Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina
5 minuti per la letturaEmerge una visione internazionale dell’Italia all’altezza della storia e della forza della sua democrazia. L’iniziativa della Meloni, espressa in Parlamento nel pieno della guerra del Medio Oriente, rientra in un solco tracciato da La Pira, Fanfani, Craxi, Andreotti, Moro. Sappiamo bene che ci muoviamo in mezzo a una polveriera e che i regimi autocratici hanno armi e soldi, ma è il Mezzogiorno il luogo di incontro tra i due nuovi baricentri del mondo. Le ragioni della storia e della geografia impongono all’Italia di perseguire coesione in casa e in Europa e all’Occidente di dimostrare di esistere
L’AFRICA e il Mediterraneo allargato sono la grande scommessa della Meloni in politica estera. Ne sono il tratto distintivo dall’inizio del suo mandato di governo, ma anche la più felice delle intuizioni. Questa scommessa della Meloni appartiene alla categoria delle imprese ambiziose, si tratta di una scommessa oggettivamente difficile perché bisogna mettere insieme un Continente, non fare due piccoli accordi con questo o quello dei Paesi del Mediterraneo allargato.
È una scommessa che a questo giornale piace tantissimo in quanto appartiene alle ragioni fondanti della nostra iniziativa editoriale che è tra l’altro l’unica in Italia a pubblicare ogni giorno due pagine su I Mediterranei. È una scommessa che riteniamo possa, peraltro, contare su un rispetto dell’Italia che il popolo africano ha. Siamo stati anche noi dei colonizzatori, ma molto meno rispetto agli altri. Siamo stati tradizionalmente un grande Paese espansivo, ci siamo spesi al massimo in Somalia anche se poi tutto è andato a carte quarantotto ed è caduta nelle mani delle guerre tribali e dell’islamismo. Abbiamo accumulato qualche merito storico come è accaduto in Mozambico. Ai tempi di Craxi e di Andreotti noi eravamo un Paese interessato a fare cooperazione in senso vero. Avevamo intuito prima degli altri la forza della cooperazione. Un po’ la nostra crisi interna un po’ l’invidia degli altri Stati ci hanno messo in difficoltà.
Oggi per Giorgia Meloni si apre una finestra di opportunità interessanti perché essendo gli Stati del mondo intero impegnati a vario titolo su due scenari di guerra, come l’Ucraina e il Medio Oriente, avranno meno tempo e forza rispetto al passato per fare i soliti sgambetti. Quindi, a nostro avviso, la scelta strategica più strategica di tutte che può compiere il governo Meloni è quella di puntare tutte le sue carte migliori sul Piano Mattei che sia espressione di una vera unità nazionale e che metta l’Europa nelle condizioni di essere costretta a venire dietro. Deve avere lungimiranza e non cedere mai neanche in misura minima a forme di bullismo del tipo “noi abbiamo intuito, noi ci siamo inventati tutto, e se ora voi state qui è tutto merito nostro”. Ciò che invece serve davvero in questo momento è tirarsi dietro il massimo consenso in casa e poi, grazie a questo, il massimo di consenso in Europa. Ci è piaciuta molto l’espressione “noi non guarderemo mai dall’alto in basso nessuno, ma vogliamo lavorare insieme”. Siamo tornati allo spirito originario di La Pira e di Fanfani che poi, in stagioni diverse, è stato anche quello di Craxi, Andreotti e Moro.
È una politica estera di visione italiana all’altezza della storia del Paese e della forza della sua democrazia. Quindi l’iniziativa della Meloni, così chiaramente espressa in Parlamento nel pieno della guerra del Medio Oriente, rientra in un solco già tracciato che oggi la storia e la geografia scavano con ancora maggiore forza di prima. Quasi tracciano un percorso obbligato. Perché il mondo si è diviso in due baricentri, uno è quello dei Sud della terra in prevalenza autocratici, e un altro è quello dei Nord democratici ma molto frammentati. Oggi l’incontro tra questi due mondi passa attraverso il Mezzogiorno d’Italia perché la geografia non consente a nessuno di saltarlo. Ecco perché questo giornale sosterrà sempre la scelta strategica di sviluppo alla pari del Piano Mattei che è, peraltro, uno dei punti qualificanti della Carta di Napoli nata dal primo festival Euromediterraneo dell’economia (Feuromed) da noi organizzato con Commissione e Parlamento europeo a Napoli nella Sala dei Baroni al Maschio Angioino.
Perché la scelta di mettere il Mediterraneo al centro di un progetto di sviluppo paritetico è la scelta meno velleitaria di tutte per perseguire una reale stabilizzazione dell’area, costruire i due stati dei due popoli, unire i tesori, le povertà e le tragedie delle due sponde in un progetto globale che si muove con intelligenza strategica sull’unica direttrice obbligata del futuro che è quella Nord-Sud. Il coraggio della Meloni su questo terreno merita di essere sostenuto, rafforzato e organizzato. Sono coerenti con questa scelta la grande piattaforma di investimenti energetici e manifatturieri che taglia trasversalmente tutti i fondi europei e nazionali, il Ponte sullo Stretto che rompe la discontinuità territoriale. Sono tutte scelte che fanno del nostro Sud non più la periferia ma il centro del mondo capovolto di cui abbiamo spesso parlato.
Perché tutto ciò avvenga davvero occorre però un grande investimento nel capitale umano che fornisca in tempi relativamente ristretti una nuova classe dirigente di tutti i quattro Mediterranei. Sappiamo benissimo che ci muoviamo in mezzo a una grande polveriera a cielo aperto e che i regimi autocratici hanno armi e soldi e provano a superare pericolosamente alcune delle divisioni del passato, ma le ragioni della storia unite a quella della geografia impongono all’Italia che è il primo loro interlocutore di non girarsi mai dall’altra parte e all’Occidente di dimostrare di esistere sulle cose che contano, non su quelle che non contano e fanno solo il gioco di chi lucra sull’assenza dei sani ingombri della democrazia.
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