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Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti

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Rispettando le delicatezze istituzionali e uscendo dai fuochi elettorali, la partita della Meloni si gioca sull’economia e sulla politica internazionale. Se assume un ruolo istituzionale che apre e coinvolge vince la sfida. Altrimenti la perde e, purtroppo, non perde solo lei, ma tutti noi. Stabilizzare il debito e mettere a frutto la crisi bancaria italiana in una prospettiva che inverte il ciclo economico italiano, ci libera dalla mannaia della mancata crescita. Noi possiamo fare meglio di tutti grazie al Pnrr e l’Europa può fare meglio di Cina e Usa dotandosi di un Pnrr all’anno che è nuovo debito comune per affrontare le grandi sfide della difesa, della transizione ambientale e degli investimenti. Bisogna indicare la traiettoria e coinvolgere.

La partita italiana del presente e del futuro si gioca tutta sull’economia e sulla politica internazionale. Sull’economia, al netto della singola notizia di giornata che può essere di volta in volta più o meno favorevole, le cose vanno un po’ peggio a livello europeo, un po’ meglio a livello italiano. L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) sta dando mese dopo mese un vantaggio significativo a noi e alla Spagna. Persiste, soprattutto in casa nostra, la incapacità che apparteneva alla scuola democristiana di mettere in fila i numeri uno dietro l’altro, di inserirli in un quadro di respiro che va dalla fase post pandemica a oggi e sa delineare scenari a lungo termine in grado di coinvolgere.

Questo tratto di visione che dovrebbe segnare il moderatismo moderno ma è troppo spesso assente, divorato dalla polemicuccia quotidiana in politichese, unito a un pregiudizio ideologico di larghi strati della politica e dell’opinione pubblica nei confronti del governo della Destra guidato da Giorgia Meloni, impediscono, ad esempio, di cogliere che il mercato del lavoro italiano non è ai massimi da molti anni, ma è addirittura ai massimi di sempre, da quando cioè ci sono i dati rilevati sull’occupazione. Cosa, sia chiaro, che non significa affatto avere rimosso diseguaglianze e divari strutturali territoriali, di genere e generazionali, ma solo che stiamo facendo molto meglio del percepito comune e che si potrebbe fare ancora meglio se ci fosse un’offerta di manodopera all’altezza della domanda in tutti i livelli.

Significa che abbiamo rispetto alle altre economie europee dieci punti di Pil in più da spendere, che anche se ne spendessimo solo sette sarebbe una cosa grossa, e che questo plus legato al Pnrr si cumula con una guida dell’economia del ministro Giorgetti che non indietreggia sul rigore della finanza pubblica perché ha piena consapevolezza del problema e timore per ciò che ne potrebbe discendere se non venisse gestito. Di tutto ciò il dibattito domestico ha poca contezza, ma non gli investitori globali. I quali sono convinti che Giorgia Meloni avrà un ruolo cruciale in Europa nei prossimi tre anni soprattutto se in America dovesse vincere Trump.

Allora, se questo è il quadro reale in un contesto geopolitico assai turbolento scandito da due guerre diventate globali in Ucraina e in Medio Oriente con una situazione nel Mar Rosso che incide sui traffici globali e sull’interesse economico italiano in modo pesante, è evidente che la partita decisiva del governo Meloni di oggi e domani si gioca in casa. Consiste nella capacità di fare un aggiustamento del debito nei prossimi tre anni individuando una strada che rassicuri il mondo sulla nostra volontà di stabilizzarlo non diventando ovviamente i primi della classe, ma neppure più gli ultimi rimettendoci alle spalle almeno i greci.

Perché è vero che con la discesa dello spread abbiamo ridotto il differenziale con la Germania, ma non abbiamo ancora il rapporto giusto con la Spagna e non possiamo continuare a rimanere dietro anche alla Grecia benché gran parte del suo debito sia in mano a istituzioni internazionali. Questo è il punto. Se una donna di poco più di 45 anni, oggi alla guida del governo del Paese, esce del tutto dagli ambiti scivolosi della contesa politica all’italiana e assume un ruolo istituzionale che apre e coinvolge può vincere la sfida. Altrimenti la perde e, purtroppo, non perde solo lei ma tutti noi. Stabilizzare il debito e mettere a frutto la crisi bancaria superata agendo in una prospettiva comune che tenda a invertire stabilmente il ciclo economico italiano, significa smetterla di essere sotto la mannaia della mancata crescita.

Non ne parla più nessuno di crescita in Europa e in Italia. Invece è questo il focus vero da cui dipende tutto. Noi possiamo fare meglio di tutti grazie al Pnrr e l’Europa può fare meglio di Cina e Usa dotandosi di una specie di Pnrr all’anno che è nuovo debito comune per affrontare le grandi sfide della difesa, della transizione ambientale e digitale e, in genere, degli investimenti industriali, agricoli, edili. Chi governa il Paese si sottragga al giogo delle contese elettorali regionali e si prepari affinché dopo le europee possa mettere in campo stabilmente un ciclo semivirtuoso italiano che sia frutto di una scelta di visione e delinei una traiettoria di stabilità di lungo termine. Questo bisogna fare per salvare l’Italia e avere ruolo in Europa. Questo è l’interesse degli italiani che dovrebbe contribuire a perseguirlo chiunque ci governi e operi in questa direzione. Fosse pure Belzebù


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