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Sul Pnrr primi in Europa, sull’inflazione meglio della media europea, più occupati e corretta di pochissimo ma al rialzo la stima del Pil. Non esiste un Paese inquieto sull’orlo della rivoluzione né regge la versione apocalittica del racconto italiano ovviamente non esente da problemi gravi. Si bandisca la teoria sbagliata per cui l’avversario si cancella e inizia una nuova era invece di cercare l’equilibrio tra quel che c’è e agire su economia e giustizia. L’anima profonda vuole stare con chi fa le cose, non con chi urla e divide.
Siamo davanti a un’Europa che scricchiola con la Germania che traballa e l’incognita olandese che da sole, ancora di più messe insieme, non sono una piccola cosa. A fronte di tutto ciò ci ritroviamo in Italia in una situazione in cui paradossalmente mentre ci dovrebbe essere da parte di tutti il massimo sforzo per patrimonializzare il valore della stabilizzazione politica, che è fondamentale in Italia e ci fa contare di più in Europa, si registrano invece comportamenti, prese di posizione, rumori di ogni tipo, scioperi a singhiozzo che aggiungono caos a caos. Sono tutti fatti che determinano le condizioni per incrinare la stabilizzazione che c’è e non creare quel pezzo di stabilizzazione che ancora manca.
Si passa dal problema della magistratura che è tutto una grande ipocrisia collettiva dove ognuno recita a soggetto e nessuno si presenta in Parlamento ad ascoltare Crosetto a un governo apparentemente impegnato sulla storia del premierato e più marginalmente dell’autonomia differenziata che sono tutte vissute come divisive. È evidente che in un simile contesto chi governa non riesce a rintuzzare le spinte disgregatrici mentre ha invece la responsabilità di pacificare il Paese.
Quello che serve oggi all’Italia è un “basta” di massa al solito giochetto delle bandierine per serrare le file ed impegnarsi tutti insieme a valorizzare i risultati portati a casa. Che, a onore del vero, dal primato europeo del Pnrr con l’incasso della quarta rata alla discesa dell’inflazione, che è ora più bassa della media europea, fino alla crescita dell’occupazione a tempo indeterminato con il Sud in testa, non sono neppure così pochi. Perfino la correzione del Pil nel terzo trimestre, ancorché limitatissima da 0 a +0,1%, è favorevole.
La verità è che in Italia non c’è un Paese inquieto sull’orlo della rivoluzione. È un’invenzione mediatica che ha il difetto di essere tambureggiante e contagiosa. Non è vera, o per essere più precisi non è vera nella versione apocalittica che fornisce del racconto italiano ovviamente non esente da problemi e diseguaglianze. Per capirci, la grande spallata di Landini e Bombardieri si infrange contro il muro della realtà che si ostinano a non volere vedere. È stata in tutto e per tutto simile a quel rumore del nulla che appartiene al racconto mediatico del nulla di cui sopra.
Ogni giorno questo nulla diventa sempre più evidente. Produce confusione. Alimenta caos. Queste cose ovviamente non le diciamo affatto con compiacimento perché sappiamo bene che un Paese ha tutto da guadagnarci da un’opposizione seria politica, sindacale, sociale.
Nelle grandi democrazie le opposizioni fanno il loro mestiere, chiedono e ottengono, qui invece facciamo i conti con le inadeguatezze della maggioranza e le peggiori cose di un arcipelago frammentato di opposizioni che alimenta quotidianamente la commedia dell’arte delle bandierine.
Questo giochetto sottile e contagioso è molto pericoloso perché ci impedisce di rivendicare e difendere i risultati del Pnrr dentro i quali c’è un processo riformista che si sta attuando e del quale tutti dovrebbero orgogliosamente approfittare per aumentare le potenzialità di sviluppo dell’economia che sono in esso contenute. Tutto viene annullato dal rumore assordante che impedisce di cogliere il cambio di passo. Se si avesse anche come Paese la piena percezione di quello che si sta facendo, sarebbe più facile pesare di più dove si misura il peso reale di un Paese, giocando un ruolo da primo attore nella partita decisiva del nuovo patto europeo di stabilità e crescita.
Potremmo svolgere un ruolo di soggetto attivo, perché credibili e rispettati, perché avendo dimostrato di avere vinto sul fronte interno, possiamo dare le carte anche in Europa e ci presentiamo preparati per creare il nuovo contesto di crescita comune economica e politica fuori dalle gabbie dei decimali, non dagli obblighi di serietà. Potremmo disegnare il futuro invece di difendere il vecchio che comporta il rischio di portare nuovi disastri.
Se avvenisse tutto ciò il rumore si attenuerebbe e le pulsioni divisive verrebbero giocoforza tenute a bada se non altro perché si capirebbe che non c’è da buttare giù nessuno. Anche gli agitatori di professione dovrebbero fare i conti con la nuova realtà o addirittura se ne renderebbero conto prima da soli. Se Giorgia Meloni capisce questo, evita l’errore capitale che commise il primo Berlusconi quando Previti sentenziò che “non avrebbero fatto prigionieri”. Questo precedente la Meloni dovrebbe valutarlo con estrema attenzione per trarne la lezione di ridurre tutti gli spazi di trasformismi ostili che non sono purtroppo null’altro che l’agitazione per l’agitazione.
È il clima peggiore per cambiare il Paese e raddrizzare la rotta in Europa perché finisce con il contagiare anche coloro che hanno delle giuste preoccupazioni rispetto a un cambiamento. Per cui invece di collaborare in modo costruttivo per rispondere a questi problemi che ci sono, preferiscono buttarsi anche loro nell’agitazione per l’agitazione.
È davvero importante ricordare oggi quello che accadde con il primo Berlusconi che invece di fare in modo che ci fosse un riequilibrio effettivo del sistema politico dopo la fine dei partiti della Prima Repubblica, puntò alla spaccatura in due del Paese anziché consentire la formazione di un nuovo schieramento conservatore moderato. Si puntò allora per motivi tattici e a fini elettorali a ridividersi sulla giustizia come su altro. Si abboccò all’amo del contesto avverso. Che realmente esisteva e operava.
Anche oggi c’è il rischio reale di tornare ad alzare il rumore dietro un’altra grande stupidaggine ideologica tra fascisti e antifascisti fuori tempo e fuori contesto. Si torna al primo Berlusconi e a quell’idea sbagliata della politica dell’apocalisse finale per cui si teorizza che l’avversario verrà cancellato e comincerà una diversa era politica invece di cercare l’equilibrio tra quel che c’è e fare concretamente quello che la politica consente di fare davvero dialogando con tutti e riunendo tutte le forze che ci stanno della politica come del mondo produttivo e sindacale, della società civile, del volontariato, dei giovani e delle università.
Oggi, peraltro, se lo si volesse davvero, un modo per buttare giù il muro del nulla lo si potrebbe trovare più facilmente che in passato. Perché le condizioni di stabilità politica uscite dall’urna sono meno precarie del solito e l’anima profonda del Paese vuole stare con chi fa le cose, non con chi urla e divide. Bisogna almeno aiutarla a diradare le nebbie per capire come stanno le cose e dire la loro. Questo significa pacificare e costruire. Questo è oggi l’interesse dell’Italia e dell’Europa. Cerchiamo di capirlo in fretta e di agire di conseguenza.
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