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Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti

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Siamo soli: svegliamoci! È stato il nostro titolo per dire che l’Italia sui mercati oggi sta peggio del 2011 perché portoghesi, spagnoli e greci ci distanziano alla grande. Ieri la conferma del problema italiano: aumentano solo i Btp. C’è una percezione sbagliata da cambiare sull’Europa e un problema vero che riguarda crescita e sostenibilità del debito.

Abbiamo scritto appena ieri (LEGGI): siamo soli, svegliamoci! Non è più come nel 2011, dove eravamo in compagnia di portoghesi, spagnoli, i greci stavano peggio, e a rischio di rottura c’era la moneta europea con un euro di serie A e un euro di serie B. Ora, a differenza di allora, il problema per i mercati è diventata l’Italia e questa percezione, in parte sbagliata, va cambiata subito. La conferma è venuta dai rendimenti della giornata che raccontano un’Italia che va contromano perché a salire sono solo i rendimenti dei BTp. Noi cresciamo di 2,6 punti base, la Francia scende di 2,4, la Germania di 4, la Spagna di 1,5, il Portogallo di 0,6, la Svezia di 4,8, l’Olanda di 3,9, la Svizzera di 1,4, la Grecia di 3,8. I mercati valutano i Paesi su una prospettiva lunga.

Se l’Italia deve pagare il 5% per collocare i suoi titoli pubblici e la Spagna il 4% è perché i mercati fanno previsioni diverse su Italia e Spagna sulla crescita di lungo termine. Sono le stesse ragioni perché noi con lo spread arriviamo a 201 e loro oscillano tra 109 e 112. Le valutazioni riflettono il giudizio sulla crescita di lungo periodo. Riflettono il giudizio sugli aspetti specifici che determinano o meno una crescita di lungo periodo. Riflettono il giudizio sul fatto se un Paese è congruente o no con lo sviluppo complessivo dell’Europa, sul disegno di economia e di società che l’Europa persegue, non è la conseguenza come si vuol far credere di una valutazione legata all’effetto momentaneo della politica dei tassi alti della Bce.

La scelta di comprare un titolo sovrano al posto di un altro si basa su quello che si pensa da parte di chi investe a livello internazionale sul Paese dove si decide di andare a investire. Per questo noi come Paese e anche noi come italiani dobbiamo imparare in fretta a investire su come cambiare la percezione degli altri sulle nostre capacità di mettere al lavoro giovani e donne retribuendoli bene e motivandoli, sulla nostra capacità effettiva di fare infrastrutture fisiche e immateriali, di investire i soldi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) su scuola e sanità pubblica a partire dal Mezzogiorno.

Bisogna investire, come si sta facendo, per cambiare l’amministrazione, ma bisogna sapere anche investire sulla percezione di questo cambiamento in atto dell’amministrazione e della percezione da parte degli altri del fatto che il nuovo funziona e, cioè, che pubblico e privato stanno insieme. Non si può vendere una crescita di lungo periodo se passa il luogo comune che il privato vuole chiedere solo sussidi e portare i soldi fuori dall’Italia.

Bisogna fare capire che la crescita potenziale italiana va valutata per quello che è, che noi abbiamo molto e che possiamo utilizzarlo. Invece la percezione del mondo è che gli altri hanno poco spazio, ma lo utilizzano meglio di noi. Noi abbiamo molto spazio, ma lo utilizziamo meno bene e ci facciamo del male con le parole sull’Europa. Questa è la differenza con spagnoli, portoghesi e addirittura greci in modo diverso. Anche loro Spagna e portoghesi hanno un tasso di disoccupazione non basso, ma crisi di governo o non crisi di governo, la percezione internazionale di Portogallo e Spagna è di una maggiore dimostrazione di compattezza sull’economia e sull’Europa nonostante le differenze politiche di schiera – mento. Noi non dobbiamo drammatizzare, ma non possiamo andare avanti così.

Dobbiamo riuscire a fare questo lavoro che cambia la percezione di noi nel mondo, e non aiuta certo che il nostro debito è alto e tutti si sono convinti che lo alzeremo ancora. Diciamoci le cose come stanno. I mercati hanno visto che il debito era salito fino a 155% del prodotto interno lordo (Pil) e si è riusciti a riportarlo poco sopra il 140% rispetto al Pil in meno di due anni, stagione del governo Draghi, ora prendono atto che la proiezione della discesa ulteriore è molto timida e dipende da una crisi che non si riesce a sostenere e anche da imprese che non hanno più la capacità di fare investimenti come hanno fatto nei due anni precedenti. Si interrogano i mercati sul fatto che in Italia è ritornato il problema della crescita di sempre. Tornano a vedere una crescita difficile, capiscono che c’è un grande potenziale di crescita, ma dubitano che verrà sfruttato.

È normale che Giorgetti ripeta alle agenzie di rating, pure con le sue ragioni, che l’Italia è solida, ma si stenta a credere perché si dubita che il gettito delle privatizzazioni sia reale, si vuole toccare con mano che la macchina per gli investimenti è ripartita. Francamente sono tutti consapevoli che il duo Meloni-Giorgetti sul piano della finanza pubblica ha fatto fino a ora un lavoro non disprezzabile, ma resta il fatto che siamo quelli che faremo più extradeficit di tutti, che faremo più emissioni di tutti di titoli in un mercato con i tassi alti, e che ipotizziamo una traiettoria non credibile non di discesa, ma neppure di stabilizzazione del debito. A tutto questo si aggiunge un problema di come ci poniamo nei rapporti con l’Europa che è perplessa sugli alleati della nostra destra di governo – Polonia, Ungheria ora anche Slovacchia – che sono i Paesi che prendono di più dal bilancio europeo, ma hanno la visione più restrittiva. Del tipo prendiamoci tutti i benefici, ma non condividiamo gli impegni su nulla e questo fa perdere all’Europa la capacità su altri piani di lavorare insieme.

Senza ovviamente toccare il tasto tanto dolente quanto incomprensibile della mancata ratifica italiana, unico Paese in Europa, del nuovo meccanismo europeo di stabilità (Mes) che è impossibile cambiare ora, che già così come è sarebbe uno scudo per noi importante, e che nulla impedisce di cambiare ancora in meglio dopo sul modello americano dove tutti insieme si fanno carico di un problema bancario qualunque sia lo stato di provenienza.

Capite quali sono le perplessità che muovono il giudizio sull’Italia e, a differenza del 2011, ci mantengono a un punto e mezzo di distanza dai rendimenti portoghesi e a uno da quelli spagnoli? Noi abbiamo una posizione finanziaria netta sull’estero nettamente migliore della loro e anche di quella francese, abbiamo alle spalle due anni di crescita da primato europeo, ma ora tutti si chiedono perché si è così bruscamente fermato questo cammino sulle proiezioni di lungo termine di crescita e di sostenibilità del debito e, ancora di più, di coerenza europea. Spagnoli e portoghesi sono considerati meglio di noi. Dobbiamo lavorare in fretta per cambiare la percezione del molto di buono che abbiamo già fatto in economia e esprimere nitidezza sull’Europa che vogliamo e sui comportamenti e sulle scelte che siamo in grado di assumere.


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