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Se non vogliamo sacrificare il miracolo economico italiano che tutti ci invidiano e di cui finalmente si sta prendendo coscienza in Italia, dobbiamo procedere a passi spediti nella digitalizzazione della pubblica amministrazione, attuare investimenti e riforme del Pnrr e sporcarci le mani con la prima emergenza sociale che è la sanità coagulo del massimo consenso o dissenso di una società. Fino ad ora ha fatto molto l’economia aiutata dalla politica, adesso deve fare ancora di più la politica pensando al dopodomani prima che al domani.
I fondamentali dell’economia italiana sono a posto. Perfino i consumi delle famiglie sono resistenti, non continuano a cadere. Alla fine dell’anno si sono assestati dopo che all’uscita dal Covid i nuclei familiari hanno speso tutti i soldi arretrati che avevano da spendere. Hanno speso gli arretrati e hanno speso comunque quel che potevano anche quando l’inflazione era alle stelle, ora è sotto l’1%. Le esportazioni italiane collezionano un record dopo l’altro e la cosa davvero importante è che dal post Covid a oggi non sono cresciute solo le performance delle imprese manifatturiere delle regioni del Nord, ma sono addirittura esplose quelle delle imprese manifatturiere del Mezzogiorno con una Campania che è passata da poco più di 12 miliardi di export nell’ultimo trimestre del 2019 a oltre 22 miliardi a fine 2023 con la migliore performance regionale del Paese e la città di Napoli prima in Italia per la crescita di vendite all’estero.
La riforma fiscale degli investimenti ha prodotto effetti strabilianti consentendo alle nostre multinazionali tascabili del Nord come del Sud di robotizzare i processi e di innovare i prodotti crescendo più di tutti nei mercati extra europei e superando meglio di tutti la crisi del commercio globale post pandemica. Turismo, servizi e costruzioni, prima residenziali ora anche di opere pubbliche, sono a livelli di espansione che non si vedevano da decenni. Per questo abbiamo parlato praticamente da soli di miracolo economico italiano in compagnia del più bravo degli analisti industriali italiani che è Marco Fortis e notiamo ora con soddisfazione che si aprono le prime crepe in un muro informativo ingiustificato che ripete il cliché di un’Italia economica che non esiste più.
In Europa non siamo più il fanalino di coda, ma addirittura i primi.
Per queste ragioni ci permettiamo di sottolineare che sul piano di effetto Putin, delle sue elezioni farsa e del dissenso nascosto che cresce, ai fini della nostra economia non abbiamo da segnalare particolari preoccupazioni. Quello che invece deve tenere desta la nostra attenzione è il rischio di un clima di immobilismo in attesa delle nuove elezioni europee e americane. Il rischio capitale per il miracolo economico italiano studiato nel mondo, apprezzato dagli investitori globali, praticamente ignorato fino ad ora in casa, è che resti tutto sospeso in attesa di queste due importanti scadenze elettorali.
L’Italia conserva e consolida il suo miracolo economico se non si fa influenzare da questa sospensione e sfrutta le possibilità concrete che ci sono per fare il contrario di quello che fanno gli altri. Potremmo anticipare qualcosa mentre gli altri attendono e contribuire alla benefica stabilizzazione italiana tra politica ed economia.
Tutto quello che si può stabilizzare tenendo conto che i risultati possono andare in un senso o nell’altro va fatto, perché qualunque sia il risultato finale tutto ciò che si sarà riusciti a portare a casa prima servirà comunque dopo.
Perché con Trump o senza Trump alla Casa Bianca, con l’Europa di prima o quella federale che noi auspichiamo, ciò che è certo è che bisognerà schierarsi nel nuovo orizzonte mondiale e ci si potrà schierare con credibilità se si è stabilizzata la nostra situazione e se continuiamo ad essere non più un pezzo del problema globale, ma della sua soluzione. Altrimenti faremo inevitabilmente la solita fine del passato che è quella del vaso di coccio tra vasi di ferro.
La cosa fondamentale è smetterla di farci dispetti reciproci tra maggioranza e opposizioni, tra piccole lobby e interessi più varii, perché questa guerriglia permanente non ci aiuta. Si sa già quello che si deve fare, facciamolo. Sul piano interno vanno prese di petto alcune grandi questioni economiche e sociali come la sanità, la riforma della spesa pubblica, e il recupero di una effettiva capacità di spesa produttiva delle amministrazioni nazionali e territoriali che stabilizza il flusso di investimenti pubblici che si vanno a cumulare con quelli privati ormai da tempo in ripresa.
Questa stabilizzazione a livelli molto più alti della spesa pubblica produttiva è bene che parta dalla digitalizzazione delle amministrazioni che devono riuscire a dialogare con un sistema imprenditoriale che è oggi tra i più digitalizzati in Europa. Un sistema che dialoga bene con tutte le amministrazioni, committenti e fornitori del mondo, ma incontra ancora forti difficoltà in casa a livello nazionale e territoriale. Stiamo parlando di un grande moltiplicatore della crescita produttiva e dell’occupazione di qualità, tutto ciò che cambia lo spirito comune di un Paese perché genera fiducia e alimenta aspettative positive.
La sanità è un problema grandissimo, ma è anche il massimo coagulo possibile del consenso e del dissenso, e per queste ragioni non si può rallentare di un secondo nella capacità di spendere quelle risorse che già ci sono e nell’indirizzare le nuove a favore della medicina territoriale e della sanità pubblica riparando agli errori storici negli accessi alle facoltà di medicina, nella povertà di risorse professionali disponibili rispetto alla domanda effettiva, e nel miglioramento delle retribuzioni di donne e uomini di altissima professionalità che sono, però, entrati in un circuito perverso che privilegia troppo la sanità privata.
Così come, in generale, bisogna assolutamente ritornare a occuparsi seriamente del problema dell’orientamento della formazione perché abbiamo bisogno di quadri all’altezza in gangli vitali e dobbiamo puntare a costruire squadre manageriali, organizzate sempre non in modo transeunte, per cui una volta vanno di moda gli informatici, poi gli ingegneri e così via, mentre servono invece tante squadre stabilmente organizzate che evitino errori stupidi, ad esempio, proprio sul calcolo della domanda dei medici, come è avvenuto, ma che soprattutto costruiscano la organizzazione digitale e amministrativa della nuova competitività italiana che risponda insieme ai bisogni dell’economia e a quelli sociali come di fatto già sta avvenendo attraverso la riduzione delle diseguaglianze e del rischio di povertà. Fino ad ora ha fatto molto l’economia aiutata dalla politica, ora deve fare ancora di più la politica pensando al dopo domani prima che al domani.
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