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In Cina sono crollate esportazioni e importazioni e l’economia paga una debolezza strutturale, come quella tedesca, perché sono in crisi le catene globali del valore. Chi deve produrre cosa, le imprese lo cercano in un’area meno distante dal loro territorio di origine. È un miracolo che con un commercio globale indebolito l’Italia torni al surplus commerciale. Nel frattempo si investa sul capitale sociale del Mezzogiorno perché noi avremo una crescita duratura e l’Europa un suo ruolo solo se tutti capiranno che il nuovo Nord europeo è il Sud italiano e che senza il grande hub energetico-manifatturiero del Mediterraneo il futuro è la marginalizzazione. Purtroppo una parte ancora estesa del nostro Paese non ci crede. Questo è proprio insopportabile.

Il quadro italiano è migliore delle aspettative. Il quadro internazionale è peggiore delle aspettative. La nostra situazione è complicata da un problema internazionale a livello locale. Riguarda la crisi del nostro mercato di riferimento che è quello tedesco. Stiamo compensando in prima battuta con molta domanda dall’estero legata ai conflitti internazionali che spinge il resto del mondo a scegliere Italia, Spagna e Francia per le vacanze e con il desiderio degli italiani che hanno accumulato molti risparmi durante la pandemia di tornare a spendere nonostante l’erosione di potere d’acquisto dovuta all’inflazione. In seconda battuta stiamo invece rispondendo con la capacità della nostra manifattura di differenziare i mercati e rinnovare i prodotti dopo la crisi strutturale tedesca, ma dobbiamo essere capaci di farlo in modo continuato e accelerando su entrambi i fronti.

Questa partita è decisiva e il flusso di innovazione e di flessibilità legato alla stagione passata di industria 4.0 non solo non può essere interrotto, ma dovrà essere intensificato assecondando e spingendo il moltiplicatore degli investimenti soprattutto al Sud. Sull’inflazione il trend è discendente. La caduta dei prezzi energetici è stata più persistente del previsto e non si è trasferita direttamente su beni e servizi come sarebbe stato giusto perché si è alimentato un flusso di inflazione aggiuntiva da profitti sussidiati che ha fatto e fa molto male alla nostra economia.

Questo ha influito sulla politica monetaria europea che ha dovuto alzare i tassi più a lungo del previsto ma entro fine anno la tendenza rialzista si fermerà e nei tempi giusti – un anno, massimo un anno e mezzo – se ne vedranno gli effetti anche se tutto ciò nel frattempo rischia di incidere sui consumi e sugli investimenti. Non possiamo permettercelo e non può funzionare da alibi il ragionamento che paghiamo in termini aggiuntivi la variabile tedesca e olandese.

Che è quella che esprime la tensione di un’intera area nordica che fa molta fatica a tenere sotto controllo i salari con effetti negativi aggiuntivi per noi in termini di pagamento di tassi di interessi sui nostri titoli sovrani. La verità è che emergono ogni giorno di più differenze tra l’America che ha avuto un’inflazione da domanda drogata da loro stessi e sta già uscendo dalla recessione e un’inflazione europea che nasce invece con i carri armati russi in Ucraina e la conseguente guerra delle materie prime ma vive una fase di uscita complicata dalla crisi strutturale tedesca e dal gioco a lucrare sui profitti di troppe imprese di troppi Paesi del Sud e del Nord Europa.

In Cina sono crollate le esportazioni e le importazioni e la sua economia vive complessivamente una fase di debolezza forte anch’essa strutturale, come quella tedesca, perché sono entrate in crisi le catene globali del valore. Chi deve produrre cosa, le imprese ora lo cercano in una area relativamente meno distante dal loro territorio di origine e questo indebolisce la Cina e, per di più, la spinge a concentrarsi sulla sua domanda interna per contrastare la crescente debolezza.

Rendiamoci almeno conto che è un miracolo assoluto che in un contesto del commercio globale così indebolito, con Germania e Cina in difficoltà, l’Italia sia tornata al surplus commerciale. Vuol dire che siamo davvero bravi e dobbiamo almeno riconoscercelo. Così come dobbiamo sperare che duri il più a lungo possibile la preferenza per l’Italia del resto del mondo. Nel frattempo dobbiamo investire moltissimo sul capitale sociale del Mezzogiorno italiano considerato ancora ingiustamente troppo basso da chi ha abitudini internazionali.

Il nostro problema è che continuiamo ad avere troppe micro imprese gestite male perché non abbiamo un numero così elevato di manager capaci di invertire la rotta per un numero così elevato di micro imprese. Nel nuovo quadrante globale, però, noi ci saremo con una crescita duratura e l’Europa recupererà un suo ruolo effettivo solo se tutti prenderanno coscienza che il nuovo Nord europeo è il Sud italiano e che senza realizzare qui il grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo l’Europa intera è sempre più condannata alla marginalizzazione. Anche per questo dovremmo avere più fiducia nei nostri mezzi e vivere la scommessa del Pnrr e di tutti i fondi europei come la scommessa dell’intero Paese. È l’Europa a chiedercelo con sempre maggiore forza e determinazione. Purtroppo è una parte ancora troppo estesa del nostro Paese a non crederci e questo è proprio insopportabile.


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