Giorgia Meloni
6 minuti per la letturaSui mercati è peggio di allora. Il Portogallo paga circa un punto e mezzo meno di noi, la Spagna uno e la Grecia oltre mezzo. Allora Atene spacciata, portoghesi peggio di noi e Spagna al nostro fianco. All’epoca rischiava l’euro, oggi i mercati guardano all’Italia perché nel 2024 fa più deficit e dubitano perfino della stabilizzazione del debito. Tutti, compresi i tedeschi, tagliano le stime di extradeficit e le emissioni. Noi no.
Questo confronto continuo con il 2011 in assenza della conoscenza dei fatti è tanto grossolano quanto irritante. A livello di bufala più gigantesca c’è solo l’ipotesi dei governi tecnici che sono l’esatto contrario di quello che serve oggi all’Italia e di cui nessuno ai livelli in cui si prendono queste decisioni ha mai parlato. Nel novembre del 2011 il problema era europeo, la moneta rischiava di spaccarsi in due tra euro di serie A e euro di serie B, il Portogallo stava messo peggio di noi, la Grecia era data per spacciata, la Spagna ci affiancava in un rischio di default sovrano misurato da livelli di spread e di rendimento dei titoli pubblici sostanzialmente omogenei ai nostri. Quindi era a rischio la sopravvivenza dell’euro e Italia e Spagna erano a un passo dal default sovrano.
Oggi le cose stanno in modo totalmente diverso perché a rischiare siamo solo noi. Per capire bene di che cosa stiamo parlando, bastano pochi dati. La Spagna, dati di ieri, ha un rendimento sul suo titolo decennale al 4,02% (inizio anno 3,52%) noi siamo arrivati al 5,01% toccando il massimo dal 2012 (inizio anno 4,55%) per poi ridiscendere al 4,87%. Tra noi e loro come reputazione e spesa per interessi balla sostanzialmente un punto percentuale che è tantissimo. Il Portogallo è addirittura al 3,65% (inizio anno 3,47%) e, quindi, è un Paese che ha un’economia che nella valutazione dei mercati ha praticamente raggiunto la Francia e ha aperto un guado incolmabile di un punto e mezzo tra loro e noi. Anche la Grecia è vero che ha quasi tutto in mano alle principali istituzioni europee, ma sui mercati ha un rendimento al 4,42% (inizio anno 4,66%) che ci lascia indietro di oltre mezzo punto con un risultato che addirittura migliora mentre noi peggioriamo ancora, umiliandoci come mai era avvenuto nella storia europea.
Aggiungiamo che le agenzie di rating hanno promosso il Portogallo da “BBB+” a “A-“ mentre noi siamo per quasi tutte le agenzie di rating tra l’ultimo e il penultimo gradino con una di esse che ci ha anche appioppato un outlook negativo spalancandoci le porte che non si dovranno mai aprire dei titoli spazzatura. È vero che tutto nasce dalla Federal Reserve che ha rialzato i tassi in America e li terrà alti a lungo ed è vero che i titoli di stato americani volano come i nostri, ma loro alle spalle hanno il dollaro, un titolo sovrano comune e sono gli Stati Uniti. Noi siamo l’Italia, siamo quelli che hanno il debito pubblico più pesante, non abbiamo alle spalle né un titolo sovrano europeo comune né gli Stati Uniti d’Europa perché ancora non esistono.
Siamo soli come sorvegliati speciali e dobbiamo mettercelo chiaro nella testa proprio per evitare di replicare il 2011 in una situazione che è del tutto differente nel confronto tra i Paesi e negli strumenti di intervento di cui è in possesso la Banca centrale europea (Bce). Procediamo con ordine. Purtroppo, in realtà, per noi c’è di molto peggio di cui tenere conto e che la stampa libera deve costruttivamente denunciare per non ritrovarsi di fronte a nuove macerie che riguarderebbero tutti e dalle quali non potremmo più rialzarci. I mercati si muovono sul 2024 e vedono che tutti vanno verso una riduzione del deficit e un consolidamento del bilancio oltre che una riduzione di emissioni di titoli sul mercato.
Questo vale per Portogallo, Spagna, Grecia e la stessa Germania. Che raggiunge il record del 3% sui rendimenti del Bund, due punti comunque sotto di noi, ma può già annunciare che farà meno deficit extra perché gli stanziamenti contro il caro gas sono stati utilizzati meno del previsto. Tutto ciò non vale per l’Italia e, forse, in misura molto minore, non vale neanche per la Francia. Questo in Europa e per noi è il punto centrale. Perché Stati Uniti e Regno Unito fanno storia a sé e vanno lasciati fuori da questo ragionamento. Per quanto riguarda l’Italia ciò che conta è il fatto che gli analisti internazionali guardano la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) e vedono che il deficit aumenta più del previsto e che per i prossimi anni il debito pubblico italiano è ipotizzato stabile rispetto al prodotto interno lordo oscillando in un triennio dal 140,1 al 139,6%.
Sul deficit pensano che con la sua prima manovra il governo Meloni ha mantenuto la linea del rigore, ma che invece con la seconda ha aperto gli occhi a tutti perché non nasconde più il suo tasso sopravvissuto di sovranismo. È vero, al contrario, che si sta limitando a fare il minimo indispensabile su cuneo fiscale e poco altro, sostegno ai poveri compreso e dovuto, ma tutto quello che fa lo sta facendo in deficit per oltre 15 miliardi. Questo a loro non piace. Ancora maggiori sono gli interrogativi degli stessi analisti finanziari sulla stabilizzazione del debito: la giudicano ovviamente insufficiente, ma perfino falsa. Perché ritengono aleatoria la previsione di crescita del Pil. Perché non sanno come andranno contabilizzati gli effetti dei bonus fiscali. Perché valutano poco più di una provocazione il punto di Pil che si ritiene di fare in tre anni con le privatizzazioni senza neppure essersi presi la briga di fare un piano dettagliato con nomi e scadenze.
Affinché le previsioni del governo risultino vere, si devono verificare una crescita economica considerata a rischio, privatizzazioni ritenute aleatorie e una contabilizzazione dei bonus fiscali favorevole che tolga l’incertezza. A tutto ciò si deve aggiungere l’incognita del nuovo patto di stabilità e di crescita europeo che, come ipotizza la mediazione spagnola, apre sugli investimenti ma tiene stretta la corda del deficit e sembra quindi proprio l’ultimo tassello del mosaico che può portare alla tempesta perfetta italiana. C’è ancora ovviamente la sponda estrema di salvataggio della vituperata Europa, alla voce Banca centrale europea (Bce), che nel 2011 non esisteva affatto. Altro elemento che tutti sottovalutano alla grande. Soprattutto su sollecitazione delle colombe italiane la Bce della Lagarde ha varato un programma di acquisto di titoli pubblici, il Transmission Protection Mechanism (TPI) che è comunemente conosciuto come scudo anti spread. Scatta quando questo indicatore supera i 250 punti per ragioni esterne di crisi globale indipendentemente cioè da cause interne che significa motivi non dovuti all’Italia.
Questo intervento non prevede soggetti invasivi come la troika e altro, ma il Paese che ne beneficerà deve almeno avere firmato i trattati e qui casca l’asino italiano che non ha neppure ancora votato in Parlamento l’adesione al meccanismo europeo di stabilità (Mes) così come c’è da rispettare le tabelle di marcia di Nadef, manovra approvata dalla commissione e attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Come potete capire da soli di incertezze ce ne sono anche troppe.
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