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Davide Desario e Mario Draghi

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Il Paese nella sua amministrazione pubblica ha bisogno dei nuovi Pescatore e dei nuovi Desario. Della stessa fibra morale e della stessa capacità di fare. Che sono un misto di rigore e di competenze esercitati silenziosamente. Oggi per realizzare l’impresa più difficile in questo Paese la premier Giorgia Meloni ha fatto una scelta di competenza politica. Ha affidato la guida del processo di cambiamento della macchina dello Stato al ministro Raffaele Fitto, che in Italia e in Europa ha fatto tutto quello che si doveva fare per acquisire l’esperienza e le capacità per misurarsi con un’impresa così ardua. Chi governa e, ancora di più, chi fa opposizione si ricordi che gli italiani chiederanno conto a entrambi dell’eventuale fallimento. Li farebbero sparire tutti dalla scena politica. Ovviamente farebbero molto bene.

Nel giorno del suo novantesimo compleanno è stata intitolata a un uomo molto speciale che non c’è più la ex sede di Barletta della Banca d’Italia. Quest’uomo molto speciale si chiama Vincenzo Desario. Appartiene alla categoria di uomini tutti di un pezzo che non hanno bisogno di parlare per farsi capire e che ho avuto il privilegio di conoscere e frequentare. È il mastino della Banca d’Italia. Ha scoperto i depositi fiduciari della Banca Privata di Sindona. Ha passato al setaccio i conti dell’Italcasse di Giuseppe Arcaini e del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Quest’uomo di Barletta che ho conosciuto nella sua casa a Ostia e ho visto muoversi in cucina con lo stesso piglio del più temuto degli ispettori di Via Nazionale appartiene all’album di famiglia dei grandi servitori dello Stato insieme con Donato Menichella, altro pugliese illustre di Biccari, di cui ricalca alla perfezione la fibra morale e la parsimonia dello stile di vita, e di Giuseppe Di Vittorio, bracciante figlio di bracciante anche lui pugliese di Cerignola e storico segretario di una Cgil che aiutò a ricostruire il Paese dalle macerie della guerra, facendo l’esatto opposto di quello che fa oggi la Cgil di Landini.

Prima del direttore generale della Banca d’Italia per dodici lunghissimi anni stimato da tutti e che Mario Draghi ha voluto nominare direttore generale onorario, ai miei occhi Vincenzo Desario è l’uomo che più si avvicina a una figura per me mitica quale fu quella di Gabriele Pescatore. L’uomo che raddoppiò il prestito Marshall per l’Italia e unì Sud e Nord del Paese come nessun altro con le strade, le dighe e gli acquedotti, conquistando la copertina dell’Economist perché a quei tempi l’Italia era la lepre nell’utilizzo dei fondi comunitari. Come ho detto e scritto più volte siamo davanti alla stessa conoscenza delle norme, tra i due, stesso pragmatismo, stessa riservatezza, stessa capacità di azione, stesso piglio energico.

Quella scorza dura che può unire un magistrato irpino integerrimo che li fa filare tutti e non ruba una lira (definizione di Pescatore di Indro Montanelli) e un servitore dello Stato incorruttibile che ha consegnato la sua vita alla Banca d’Italia e che ha fronteggiato in prima persona il momento difficile delle dimissioni di Antonio Fazio da Governatore nel dicembre del 2005. Nel giorno della festa di Barletta per il più illustre dei suoi concittadini che non c’è più mi sono piaciute le parole di Davide Desario, figlio di Vincenzo, direttore di un grande “Leggo” e di sicuro il più cocciuto dei cronisti durante gli anni della mia direzione del Messaggero, e per questo le voglio riprodurre qui di seguito: “È un cerchio che si chiude. Lì dove tutto cominciò, novanta anni fa a Barletta in via Fraggianni in una delle Sette Strade, si rende onore ad un uomo speciale.

Un marito unico, un padre straordinario, un amico leale, un italiano orgoglioso del suo Paese e un barlettano doc. Mio padre ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia e alla Banca d’Italia, mantenendo un profondo legame con la sua città natale. La decisione del Comune di Barletta, forte della richiesta del Rotary club, ci ha emozionato. E, anche se pensavo fosse impossibile, ci ha reso ancora più fieri di Vincenzo Desario”. Sottoscrivo.

Voglio solo aggiungere una certezza per me granitica. Che oggi più che mai il Paese nella sua amministrazione pubblica ha bisogno dei nuovi Pescatore e dei nuovi Desario. Ha bisogno di quella fibra morale e di quella silenziosa capacità di fare. Che sono un misto di rigore e di competenze esercitate silenziosamente. Oggi per realizzare l’impresa più difficile in questo Paese, che è quella di recuperare la capacità di fare spesa produttiva, la premier Giorgia Meloni ha fatto una scelta di competenza politica e ha affidato la guida del processo di cambiamento della macchina dello Stato a un altro pugliese, il ministro Raffaele Fitto, che in Italia e in Europa ha fatto tutto quello che si doveva fare per acquisire l’esperienza e le capacità per misurarsi con un’impresa così ardua.

Come Paese dobbiamo solo augurarci che ci riesca e sarebbe davvero bene che tutti collaborassero invece di suonare la solita grancassa del disfattismo italiano. Una cosa, però, è sicura: o noi facciamo questa rivoluzione dello Stato e scegliamo gli uomini giusti per attuarla o noi butteremo a mare il secondo grande miracolo economico italiano. Chi ha la responsabilità di governo e, per certi versi, ancora di più chi ha la responsabilità di fare opposizione si ricordi che gli italiani chiederanno conto a entrambi dell’eventuale fallimento. Se volessimo essere onesti fino in fondo, potremmo dire con un minimo di brutalità che gli italiani li farebbero sparire tutti dalla scena politica. Ovviamente farebbero molto bene.


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