Carlos Tavares, CEO di Stellantis
4 minuti per la letturaNon è più un problema di PSA, ex Fiat Chrysler, oggi Stellantis, o di Renault in arrivo o meno che sia. Non è neppure un problema di casse pubbliche francesi o italiane cui attingere a favore di questa o quella famiglia o Stato azionista. Il problema dell’Europa di oggi è uscire dai nazionalismi e costruire player europei industriali globali nell’auto come nelle energie del futuro in grado di competere a armi pari con la concorrenza sleale cinese. Ancora di più con l’agricoltura va costruito un nuovo sistema integrato dalla terra all’industria fino alla distribuzione senza furori ideologici e investendo sulla qualità.
Non è più un problema di PSA, ex Fiat Chrysler, oggi Stellantis, o di Renault in arrivo o meno che sia. Non è neppure un problema di casse pubbliche francesi o italiane cui attingere a favore di questa o quella famiglia, di questo o quello Stato azionista. Il problema dell’Europa di oggi è uscire dai nazionalismi e costruire player europei industriali globali nell’auto come nelle energie del futuro in grado di competere con la concorrenza sleale cinese. Ancora di più bisogna fare con l’agricoltura costruendo un nuovo sistema integrato che va dalla terra all’industria fino alla distribuzione senza furori ideologici. Bisogna tornare all’indietro e rifare una politica industriale e agricola europee come fu ai tempi del Piano Monnet per il carbone e l’acciaio e per la ristrutturazione del sistema agrario del tempo. Finiamola di farci la guerra e mettiamoci insieme che ne guadagniamo tutti, questo fu lo spirito dell’epoca.
Bisogna anche oggi fare qualcosa di nuovo adatto ai tempi nuovi che stiamo vivendo con lo stesso, identico spirito. Ovviamente tenendo conto di tutto ciò che hanno determinato il nuovo contesto politico, segnato da tre guerre in atto, e la deglobalizzazione che ne è derivata. Bisogna cercare di capire il ruolo della Francia nel contesto dell’auto e, in genere, delle alleanze industriali. Riusciamo come Italia a coordinarci o no con la Francia? Quanto si può continuare con un giorno in cui siamo alleati e un altro in cui ci diamo i calci negli stinchi? C’è evidentemente il problema di un capitalismo privato o con più forte presenza statale nel suo azionariato che ha in entrambi casi sempre molto bussato alle casse pubbliche francese e italiana.
Anche loro bisogna che si diano una regolata agendo stabilmente più di concerto. Questo vale per l’auto, come per le energie del futuro, come per l’acciaio e le telecomunicazioni. Al posto di continuare a litigare bisogna esprimere una forte politica nazionale che costringa l’Europa a intervenire con nuovi player che facciano muro contro la concorrenza sleale cinese e la competizione americana ed evitando di aggiungere il vantaggio dei nostri incentivi europei a quelli che i cinesi hanno legato alla finanza di stato e a un sistema non democratico che può fare con i soldi pubblici quello che vuole con estrema facilità senza nemmeno dovere rendicontare la spesa o certificare a livello internazionale i suoi dati di crescita.
Questo è il punto che viene ancora prima della grande crisi dell’auto, che riguardi i francesi o gli italiani, vecchi o nuovi soci, perché se crolla il mercato dell’auto a favore dei cinesi è tutta l’Europa a pagarne il conto. Noi come Italia siamo già ai margini, ma Germania e Francia qualche riflessione più seria, forse, dovrebbero farla. Quello che è veramente necessario è uscire da una analisi e una prospettiva su temi così vitali per tutti che sia sempre e solo nazionalista. Di questi tempi, certo, e ancora di più se dovesse arrivare Trump che aumenterà l’isolazionismo americano, è obbligatorio agire con una logica industriale europea unica individuando i maggiori player che possiamo esprimere negli ambiti di riferimento.
La deglobalizzazione, ancora di più, dovrebbe spingerci a ricordare che l’Europa è nata sul grande accordo sul carbone e sull’acciaio. La nuova Europa potrebbe nascere da un nuovo grande accodo di politica industriale manifatturiera e da un nuovo grande accordo di politica agricola comune integrata con l’industria alimentare e la distribuzione recuperando competitiva e capacità di produrre cibi di qualità. In fondo, non sarebbe nient’altro che un ritorno all’origine con l’Europa che si sviluppò su due pilastri. Acciaio e carbone all’epoca per potersi confrontare alla pari con gli Stati Uniti, oggi soprattutto per l’auto dovremmo invece vedercela con i cinesi. Poi sempre all’epoca, si attuò una politica agricola che si proponeva di smantellare la frammentazione per modernizzare, meccanizzare e industrializzare il settore. Si fece una rivoluzione pacifica che permise di ridurre un eccesso di presenze in agricoltura senza creare un trauma sociale. Anche qui oggi bisogna fare le stesse cose in modo diverso perché il mondo è cambiato e le ricadute del nuovo contesto geopolitico e le distorsioni interne sono infinite.
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