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Riguarda la guerra dopo una lunghissima stagione di pace per noi europei che aveva rimosso dalle teste la stessa parola guerra. Servono un capitale umano all’altezza della complicazione geopolitica e una finanza di lungo periodo che assicurino stabilità e quantità di investimenti tali da consentire all’Europa di cogliere attraverso l’Italia la grande occasione del nuovo Mediterraneo. Bisogna investire in capitale umano come fondamento della democrazia prima ancora della crescita. La posta in palio è la guida di questo mondo che vede capovolgere i suoi equilibri tra Nord e Sud. Per piacere, gli industriali si sveglino ed escano dal loro silenzio assordante come corpo sociale. Che è una cosa ben diversa dai loro primati industriali nei cui confronti dobbiamo solo mostrare riconoscenza.
Mi sono rimaste dentro le parole di Pietro Salini che è un uomo che nella vita di impresa ha costruito molto in Italia e in tutto il mondo. Mi hanno scosso le sue parole nella prima giornata del festival Euromediterraneo dell’economia (Feuromed) a Napoli perché hanno colto un elemento che non appare quasi mai nel dibattito della pubblica opinione italiano in un contesto geopolitico segnato da due guerre e mezza che sono già una guerra mondiale a pezzi, copywriter Papa Francesco, ma che rischiano concretamente di incastrarsi un pezzo dentro l’altro e determinare un nuovo vero e proprio conflitto globale unico. Ecco, Pietro Salini ha detto testualmente: mi ha colpito il silenzio assordante degli industriali. Ha detto proprio così e, mentre lo ascoltavo, pensavo tra me e me: come dargli torto?
Perché in quelle parole c’è profondo rispetto per il mondo produttivo in quanto richiama in modo diretto il valore sociale e civile delle imprese dimenticato e le pone davanti a un tema cruciale per il loro futuro. Siamo dentro un contesto geopolitico globale dove ai carri armati russi in Ucraina si aggiungono la polveriera a cielo aperto dell’Africa e la guerra mediorientale con le insidiosissime ricadute nel mar Rosso e l’attacco sventato dell’Iran a Israele. Siamo dentro un contesto reale complicatissimo ed è per questo che le imprese hanno l’obbligo di pensare in lungo. Hanno bisogno di avere due cose prima di tutto. Un capitale umano all’altezza della complicazione geopolitica attuale e una finanza di lungo periodo che consenta di affrontare la sfida del nuovo mondo con una stabilità e una quantità di investimenti tali da permettere all’Europa di cogliere attraverso l’Italia la grande occasione del nuovo Mediterraneo che unisce Sud e Nord del mondo in una prospettiva di pace e sviluppo.
Con questa premessa in un mondo capovolto che, come hanno testimoniato tutti i rappresentanti dei player energetici presenti ieri a Feuromed, ha nei prezzi e nelle importazioni il suo più grande capitale competitivo proprio al Sud, colpisce la denuncia di Salini sul silenzio assordante degli industriali nei confronti della guerra e dell’imbarbarimento delle relazioni umane dopo una lunghissima stagione di pace per noi europei che aveva rimosso dalle nostre teste non la guerra, ma la stessa parola guerra.
Per questo mi viene di richiamare la responsabilità civile delle imprese che le obbliga oggi a investire in capitale umano come fondamento della democrazia prima ancora che della crescita. In un’epoca in cui la nostra vita è sempre più condizionata da scienza e tecnologia e noi, come Paese, ci ritroviamo paradossalmente condizionati dal fatto che per quarant’anni abbiamo marginalizzato le scuole tecniche e stiamo ora faticosamente ricostruendo questo patrimonio di competenze decisivo per la crescita e la democrazia.
Questo è il senso profondo della sfida sul capitale umano di Feuromed che è nato per porre al centro di tutto la formazione in tempo utile di una classe dirigente euromediterranea senza la quale cade tutto e volendo usare la doppia arma di pace e sviluppo per sventare il rischio capitale del conflitto globale unico.
Non è un problema di opinione pubblica, ma di funzionalità del sistema democratico. Che attribuisce alle imprese e alla classe dirigente tutta la possibilità di perseguire uno scopo sociale. Che è un po’ lo stesso che su basi tecniche solidissime costruisce il sogno del Ponte sullo Stretto di Messina che vale 4 miliardi su 120 di investimenti infrastrutturali e misura la capacità di vincere una grande sfida tecnologica che legittima la leadership di un Paese che vuole essere orgogliosamente democratico e, allo stesso tempo, punto di riferimento del Mediterraneo.
Non ci si può permettere di essere ignoranti se si vuole mettere in campo una voglia di riscatto che abbiamo dimostrato nel Dopoguerra, ma che oggi ha come posta in palio addirittura la guida di questo mondo globalizzato, senza responsabilità, che vede capovolgere i suoi equilibri tra i nord e i sud del mondo. Per piacere, gli industriali si sveglino in fretta ed escano dal loro silenzio assordante come corpo sociale. Che è una cosa ben diversa dai loro primati industriali nei cui confronti dobbiamo solo mostrare riconoscenza.
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