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Siamo ormai a un livello di evasione fiscale tale che non permette una vera politica fiscale. Quella che consente di fare pagare aliquote decenti a chi paga regolarmente le tasse. La storia vera di questo Paese è che i balneari vincono sempre su tutto e che sui tassisti si agisce a scoppio ritardato. Per fare una vera riforma fiscale serve una unità del Paese che, purtroppo, non c’è. Quando i presunti dividendi elettorali prevalgono sulle ragioni dell’interesse comune le persone oneste ci perdono sempre e, alla fine, si scopre che non si hanno le coperture.
Siamo ormai a un livello di evasione fiscale tale che non permette una vera politica fiscale. Quella che consente di fare pagare aliquote decenti a chi paga regolarmente le tasse. Per fare una vera riforma fiscale serve una unità del Paese che, purtroppo, non c’è. Di certo, non aiutano né le fanfare davvero fuori luogo di esponenti della maggioranza che parlano di rivoluzione fiscale né quelle intrise di demagogia e di pregiudizio di una parte rilevante delle opposizioni.
La storia di questo Paese è piena di deleghe che non hanno portato da nessuna parte indipendentemente dal valore dei suoi contenuti. La storia vera di questo Paese è che i balneari vincono sempre su tutto e che i tassisti hanno abbassato vergognosamente il moltiplicatore della crescita del turismo internazionale incidendo sulla reputazione del Paese e sulla qualità del servizio offerto. Perché il mercato non si è potuto aprire in tempo utile per proteggere rendite che gli stessi tassisti oggi hanno perso perché i clienti interni li hanno abbandonati. Quando i presunti dividendi elettorali prevalgono sulle ragioni dell’interesse comune le persone oneste ci perdono sempre.
Ci vorrebbe, forse, un nuovo libro bianco o un nuovo libro verde. Ci vorrebbe una sistematizzazione non delle proposte per il fisco che verrà, ma delle aree organizzate dove si annida un sistema diffuso che coniuga la speculazione su un’inflazione da caro energia che non esiste più con una pratica sistemica di elusione o di evasione tout court sottraendosi in ogni modo a pagamenti digitali riscontrabili.
Diciamocela tutta fino in fondo. Ci vorrebbero la tempra e la determinazione di un Vanoni due che su piazza non c’è e che oggi avrebbe comunque vita più difficile di allora. Perché ai suoi tempi era tutto da scrivere e si partiva da un prato verde. Oggi bisogna fare il cammino inverso e si deve partire da quello che va cancellato, non da quello che va inventato. Ciò che va cancellato si ritiene, sbagliando, che faccia perdere voti e, quindi, si finisce anche indirettamente con il favorire un allentamento della pressione fiscale su chi evade.
Per questo a fronte di un lavoro serio, se non altro meticoloso, del vice ministro Maurizio Leo, che sa di che cosa parla e insiste a indicare la filosofia complessiva della armonizzazione e della riduzione delle aliquote (solo per questo servono subito altri tre/quattro miliardi) ed è anche consapevole di quanto sarà dura già trovare le risorse per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale ricevuto in eredità e lievemente rimodulato, capita di assistere a una grandinata di dichiarazioni di esponenti minori della maggioranza che occupano gli schermi televisivi agostani semideserti per spararle una più grossa dell’altra.
Del tipo “abbiamo fatto una rivoluzione fiscale che si attendeva da cinquant’anni” o altre amenità di questo tipo che suonano più o meno così: nessuno ha mai fatto quello che si è fatto oggi.
Ci permettiamo di suggerire massima prudenza e di mettere anche qualcosina di vero in busta paga a partire da agosto, di fare lentamente sparire anche dal dibattito la favola della flat tax, e di battere già da lunedì un colpo serio sulla strada della concorrenza dimostrando con i fatti che la nuova politica economica del governo Meloni che parte con la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) e con la legge di stabilità, non si limiterà più solo a non rompere il giocattolo ricevuto in eredità da Draghi ma farà passi concreti in avanti sulla strada delle riforme liberalizzatrici, della capacità amministrativa di fare investimenti pubblici, del riequilibrio fiscale possibile, attraverso una postura e un vocabolario della politica che ricalchi sul piano interno quello sperimentato con successo in Europa e negli Stati Uniti.
Per preservare credibilità e trasmettere fiducia, che sono la base di investimenti e consumi, il governo Meloni deve accentuare il profilo riformista conservatore e non avere più titubanze nel chiudere per sempre con il linguaggio delle favole e le mediazioni con le promesse del passato fuori dalla storia. Il realismo dell’azione di governo e delle scelte possibili, argomentate e comunicate, deve sempre prevalere su tutto. Questo, non altro, farà la differenza e costringerà le opposizioni a fare i conti con la realtà.
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