5 minuti per la lettura
Una crescita solida meglio del previsto nel 2023 e una ulteriore revisione al rialzo per il 2022 che passa dal 3,7 al 4% e allunga l’eredità Draghi. Sfioriamo i quattro punti sopra il 2019 con una Germania che ha un’economia piatta (zero), una Francia balbettante, un’Inghilterra in coma. Superiamo anche il Giappone e solo gli Stati Uniti tra le sei economie avanzate fanno meglio di noi. Aspettiamo la consueta revisione autunnale dell’Istat, ma chi risponde degli effetti sulle aspettative e sulla crescita del Paese di questo pessimismo poco scientifico smentito dai fatti?
TUTTI si aspettavano tra lo 0,6 e lo 0,7% per la crescita del Pil italiano del 2023. Siccome questo dato dipende anche dai giorni lavorati la folta schiera di catastrofisti italiani vedeva ancora più nero. Invece no, come avviene puntualmente da quattro anni, tutte le previsioni anche quelle della Nota di aggiornamento di economia e finanza (Nadef) e della Commissione europea, che indicano appunto 0,7 e 0,6%, per non parlare dell’Istat che non ci prende mai di parecchio, si sono rivelate tutte sbagliate complessivamente di grosso. Facciamola breve, al netto di ulteriori possibili revisioni migliorative a posteriori nel 2023 il Pil italiano è cresciuto dello 0,9%, due o tre decimali in più rispetto alle previsioni, ed è pari al livello di crescita del Pil francese con la differenza affatto trascurabile che i cugini d’Oltralpe fanno il risultato con la vendita di transatlantici, aerei, e così via, parliamo quasi di spesa bellica, ma la domanda interna francese è cresciuta a un tasso che è pari alla metà di quello italiano.
La morale è che abbiamo una crescita molto solida meglio del previsto nel 2023 e con una ulteriore revisione al rialzo dell’anno precedente che passa dal 3,7 al 4% e continua ad allungare quasi senza fine l’eredità del governo Draghi. Questo significa che quando, martedì prossimo, arriveranno i dati di trimestrali fino al quarto che è quello finale, verrà fuori una revisione non dello 0,2% ma magari dello 0,3% e forse di più perché incorpora anche il trascinamento ulteriore del 2022 che sono altri tre decimali. Si delinea, insomma, un profilo di crescita sostenuto che non delude mai. Tutti quelli che hanno sparato fesserie dovrebbero avere almeno la dignità di riconoscerlo.
Il dato indiscutibile di crescita italiano ci dice che il nostro Paese è tre punti mezzo sopra i livelli del 2019 sulla base della crescita attuale acquisita e con i dati revisionati dell’ultimo trimestre dell’anno e il ricomputo del trascinamento dal 2022 sfioriamo i quattro punti sopra il 2019 con una Germania inchiodata fissa allo zero spaccato. Se fai il 2022 diviso il 2019 scopri che con Draghi, rispetto al 2019, la crescita italiana è del 3% avendo totalizzato nel biennio una supercrescita cumulata del 12,6%, ma il trend è proseguito anche con il governo Meloni se si arriva a sfiorare un balzo del 4% rispetto ai livelli pre Covid.
Diciamo le cose come stanno, la crescita italiana di questi ultimi quattro anni è fortissima e costituisce, come abbiamo sempre sostenuto in assoluta solitudine, un vero e proprio secondo miracolo economico. Altro che ridurre tutto, sbagliando pesantemente, al solito rimbalzo concedendo al massimo un rimbalzone e continuando peraltro a ignorare che di questi ordinari rimbalzi di cui tutti si riempiono la bocca con grassa ignoranza, non c’è traccia alcuna nella storia italiana delle due grandi crisi del 2008 e del 2011 che sono quelle della finanza e dei debiti sovrani. Avevamo cadute poderose seguite da rimbalzi di decimali pagando il prezzo carissimo di somministrare austerità al posto di fare politiche espansive. Questa è la pura verità.
Oggi viceversa ci confrontiamo con un elettroencefalogramma piatto della Germania, una Francia balbettante, un’Inghilterra in coma, e noi che invece ce la caviamo e superiamo anche il Giappone. Solo gli Stati Uniti tra le sei economie più avanzate del mondo fanno meglio di noi. Che riduciamo anche al 137,3 rispetto al 140,2% previsto il rapporto debito/Pil avendo scaricato un aumento di deficit Pil più elevato del previsto prima che l’inapplicabile nuovo patto europeo di stabilità e crescita ci crei inutili fastidiosi problemi visto che a tutta l’Europa per sopravvivere mancano alcune centinaia di miliardi da mettere sul piatto per cui perdere tempo sui decimali è roba solo da ragionieri fuori dalla storia. Anche perché, se il catastrofismo imperante ce lo permette, nel 2024 sta esplodendo il boom della spesa edilizia non residenziale legata ai cantieri già aperti del Pnrr come hanno segnalato il dato di dicembre scorso sull’andamento del comparto in forte crescita e le risposte degli imprenditori edili al campione selezionato da S&P Global dove tutti hanno detto che i loro nuovi maxi lavori sono tutti collegati alla fase attuativa del Piano europeo.
Ci permettiamo anche di sottolineare che se il Pil è pro tempore fissato in crescita dello 0,9%, i consumi sempre pro tempore già crescono dell’1,2% in un anno di grande inflazione. Quindi anche con i prezzi alle stelle, che ora sono rasoterra, i consumi delle famiglie sono cresciuti di più dello stesso Pil e sono dati che non trovano eguali negli altri Paesi europei. In Germania sono crollati, in Francia e in Inghilterra sono cresciuti della metà rispetto all’Italia. L’ultima chicca è contenuta nel report di Prometeia: non solo dice che l’Italia nel 2023 sarebbe cresciuta dello 0,7% toppando in buona compagnia, ma per il 2024 ferma la crescita italiana allo 0,5% andando controvento e prendendosi in faccia mare così alto da rovesciarsi. Diciamo subito al Pierino di turno che non abbiamo bisogno di chi ci ricordi che i divari territoriali, di genere e generazionali, benché in riduzione, sono giganteschi e dimostrano la dimensione della grande irrisolta questione italiana della diseguaglianza. Lo sappiamo bene e vogliamo solo evitare che non si bruci in malafede il collante della fiducia che è il propellente per farci correre di più e ridurre proprio le diseguaglianze.
Abbiamo, però, il dovere di dire chiaro e tondo che sono troppi in casa nostra a non volere vedere il progresso italiano e che è arrivato il momento di dire con solennità che i previsori non sanno fare il loro lavoro. Ormai dura da 4 anni questo andazzo: è ora di dire basta! Aspettiamo la consueta revisione autunnale dell’Istat, ma francamente ci poniamo l’interrogativo se qualcuno debba almeno rispondere di quanto incida negativamente sulle aspettative e sui risultati di crescita del Paese questo pessimismo sempre poco scientifico e sempre smentito dai fatti.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA