarle. Per unire non per dividere se si vuole rimanere in partita. Allo stesso modo il Pd deve stare molto attento perché non può usare tutta la sua massa di manovra per sistemare le alleanze e deve avere rispetto di chi ha creduto e crede nel suo progetto. Bisogna aprire una fase innovativa che proceda nel solco tracciato da Draghi che risponde ai bisogni delle persone. Non certo quelli della fedeltà alle ideologie degli anni Cinquanta e Sessanta. Non ci crede più nessuno e la mobilità dei voti è velocissima. Si passa dai Cinque stelle alla Meloni soprattutto al Sud, solo per fare un esempio. I partiti devono abbandonare in fretta i vecchi crocchi, altrimenti avranno brutte sorprese

Siamo al punto di rottura elettorale tra massimalismo e riformismo. Che interessa la destra come la sinistra. Perché da una parte come dall’altra ci sono spinte affinché prevalga il massimalismo. Sono spinte che non sono in sintonia con l’umore profondo del Paese. Sono spinte ancorate alla convinzione che il massimalismo nelle sue declinazioni populiste-sovraniste o catastrofiste può incidere sul voto delle persone perché è contagioso, solletica le passioni della gente, ne asseconda e moltiplica la rabbia e le insoddisfazioni, fa scendere tutti in campo secondo i colori della sua tifoseria.

Crediamo che dopo una stagione di governo di unità nazionale che ha portato l’Italia sul podio della crescita europea, facendo molto meglio di Germania, Francia e Usa superando perfino la Cina, che ha totalizzato in un anno e mezzo prima un balzo storico del prodotto interno lordo del 6,6% (2021) e poi nel primo semestre del 2022 un altro +4,6% altrettanto storico sul record dell’anno precedente, dove il potere di acquisto delle famiglie è stato sostenuto senza scostamento di bilancio in misura superiore agli altri grandi Paesi europei e tutte le componenti dell’economia hanno capitalizzato la fiducia e la credibilità legata al ruolo e al prestigio internazionale di Draghi, ebbene in un Paese così che ha vissuto come una ferita la decisione dei partiti populisti di fare cadere il governo dei miracoli non c’è spazio elettorale percorribile attraverso il solito massimalismo per chi ambisce a governare il Paese.

Il rumore, l’odio sociale, la catastrofe, il campionario delle solite promesse questa volta non produrranno voti almeno negli schieramenti di destra e di sinistra centro che ambiscono legittimamente a governare l’Italia. La galassia in dissoluzione dei grillini non fa testo. Diciamoci la verità. La domanda elettorale vera che viene dalle persone di ogni ceto dopo una stagione di riforme strutturali bene avviate accompagnate da misure sociali senza precedenti come reddito di cittadinanza, assegno unico per le famiglie numerose, taglio del cuneo fiscale di 8 miliardi e un altro più consistente che era già in preparazione, 45 miliardi e passa di aiuti contro il caro materie prime, contratti rinnovati, bonus fiscali e incentivi di ogni ordine e grado, decontribuzione e rivalutazione delle indicizzazioni pensionistiche per i ceti più deboli, è proprio quella di proseguire sulla strada delle riforme e stabilizzare la crescita.

Si chiede con forza di trasformare contingenze fortunate in cambiamenti strutturali e perché ciò avvenga occorre poca demagogia e tanta costruzione di una partecipazione consapevole del Paese alla sua rinascita. Perché se il Paese non collabora consapevolmente non si va da nessuna parte.

Mettere all’angolo i profeti di sventura e i cinici professionali che nello storico caos italiano pensano sempre di ritagliarsi dei vantaggi personali è un’esigenza forte, quasi un grido disperato, che si leva dalla società nei confronti di una classe politica che è stata capace di compiere gesti dissolutori che non si erano mai visti. La sortita di Grillo sulla incandidabilità dei Cinque stelle dopo il doppio mandato vuole indebolire Conte e tirargli via il partito, fa parte di quel campionario dell’irrealtà che ha stufato tutti gli italiani che hanno capito con chiarezza due cose.

1) Avevamo un governo e un premier che ci hanno restituito orgoglio e che ci stavano aiutando per davvero in uno dei momenti più difficili della storia contemporanea sul piano politico, economico, internazionale e financo di conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo moderno.

2) Abbiamo davanti uno scenario globale soprattutto per il quarto trimestre dell’anno che fa paura e non vogliamo più improvvisatori al timone. A Grillo frega di rimanere sulla scena perché è un attore non un politico. A lui interessa tenere il centro della scena e ha bisogno di tirare fuori dal suo teatro tutti quelli che sanno che la politica è qualcosa di più complicato del tenere il centro della scena.

L’equivoco di Calenda va sciolto presto perché non può fare solo quello che raccoglie l’insoddisfazione di tutti, ma deve decidere di prendere una posizione chiara di contenuti e di alleanze e muoversi ogni giorno per allargarle. Per unire non per dividere se si vuole rimanere in partita. Allo stesso modo il Pd deve stare molto attento perché non può usare tutta la sua massa di manovra per sistemare le alleanze e deve avere rispetto di chi ha creduto e crede nel suo progetto.

Chi ha legittimamente reciso i rapporti con il suo partito di origine, soprattutto nel caso di Forza Italia, non deve continuare a litigare con i suoi vecchi sodali,macostruire una storia nuova e farlo con il massimo di lucidità e di determinazione. Bisogna aprire una fase innovativa che proceda nel solco tracciato che risponde ai bisogni delle persone. Che non sono quelli della fedeltà alle ideologie degli anni Cinquanta e Sessanta. Non ci crede più nessuno e la mobilità dei voti è velocissima. Si passa dai Cinque stelle alla Meloni soprattutto al Sud, solo per fare un esempio.

I partiti devono abbandonare in fretta i vecchi crocchi, altrimenti avranno brutte sorprese. Il consenso si sposta nella lotta per conquistare i ceti dirigenti e su chi si metterà in squadra nel futuro governo. Deve essere almeno chiaro che se queste elezioni sconvolgono tutto, Draghi viene richiamato in servizio a Palazzo Chigi perché non c’è altra soluzione e potrà considerarsi il vincitore. Perché alla fine sarà colui che si intesta fino in fondo la rinascita dell’Italia.

Non potrebbe mai rientrare in campo per fare l’amministratore di un condominio politico ossessivamente litigioso. Tutto questo, però, che cosa davvero accadrà, fino al 26 settembre, giorno in cui si chiudono le elezioni politiche, non lo saprà mai nessuno.


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