Giorgia Meloni tra i soccorritori in Emilia Romagna
5 minuti per la letturaÈ evidente che è proprio il contesto istituzionale e normativo di un animale spurio qual è il federalismo all’italiana il primo responsabile di questo disastro come di molti altri. Ripresentarsi con l’elenco delle 23 deleghe di Calderoli e la sua idea balzana di 20 Regioni che negoziano alla pari con lo Stato, significa ignorare la realtà. Dobbiamo metterci in testa che grandi opere e manutenzione sono indispensabili per mettere in sicurezza il territorio e che senza uscire dalla vergogna di questo federalismo non solo non si fa la transizione ecologica, ma si determina la disintegrazione fisica del Paese. Un po’ troppo per consentire alla Lega di sventolare una sua bandierina in campagna elettorale.
A SUONARE la campana a morto dell’autonomia differenziata è stata l’alluvione dell’Emilia-Romagna con il suo carico di fango e morte. Perché il peso che avrà sul bilancio pubblico italiano la ricostruzione abitativa-industriale-agricola di una delle terre più ricche del Paese, colpita al cuore così pesantemente, non sarà soltanto quello già molto oneroso del sostegno emergenziale per un anno. Di anni di forte sostegno finanziario pubblico ce ne vorranno parecchi. Si fa molta fatica anche solo a immaginare dove si possano trovare i soldi per almeno fare finta di approvare i livelli essenziali di prestazione. Che sono la pre-condizione per qualsivoglia forma di autonomia differenziata e che valgono da un minimo di 60 a un massimo di 70 miliardi ogni anno per sempre se si vuole almeno provare a parificare i diritti di cittadinanza tra chi nasce e vive al Nord o al Sud del Paese come tra chi nasce e vive nelle aree metropolitane e chi invece nelle aree interne in questo caso al Nord come al Sud.
Sulla vicenda emiliana-romagnola pesa la vergogna di 25 miliardi di stanziamenti pubblici non spesi per mitigare gli effetti della furia della natura attraverso gli interventi di messa in sicurezza del territorio. Una vergogna che è frutto della frammentazione decisionale tra ministeri e Regioni con presidenti-commissari dotati di poteri speciali che fanno poco e male e neppure dialogano tra di loro. Questa vergogna misura alla perfezione il baratro a cui ci ha condotto la folle scelta di riformare il titolo quinto della Costituzione pensando che l’Italia era gli Stati Uniti e l’Emilia-Romagna il Texas. Ovviamente non è così e i danni prodotti da questo finto federalismo all’italiana per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri oltre ad allargare pericolosamente il solco delle diseguaglianze sociali ha portato alla paralisi la macchina pubblica centrale e territoriale degli investimenti. Così è se la Regione considerata da tutti un modello di efficienza è costretta a provare sulla sua pelle i guasti di una frammentazione dei processi autorizzativi e decisionali ingabbiati in un ginepraio inestricabile di gare non bandite o se bandite non espletate o se rarissimamente espletate finite in contenzioso.
È evidente ormai agli occhi di tutti – indipendentemente dalle eventuali responsabilità degli amministratori regionali che andranno valutate senza pregiudizi e accanimenti a tempo debito – che è proprio il contesto istituzionale e normativo di un animale spurio qual è il federalismo all’italiana il primo responsabile di questo disastro come di molti altri. In questo contesto, alla luce di queste evidenze, semplicemente ripresentarsi intorno a un tavolo con l’elenco delle 23 deleghe di calderoliana fattura e l’idea balzana dello stesso ministro di 20 Regioni che negoziano alla pari con lo Stato, significa semplicemente ignorare la realtà e volere continuare ad attentare al bene comune. Con questo sistema qui o ritorna in campo lo Stato con strutture specializzate e precise gerarchie di poteri o governare il dissesto idrogeologico è praticamente impossibile in partenza. Non si può nemmeno pensare, non dico ipotizzare, che di fronte a problemi di questo tipo si possa dire che Veneto e Lombardia possono operare perché hanno di più e Calabria e Campania sono abbandonate a se stesse perché hanno di meno. Si mette in discussione in radice l’idea della nazione e il senso profondo di uno Stato. Anche perché, nonostante non ne parli nessuno, su tutta questa vicenda incombono le elezioni europee. Per cui se oggi giustamente prevalgono partecipazione e commozione molto presto non mancherà chi alzerà la voce per dire che prima di finanziare al buio vanno tagliati sprechi e spese varie. Siamo un Paese slabbrato, sfibrato nel suo spirito di comunità proprio dalle distorsioni del federalismo fiscale voluto da Calderoli a sua volta figlio della follia bipartisan della riforma del titolo quinto, ed è inevitabile che sotto elezioni piccole e grandi corporazioni ritireranno fuori i loro egoismi. Non si è riusciti neppure a fare le gare per le concessioni dei balneari, rendiamoci almeno conto di quello che siamo diventati.
C’è la chiave di volta possibile del fondo di solidarietà europea, ma anche qui bisognerà andare a verificare quanta e quale solidarietà effettiva sapranno esprimere gli altri Paesi europei. A muovere i loro comportamenti potranno essere di certo egoismi incompatibili con il disegno di un’Europa federale solidale che serve quasi più a loro che a noi per giocare un ruolo nel mondo e garantire uno sviluppo sostenibile alla popolazione europea, ma dobbiamo almeno renderci conto che quei 25 miliardi non spesi se non in una misura infinitesimale ci condannano in partenza. Abbiamo una sola via di uscita: dire in Europa con lealtà come stanno le cose in Italia e dimostrare con atti e determinazioni che si sta già cambiando percorrendo il cammino inverso del federalismo all’italiana che condanna il Paese intero. Al di là delle nebbie politiche propagandistiche interne che fanno male agli italiani senza dare nulla a chi specula, questo cammino è proprio quello che sta facendo Fitto sia nella riorganizzazione interna del processo burocratico e decisionale sia nella interlocuzione europea puntando su pochi grandi progetti di respiro strategico che hanno i soggetti attuatori giusti per rispettare le scadenze e realizzare gli obiettivi.
Dobbiamo metterci in testa una volta per tutte che le grandi opere e la manutenzione sono indispensabili per mettere in sicurezza il territorio. Dobbiamo soprattutto renderci conto che senza uscire dal federalismo arlecchino italiano non solo non si fa la transizione ecologica, ma assisteremo alla disintegrazione fisica del Paese. Un po’ troppo per consentire alla Lega di sventolare una sua bandierina in campagna elettorale.
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