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Il problema di una stabilità di legislatura reale è decidere se è un esecutivo conservatore moderato attento ai ceti deboli o è sotto il pungolo di Salvini con populismi di ritorno. Non apri ogni giorno un fronte nuovo senza chiuderlo, presidenzialismo e nuovo premierato, oppure blocchiamo i migranti anzi no, facciamo quota 41 sulle pensioni anzi no. Alla gente interessa solo la manovra. Adeguare i conti dello Stato ai bisogni dello Stato, fare le infrastrutture al Sud, difendere gli asset strategici e investire sul futuro, consolidare il peso europeo e capitalizzarlo in termini di visione comune e di potere nazionale.
I nodi al pettine o vengono sciolti o strangolano. O servono per tenere insieme o sono nodi scorsoi che alla fine ti soffocano. Un governo di legislatura ha bisogno di una politica economica che ti dica con chiarezza che cosa facciamo del Mezzogiorno, come perseguiamo e attuiamo la scelta del grande hub energetico e industriale del Mediterraneo, e che tipo di politica industriale possiamo davvero realizzare facendo i conti con il fatto che siamo passati da un milione e mezzo di auto italiane a quattrocentomila, come e dove siamo in corsa per i chip e le tecnologie del futuro perché energia e armi non bastano e dobbiamo continuare ad attrarre investimenti internazionali di qualità.
Si deve avere una visione di lungo periodo di politica economica e non si può farlo ondeggiando giorno per giorno e vedendo che cosa succede. Si sapeva che avevamo a disposizione 4 miliardi e ne servivano almeno cinque volte tanto, ma abbiamo fatto finta di non saperlo. Siamo arrivati al dunque dopo che ognuno ha detto e fatto quello che voleva nella rincorsa delle promesse ignorando i notissimi vincoli di bilancio che, con una determinazione che abbiamo molto apprezzato, il ministro Giorgetti ha posto all’attenzione responsabile di tutti. Vincoli di bilancio interni e quadro internazionale pieno di incognite. La realtà nuda e cruda per quello che è.
Il problema del governo Meloni oggi ai fini di una stabilità di legislatura reale, preziosa per l’Italia, è quello di decidere se vuole essere un governo conservatore tutto sommato moderato o se è costretto ad essere un governo sotto il pungolo continuo di Salvini per forme più o meno accentuate di populismo di ritorno che fanno grandi disastri solo con le parole. Questo punto va chiarito una volta per tutte perché non puoi arrivare all’autunno delle decisioni in queste condizioni. Veniamo alla sostanza delle cose. Se Giorgia Meloni si concentra e realizza una manovra sostanzialmente conservatrice ma moderata con l’attenzione giusta ai ceti più deboli e si concentra sull’economia con un occhio internazionale accorto seguendo la linea Giorgetti e sul piano istituzionale l’impostazione Crosetto, allora è lei che apre uno spazio a Destra dove si infileranno tutti perché in Italia si corre sempre con il vincitore, anche se c’è sempre un’elezione in vista che aumenta il rumore delle parole e il tasso di confusione.
Se, invece, si va avanti ogni giorno aprendo un fronte nuovo senza mai chiuderlo, presidenzialismo e nuovo premierato, oppure blocchiamo i migranti anzi no, facciamo quota 41 sulle pensioni anzi no, allora è bene che la premier sappia che la gente vuole sapere che cosa fa davvero sulla manovra, qual è il realismo di questa manovra e di questo governo. La vicenda della supertassa sugli extraprofitti è emblematica da questo punto di vista perché è di metodo che diventa sostanza di governo. C’è in diversi Paesi, e rientra nelle libere scelte della politica con principi equitativi, ma non puoi inventarla dalla sera alla mattina facendo degli atti che poi ti devi rimangiare. Perché questo non fa bene alla credibilità e alla lunga non tiene.
Non può esistere una credibilità della premier e una credibilità del governo. Sul piano internazionale l’esordio della Meloni è stato di sicuro eccellente sorprendendo tutti ed evitando lo spettro di un’Italia della destra populista sotto osservazione speciale, ma anche qui ora bisogna stare molto attenti. Ci siamo spesi moltissimo con la Tunisia e ci siamo portati dietro i vertici delle istituzioni europee e il premier olandese dimissionario, ma poi ogni giorno di più rischiamo di scoprire non solo che non è più democratica questa Tunisia ma neppure credibile rispetto agli impegni che ha assunto con noi. C’è un ruolo ancora da esplorare e fortificare nelle alleanze europee per determinare scelte europee più radicali assolutamente necessarie, che riguardano il diritto di asilo e lavoro europei e un’accoglienza più integrata, perché se no la gente vede solo che gli sbarchi aumentano e percepisce in modo approssimativo un’impotenza reale del governo italiano.
È la stessa cosa che accade sul piano interno con la corsa forsennata tra il dover promettere e il dover fare che scandisce i nostri giorni. Giorgetti ha un ottimo rapporto con Fitto e insieme stanno ricomponendo la macchina pubblica italiana degli investimenti, anche questo lavoro la Meloni dovrebbe sottolinearlo di più nella chiave della soluzione strutturale che si sta cercando di dare al grande problema italiano, del Mezzogiorno e del Piano Mattei, ma mostra l’intelligenza di valorizzare l’amministra – zione del tesoro che è l’unica rimasta nello Stato e ha la consapevolezza che va gestita politicamente ma se metti mano disinvoltamente in quella macchina lì si sfascia tutto. Perché, nonostante i difetti, è l’ultima struttura funzionante del Paese che come tale rivendica un ruolo primario di competenza tecnica.
Giorgetti sta assumendo il ruolo di chi modera, ma anche stabilizza e questa impostazione con la sua intelligenza politica può costituire la base del nuovo punto in casa e in Europa dove deve arrivare la Meloni senza più tentennamenti. Se arriva a questo punto avrà il problema enorme di Salvini che allineandosi rischia di scomparire, ma non allineandosi fa saltare tutto. Per questo il nuovo punto di approdo di un conservatorismo moderno compiuto della Meloni è irrinunciabile. Bisogna adeguare i conti dello Stato ai bisogni dello Stato, fare le scelte infrastrutturali che servono al Mezzogiorno e sono la motivazione strategica del Pnrr, sostenere l’azione del ministro Urso per una politica industriale nazionale che preservi i suoi asset strategici e investa sul futuro, bisogna consolidare il posizionamento europeo e capitalizzarlo in termini di visione comune e di potere nazionale.
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