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Facciamola finita con una polemica politica di bassa lega su sanità e scuola. Maggioranza, opposizione e sindacati comincino insieme a cambiare il racconto economico dell’Italia dicendo semplicemente la verità sulla nostra super crescita. A quel punto, non ci sarà nemmeno più bisogno di pretendere che le agenzie di rating cambino le pagelle sull’Italia perché avverrebbe tutto in automatico e avremmo risolto senza demagogia metà dei nostri problemi risparmiando sugli interessi e tornando a potere fare politica economica dando i soldi liberati a sanità e scuola.

Il debito pubblico risulterà scritto nel documento di economia e finanza (Def) in probabile risalita di poco dal 137% acquisito in rapporto con il prodotto interno lordo (Pil) perché i previsori del Ministero dell’Economia e delle finanze e anche quelli nazionali e internazionali non azzardano nulla di nuovo sugli altri indicatori macroeconomici. Per la crescita il numeretto parla dell’1% e il deficit viene collocato al 4,3%.

Tutto ciò rende nulla questa sorta di attesa sul numeretto del debito per domani o martedì anche se, a nostro avviso, come avviene ormai da quattro anni in qua, la crescita reale sarà più sostenuta del previsto, forse addirittura molto più del previsto, ma non basta a cambiare il punto focale del quadro strutturale italiano che è quello di un Paese che ha messo in atto negli anni pandemici la più clamorosa discesa del debito, oltre 17 punti, e che ora rischia di ritrovarsi con un debito stampato nei documenti economici che risale di un pochino quando la crescita c’è e probabilmente non sarà nemmeno un po’ più lenta di prima come si vuole fare credere.

Per cui sulla carta hai questo debito italiano che risale formalmente quando sempre formalmente rientrano le regole con la procedura per deficit eccessivo che riguarderà più di mezza Europa e, quindi, varrà poco o niente e ritorna la stagione dei giudizi delle agenzie di rating. Morale: il Def non può dire nulla, il programmatico sarà uguale al tendenziale, e quindi dobbiamo chiederci come si farà a rinnovare il taglio del cuneo fiscale ai ceti deboli, come si farà ad attuare la riforma fiscale, e non si potrà comunque scrivere un programma di politica economica perché non ci sono i soldi. Non ci possiamo neanche avventurare perché non sappiamo neppure bene che cosa avverrà con il programma di approvazione definitiva del nuovo patto europeo a maggio e poi ci sarà la valutazione Eurostat sui crediti di imposta a giugno.

Parlano tutti un po’ a vanvera, anche perché la stessa procedura per deficit eccessivo chiede di fare scendere il deficit dello 0,5% annuo e questo già avviene, è nei nostri conti, quindi si fanno allarmismi fuori luogo. La sostanza del problema è un’ altra ed è che la politica economica tua, bella o brutta che sia, non la puoi fare perché i soldi sono già stati ipotecati da chi è venuto prima con Superbonus e affini certo, il rumore e il colore che hanno accompagnato un capitolo di truffe e giri strani sulle cessioni dei crediti, ma anche con altre scelte avventate in materia pensionistica e soprattutto a causa dell’ingiusto macigno che grava sui nostri conti a causa di una spesa per interessi sul debito che non ha alcun riscontro nei parametri della nostra economia. Perché bisognerà pure cominciare a dirlo che eroghiamo meno di Francia, Germania, Inghilterra e perfino Spagna come spesa pubblica.

Non hai gli spazi fiscali per fare politica economica e questa polemica sulla sanità al minimo storico come finanziamento in rapporto al Pil non è seria perché nessuno ha il coraggio di dire che servirebbero trenta quaranta miliardi in più l’anno, ogni anno, come dieci per la scuola, e invece non ci sono. Per cui assistiamo alla doppia speculazione politica. C’è chi ti fa la lezione da master dell’economia sui pasti gratis e sui tagli alla spesa da fare ignorando che siamo quelli che hanno tagliato più di tutti visto che spendiamo, ad esempio, il 47% pro capite di quanto spende la Germania per la sanità e che dal 2016 al 2022 Francia, Regno Unito, Spagna e Germania la hanno aumentata del 25% in termini nominali e noi dei 7%.

Soprattutto ignorano che l’Italia ha una spesa pubblica inferiore alla media europea, una popolazione ad invecchiamento rapido e una demografia fredda. L’altra corrente di pensiero per fortuna espulsa dal dibattito nazionale era quella di uscire dall’euro e di stampare moneta. La realtà è che siamo tutti dentro il cappio strutturale italiano che è determinato da una spesa per intessi sul debito che è ingiustificatamente il doppio della media europea e da una spesa pensionistica che è in rapporto al Pil la più alta del mondo. Su tutto ciò abbiamo caricato i nostri soliti prepensionamenti e, ancora molto di più, una politica di bonus edilizi con troppe cessioni di credito e sconti in fattura che hanno dato l’esca ai soliti profittatori italiani di fare il loro a spesa della collettività pur avendo dato comunque una robusta spinta alla domanda interna e, quindi, alla super crescita italiana.

Da questo circolo vizioso si esce solo se maggioranza e opposizione insieme cambiano il tono della polemica politica, a partire proprio dalla sanità, e operano insieme per fare capire all’Europa e al mondo che il problema che ha oggi l’Italia della supercrescita è solo quella di una reputazione sui mercati che non corrisponde alla nuova realtà, che fa comodo alle assicurazioni tedeschi e ai fondi americani che possono comprare titoli sicuri italiani con rendimenti alti, ma congela il bilancio pubblico italiano e la politica economica del Paese oltre a fare un danno enorme all’economia europea. Molti investitori globali hanno già capito la situazione, ma non hanno interesse che cambino i giudizi sull’Italia delle agenzie d rating. Noi invece abbiamo bisogno di smetterla di farci del male da soli e dobbiamo cambiare il racconto di noi. A quel punto, non dovremo più neppure pretendere che le agenzie di rating alzino le pagelle dell’Italia perché avverrà in automatico e riavremo quegli spazi fiscali di cui abbiamo vitale bisogno.


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