X
<
>

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio

Share
5 minuti per la lettura

Si può continuare con l’andazzo che i ministri arrivano con le loro segreterie particolari e si installano come alieni in stanze separate dentro un Moloc impermeabile? È arrivato il momento che la presidente del consiglio convochi la prima fascia di ministeri, Regioni e Comuni e spieghi la nuova organizzazione di cui dotarsi. Non c’è più tempo. Bisogna rendersi conto che l’invasione della bassa politica e la lottizzazione di poteri e funzioni attuata con caratteristi da talk e maschere populiste, ci consegna una pubblica amministrazione con una dirigenza debole e i bravi mortificati. Basta avere incontrato un direttore generale francese, tedesco e perfino spagnolo per cogliere la differenza di sostanza e di portafoglio da colmare in fretta.

TRA un giro e l’altro in ogni angolo del mondo Giorgia Meloni non perda mai di vista la priorità da cui dipende il suo credito internazionale e il futuro dell’Italia. Non si può dire che sia stata con le mani in mano e si deve anzi riconoscere che è sua la intuizione politica di unire le deleghe europee sotto un unico dicastero e di affidare a un ministro competente in materia come nessun altro, Raffaele Fitto, questo lavoro di qualificazione, coordinamento e supplenza che è stato avviato con risultati superiori alle aspettative. Se siamo i primi nell’utilizzo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e si sono rivoltati come un calzino i programmi regionali dei fondi di coesione e sviluppo per sottrarli al marchettificio dei presidenti padre-padroni che hanno usato spesa produttiva come spesa corrente per comprare consenso, vuol dire che Fitto ha le idee chiare e le persegue con determinazione. Anche la scelta di aprire a concorsi per assumere funzionari esperti con ingaggi manageriali e stipendi in partenza da centomila euro in su va nella direzione giusta.

Ci permettiamo, però, di sottolineare che per non tradire la fiducia degli investitori globali che guardano al governo Meloni con maggiore ottimismo di quanto ne abbiano gli italiani, bisogna che la premier, Tajani, Giorgetti, Fitto tutti insieme prendano il toro per le corna e affrontino una volta per tutte il problema dei problemi italiano che è una governance amministrativa non all’altezza delle sfide che abbiamo davanti. Non c’è uno solo dei tanti policy makers che studiano da vicino l’Italia che non abbia scritto nei suoi report che è semplicemente folle che la pubblica amministrazione italiana non abbia una politica mirata per i suoi top manager che costituiscono tutti insieme la squadra da mandare nell’arena globale della nuova governance della nuova competitività italiana.

Si deve avvertire il gioco di squadra ed esserne tutti consapevoli. Proprio come in una qualunque grande azienda annualmente si tengono le convention che chiamano a raccolta le prime linee e si fanno i bilanci delle attività, si spiegano i trend, si illustrano i rischi e le opportunità, si individuano gli obiettivi, diciamolo senza ipocrisie, l’amministrazione italiana deve essere capace di attuare un grande processo di aggregazione e di chiarificazione che chiama in causa la politica. Bisogna porsi almeno alcuni interrogativi chiari. I ministeri, le direzioni, le divisioni hanno mai fatto qualcosa di simile? Quanti sono i ministri che hanno mai chiamato il quadro dirigente ad ascoltare le seguenti linee di lavoro, che hanno aperto un dialogo diretto con i dirigenti che hanno espresso i loro interventi in presenza dei colleghi? È mai accaduto qualcosa di simile se si escludono poche eccezioni che devono invece diventare la regola? Fino a quando possiamo continuare con l’andazzo che i ministri arrivano con i loro gabinetti e le loro segreterie particolari e si installano come alieni in stanze separate dentro un Moloc impermeabile a ogni nuova energia?

Ci giochiamo tutto o quasi sull’attuazione del Pnrr ed è arrivato il momento che, anche grazie agli straordinari risultati ottenuti da Fitto contro tutti i previsori interni e con un popolo di cassandre in servizio permanente effettivo in casa, sia proprio il presidente del consiglio in persona a convocare in un teatro la prima fascia di tutti i ministeri, Regioni e Comuni e a spiegare il significato della sfida che abbiamo davanti e l’organizzazione di cui dobbiamo dotarci per raggiungere gli obiettivi prefissati. È stato mai fatto? No, così no, e perché allora non lo si fa al più presto? Perché, Pnrr a parte, non si segue lo stesso metodo nella gestione delle aziende sanitarie, degli uffici amministrativi regionali, comunali, provinciali? Che cosa permette, rimanendo inerti, di meravigliarsi della inevitabile inefficienza? Eppure, di qui, da questo passaggio stretto e diffuso, non da altri, passa il salto anche culturale, oltre che organizzativo, necessario per rendersi conto che sul Pnrr e sul raggiungimento dei suoi obiettivi si gioca la modernizzazione del Paese, il consolidamento della forte resilienza della nostra economia esportatrice, la chiusura delle fratture territoriali, di genere e generazionali.

Non c’è più tempo. Bisogna rendersi conto che l’invasione della bassa politica e la lottizzazione di poteri e funzioni attuata con i caratteristi del talk del nulla e le maschere populiste, ha consegnato la pubblica amministrazione italiana nelle mani di una dirigenza ancora troppo debole e anche quelli bravi sopravvissuti sono mortificati o addirittura schiacciati. Basta avere incontrato un direttore generale francese, tedesco e, da un po’ di tempo in qua perfino spagnolo, per cogliere la differenza di sostanza e quindi di status che va oltre le differenze di portafoglio da colmare in fretta. Abbiamo tutti i numeri per invertire la rotta. Abbiamo anche uomini politici di governo di esperienza che stanno facendo bene e sempre più lo faranno, ma se non cambiano teste e organizzazione delle amministrazioni centrali e territoriali non si va da nessuna parte. Si ritorna dritti dritti nel circolo vizioso che si deve interrompere.

Per una volta demoliamo con i fatti i luoghi comuni che tanto male arrecano al Paese e attuiamo e concentriamo le nostre energie sulla riorganizzazione di ciò che c’è e sulla scelta di nuovi talenti per rimettere il treno delle amministrazioni sui binari giusti. Solo così il treno può ricominciare a correre.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE