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Giorgia Meloni

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Il dato evita la recessione tecnica di una virgola, ma rende già vecchia la legge di bilancio e paventa correzioni in corso d’opera. Va costruito un itinerario credibile di uscita dalla stagnazione. Il rischio da sventare è tornare all’Italia di prima del secondo miracolo economico. Il debito americano è al 138% del Pil e noi al 140%, ma lì la crescita c’è mentre da noi c’era e si è fermata. La premier si affidi a gente organizzata che eviti di interrompere la narrazione italiana di un’economia resiliente, recuperi un orizzonte di investimenti e di riforme e lo comunichi per produrre subito effetti.

È stata fatta una manovra che aiuta i redditi più bassi ad arrivare a fine mese ed è giusto. Si è continuato a stringere i bulloni sulla previdenza camminando sempre più spediti verso il ripristino integrale della legge Fornero seguendo un itinerario che rappresenta una clausola di salvaguardia ineludibile della sostenibilità del nostro debito pubblico e questo è molto importante anche se non più sufficiente a causa del binomio denatalità e fermata della crescita. Le imprese non hanno avuto niente. Le costruzioni fanno i conti con l’uscita dalla droga del superbonus.

Si attende la spinta degli investimenti pubblici del Pnrr che, a loro volta, mobilitino investimenti privati, ma sono passati sei mesi e si stanno sudando le classiche sette camicie perché l’Europa non contesti i crediti di imposta contenuti nel Repower Eu. Che, a loro modo, sono una prosecuzione degli incentivi 4.0 a salire che sono stati la benzina del motore del made in Italy che ha fatto e continua a fare meglio delle imprese consorelle tedesche, francesi, spagnole ma in misura tale da non bastare più a sostenere la crescita italiana.

Questa manovra evita disastri e mette Salvini di fronte alle sue insanabili doppiezze (tema pensioni) visto che quota 103 con penalità è peggio di quota 104 così come il ritorno del parametro delle speranze di vita (legge Fornero pura) è l’unico elemento di serietà possibile per un Paese che ha in rapporto al Pil (circa 17%) la maggiore spesa previdenziale al mondo. Questa manovra si presenta con un testo compiuto che passa all’esame del Parlamento nel giorno in cui l’Istat suona la sveglia sull’economia italiana con una crescita trimestrale pari a zero.

Questo dato nudo e crudo evita la recessione tecnica di una virgola, ma sperando ovviamente che la stima sia confermata e non rivista al ribasso pone nella sua assoluta evidenza il problema italiano che è quello della crescita. In assenza della quale la nostra economia, che resta la migliore rispetto al pre-Covid e si confronta comunque con un dato peggiore della Germania e inferiore di poco a quello francese, è quella che dopo il biennio magico di Draghi del +12,3% balla ormai da sei mesi intorno allo zero. Un dato che rende agli occhi di chi ci osserva da molto vicino già vecchia la manovra che deve ancora fare la sua navigazione parlamentare. Perché con una previsione di crescita del +1,2% e un altro trimestre a zero che porta la crescita acquisita a 0,7%, è evidente che nessuno può più escludere una correzione della manovra in corso d’opera.

Ha fatto bene chi ha voluto sottolineare ieri che la grande assente della manovra è proprio la crescita. Ha ragione il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, quando sottolinea che ciò che conta è che in Europa si eviti la recessione e che il governo italiano, come è noto a tutti, ha risorse limitate. Il tema che viene, però, prima di tutto e tutti per l’Italia oggi è quello di costruire un itinerario credibile di uscita dalla stagnazione. Perché il vero rischio che corriamo anche se abbiamo tutte le possibilità per sventarlo, è quello di fare come i gamberi e tornare all’Italia di prima del secondo miracolo economico italiano prenotando altri due anni di stagnazione. Questo tema (vero) viene addirittura prima del problema della sostenibilità del debito che è per tre quarti in mani italiane e degli sforamenti di deficit che evidentemente il nuovo patto renderebbe ancora più evidenti.

Secondo le stime del Fondo monetario il debito americano arriverà l’anno prossimo al 138% del Pil quando il nostro è al 140% ma il punto è che lì la crescita c’è mentre da noi c’era e si è fermata. Paradossalmente se si fosse capaci di fabbricare un extra deficit per fare le cose che ti portano la crescita, non i debiti a vita del superbonus edilizio, sarebbe addirittura benedetto. Quello che bisogna immediatamente spezzare è il circolo perverso per cui non manca chi ripete un giorno sì e l’altro pure che i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza (Pnrr) sono quasi più una rottura di scatola, ovviamente onerosa, che non la manna che può consentire il rilancio della capacità di fare spesa produttiva pubblica e privata. L’azione di Fitto va sostenuta nelle sue fasi attuative e come elemento di propulsione di fiducia diffusa.

Non si può continuare a rinviare l’attuazione del ciclo di riforme di struttura, dalla concorrenza alla giustizia, che sono cruciali per attrarre investimenti, creare reddito e nuova occupazione. Bisogna che la premier cerchi in fretta gente capace e organizzata che eviti di interrompere la narrazione italiana di un’economia resiliente dotata peraltro di un avanzo commerciale e di una posizione finanziaria netta positiva che Spagna, Portogallo e perfino la Francia non hanno. Bisogna che si recuperi un orizzonte di crescita di lungo termine e lo si comunichi perché cominci subito a produrre i suoi effetti dato che l’economia vive di aspettative e un altro trimestre di percezioni negative può creare danni che poi è difficile recuperare.


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Francesco Ridolfi

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