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Il ministro Loggia prende le distanze dal lavoro svolto dalla Commissione guidata dal professor Sabino Cassese che ha presentato in questi giorni il “Rapporto Finale”
“Desidero farti pervenire il mio dissenso sia sul contenuto del rapporto finale così come formulato ( andrebbe interamente rifatto), sia sulla stessa prosecuzione dei lavori del CLEP, dopo le recenti sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione”.
Cosi Enrico La loggia, già professore dell’Università di Palermo e ministro della Repubblica, prende le distanze dal lavoro svolto dalla Commissione guidata dal prof. Sabino Cassese che ha presentato in questi giorni il “Rapporto Finale”.
Una dichiarazione di dissenso estremamente ferma che si aggiunge al percorso accidentato precedente della Commissione. Infatti molte delle iniziali prestigiose adesioni alla Commissione stessa erano cadute.
NEL COMITATO GUIDATO DA CASSESE IN TRE MESI 4 DIMISSIONI
A tre mesi dalla sua istituzione, il Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, voluto dal ministro Roberto Calderoli come organo di supporto per accompagnare la riforma dell’autonomia differenziata, doveva fare i conti con le dimissioni di quattro componenti. E si trattava di nomi rilevanti: due ex presidenti della Corte costituzionale come Giuliano Amato e Franco Gallo, Franco Bassanini, già Ministro per la Funzione pubblica e gli Affari Regionali, e Alessandro Pajno, che è stato Presidente del Consiglio di Stato. E poi Paola Severino, Anna Finocchiaro, Luciano Violante e Stefano Salvatore Scoca.
Si era percepito fin dall’inizio che la Commissione lavorasse non per individuare in modo asettico i livelli essenziali delle prestazioni quanto per fornire copertura scientifica a delle posizioni precostituite, in modo da procedere con l’ affidamento alle Regioni richiedenti delle materie cosiddette non “lepizzate “.
E lo esplicitavano bene, in una lettera indirizzata a Calderoli e a Sabino Cassese, i quattro che affermavano di essere “costretti a prendere atto che non c’erano più le condizioni” per una loro partecipazione ai lavori.
Ed elencavano le loro motivazioni. Al centro la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep): un passaggio, affermavano che richiede “una valutazione complessiva dei Lep che il Paese è effettivamente in grado di finanziare, valutazione che non può essere fatta materia per materia, perché ci si troverebbe alla fine nella condizione di non potere finanziare i Lep necessari ad assicurare l’esercizio dei diritti civili e sociali nelle materie lasciate per ultime”.
Tale valutazione, sottolineavano i quattro costituzionalisti, “spetta al Parlamento” , come poi ha affermato la Consulta e “il ricorso al criterio della spesa storica peraltro non risolve il problema, perché la spesa storica riflette le disuguaglianze territoriali nel godimento dei diritti fondamentali”.
LA LETTERA INDIRIZZATA A CALDEROLI E CASSESE
Nella lettera di dimissioni firmata da Amato, Bassanini, Gallo e Paino il 26 giugno 2023 i dimissionari avevano già affermato alcuni principi che poi la Corte Costituzionale ha poi ben evidenziato nella sua sentenza.
Dicevano letteralmente: “Restano irrisolti alcuni problemi di fondo. Innanzitutto quelli che derivano da evidente contraddizione del pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni dei livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale quale soglia di spesa costituzionalmente necessaria che costituisce nucleo invalicabile per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente del rapporti finanziari tra lo Stato e le automie regionali e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali e quale condizione per l’attribuzione di ulteriori funzioni”.
I Lep e le risorse effettive del Paese
E continuava “questo comporta inevitabilmente, prima dell’attribuzione di nuove specifici compiti e funzione ad alcune Regioni con le corrispondenti risorse finanziarie, la determinazione di tutti i Lep attinenti all’esercizio dei diritti civili e sociali e la definizione del loro finanziamento, secondo i principi di procedure dell’articolo 119 della Costituzione. É evidente che la determinazione dei LEP richiederà una valutazione complessiva di quelli che il Paese è effettivamente in grado di finanziare, valutazione che non può essere fatta materia per materia, perché ci si troverebbe alla fine nella condizione di non poter finanziare i Lep necessari ad assicurare i delitti civili e sociali nella materia lasciate per ultime.
Il ricorso alla spesa storica peraltro non risolve il problema perché essa riflette disuguaglianze territoriali nel godimento dei diritti fondamentali che si tende a superare. In sostanza la spesa storica rischia di cristallizzare le disuguaglianze che é l’opposto di quanto la Costituzione vuole fare” e chiude “continueremo a sperare che nel corso dei prossimi mesi maturi un ripensamento tale da riportare il percorso di attuazione dell’autonomia regionale differenziata nei binari definiti dalla Costituzione”.
Purtroppo, il ripensamento non c’è stato tanto che il professor Tondi Della Mura dichiarava ieri “lo sono amareggiato e umiliato.”
Cosi come la legge approvata di notte e in fretta il lavoro della Commissione aveva il senso di costruire algoritmi complicati che dovevano giustificare alla fine come lasciare la situazione invariata. É triste che a quest’operazione si siano prestati professionalità di altissimo livello del Paese.
RIPARTIRE PRENDENDO ATTO DELLA REALTA’ ESISTENTE E DELLE RISORSE DISPONIILI
Un percorso che aveva come obiettivo quello di lasciare la spesa storica, così come è ancora adesso, far andare avanti i processi di autonomia in molti settori senza che i livelli essenziali delle prestazioni fossero attuati .
Adesso bisogna ripartire con un percorso che prenda atto della realtà esistente e delle risorse disponibili, che sono tali da non consentire l’eliminazione dei divari nei diritti di cittadinanza esistenti nelle varie parti del Paese.
La via maestra non è quella di consentire ad alcune regioni di andare via da sole, portandosi il “malloppo” della spesa storica, quanto quella di avere come centrale il problema del Paese che é quello di avere sufficiente crescita per consentire di avere risorse adeguate da poter investire anche nel Mezzogiorno, nella scuola invece che nella sanità o ancora nella mobilità. Non vi sono scorciatoie serie nè si distribuiscono pasti gratis ma bisogna adottare procedure e percorsi di grande serietà.Si spera soltanto che l’esperienza acquisita sia di insegnamento.
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