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Basta con finti capi di governo regionali che fanno incetta di poteri e deleghe, ma erodono la stabilità del Paese. Ritornino la programmazione e lo Stato attraverso due strumenti. 1) Il Fondo che ha il 2/3% del Pil vincolato utilizzando la legge di assestamento e usando la modalità del decreto attuativo per evitare che i moralisti ecologici di domani usino i burocrati di oggi per bloccare tutto; 2) L’Agenzia per il controllo e la gestione dei passaggi fonti finanziarie-impiegointerventi da attuare secondo il cronoprogramma del nuovo Fondo confermando le deleghe commissariali regionali con poteri speciali, ma con l’obbligo di revocarle ogni volta che quei poteri speciali non sono esercitati

Non c’è più tempo per ripetere il solito copione italiano di polemiche, lacrime e dimenticanze davanti a uno scenario da incubo fatto di furia dell’acqua, fango e morti. Industrie, terreni irrigui e aziende agricole, centri abitati e case rasi al suolo in un pezzo d’Italia che è il cuore produttivo globalizzato più innovativo del Paese qual è l’Emilia-Romagna. Non c’è più tempo, anzi direi che addirittura si prova fastidio per le solite lagne contrapposte, perché come questo giornale sostiene da tempo la chiave di volta politico- istituzionale del Paese in grado di affiancare, sostenere e rilanciare il miracolo economico italiano in atto passa per il ritorno a una programmazione di lungo termine e a una capacità di azione immediata che si muova nel solco di quella programmazione. Giorgia Meloni, al ritorno da Tokyo, riunisca immediatamente il Consiglio dei ministri per approvare il solito giustissimo decreto di sostegni per l’emergenza, ma soprattutto per varare non un piano che è la solita scatola vuota italiana, ma bensì un vero e proprio Action Plan contenuto in un decreto legge attuativo. Che disponga, cioè, in modo immediato e vincolante per il futuro l’assegnazione di una quota annua fissa del 2/3% del Pil per prevenire il dissesto idrogeologico con annesso programma esecutivo corredato di fonti finanziarie e di corrispondenti impieghi. A sua volta controllato a livello nazionale con le deleghe confermate ai commissari regionali, ma revocabili all’istante se non rispettano il cronoprogramma predeterminato. Un Action Plan minimo di durata ventennale. Questo, a nostro avviso, significa governare il Paese per cambiarlo in profondità. Servono subito la nuova agenzia centrale di controllo e gestione contro il dissesto idrogeologico e il varo nello stesso decreto immediatamente attuativo, quindi, esecutivo del cronoprogramma temporale e finanziario degli interventi necessari e a tutti noti per i prossimi venti anni. A ogni fonte finanziaria devono corrispondere un impiego riconoscibile e una scadenza temporale determinata non per i prossimi tre mesi, ma mese dopo mese per i prossimi vent’anni, che siano tutti già immediatamente esecutivi con fonti finanziarie e impieghi su ogni singolo progetto in quelle scadenze. Che riguardi questo o quello degli invasi, la canalizzazione delle acque, l’utilizzo energetico, potabile, irriguo della stessa risorsa, la messa in sicurezza ad esempio dei terreni agricoli del Cesenatico che è una delle aree agro-industriali più ricche del Paese, la gestione delle dighe e così via.

Facciamola breve. Oggi, non domani, il governo Meloni vari un provvedimento esecutivo articolato in due punti. 1) Creazione di un Fondo per la messa in sicurezza del territorio alimentato annualmente con una quota che varia dal 2 al 3% del Pil per un ventennio utilizzando la legge di assestamento e usando lo strumento del decreto attuativo affinché si eviti che i moralisti di domani usino i burocrati di oggi e le imboscate parlamentari per fare decadere tutto; 2) Si vari l’Agenzia per il controllo e la gestione degli interventi programmati dall’Action Plan del nuovo Fondo contenuto nel decreto perché si confermino le deleghe commissariali regionali con poteri speciali, ma si abbia la possibilità immediata di revocarle ogni volta che quei poteri speciali non sono esercitati Non è più tollerabile che in Sardegna con un commissario nominato cinque anni fa e con i soldi del Pnrr assegnati non si sia fatto pressoché nulla sugli invasi come altrove su tutto ciò che può attutire gli effetti della prevista siccità di un fiume. Perché questa inerzia operativa significa creare una lastra di ghiaccio che impedisce di assorbire l’acqua. Il rischio di emergenze non può essere gestito da chi persegue l’ottimizzazione della gestione delle dighe perché la sicurezza e l’azione di prevenzione ne risentono molto banalmente perché si punta a ridurre i costi e a massimizzare i profitti. Si gioca con la vita delle persone e il futuro dell’economia di un Paese che non può essere affidato a venti finti capi di governo regionali che fanno incetta di poteri e deleghe, mahanno eroso la stabilità e la base competitiva del Paese assorbiti dalla gestione di mille clientele territoriali.

A Genova grazie al sindaco Marco Bucci, uomo del fare per la sua storia professionale e di amministratore, le opere per la messa in sicurezza contro il dissesto idrogeologico sono in corso di avanzata realizzazione, le Regioni italiane – chi più chi meno – pretendono soldi e deleghe ma gli otto miliardi messi a disposizione dallo Stato, non dai loro bilanci, non li hanno spesi. O fanno marchette o non hanno capacità tecniche. Non sappiamo cosa sia peggio,maquesta è la realtà. Potremmo partire con Sarno e arrivare all’Emilia-Romagna di oggi e, anche senza fare processi ai cosiddetti pasticcioni e ai cosiddetti virtuosi, ce ne è abbastanza per capire e attuare la lezione del ritorno alla programmazione nazionale e alla gestione esecutiva dei singoli progetti in un quadro di stanziamenti di cassa e di opere realizzate rendicontato e verificabile. Soprattutto gestiti da uomini che ne capiscono e bene organizzati.


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