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La Commissione europea certifica ciò che scriviamo pressoché in solitudine da tre anni e, addirittura, mette nero su bianco che nel 2023, indicato da tutti come l’anno della recessione, l’Italia crescerà sei volte di più della Germania. Oltre 12 punti di Pil in tre anni sono già dati da miracolo economico italiano, ma tutti li ignorano e Istat e economia reale ci dicono che a fine 2023 saranno ancora di più. Prendendo atto che Napoli e il Sud sono cresciuti più della media europea, che gli investimenti privati italiani superano quelli tedeschi e francesi, e che la sorpresa Repower-crediti di imposta del Pnrr ci può conservare locomotiva nel 2024.
Mentre il circo equestre mediatico italiano occupa il dibattito televisivo sul voto in questa o quella città dilatando fuori misura ogni tipo di valutazione politica, ci permettiamo di segnalare a tutti che il miracolo economico italiano di cui questo giornale parla da tre anni in assoluta solitudine è oggi certificato anche dalle parole del commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, e dai dati a consuntivo e previsionali di Eurostat sull’andamento del prodotto interno lordo. Per quest’anno, quello che tutti i gufi italiani davano per certo di recessione, l’economia italiana secondo le previsioni europee crescerà sei volte di più di quella tedesca: noi dovremmo fare +1,2%, loro +0,2%.
Ovviamente la previsione è clamorosamente sbagliata per difetto visto che l’Istat proietta un tendenziale italiano del +1,8%, ma le anticipazioni favorevoli sull’andamento del secondo trimestre dopo il +0,5% acquisito del primo fanno presagire risultati ancora migliori. A prescindere da ciò, il dato 2021-2023, secondo i numeri di Eurostat a consuntivo per i primi due anni e previsionali per il terzo, l’Italia è cresciuta del 12,3% e la Germania del 4,7%. Siamo come Paese oltre tre punti più avanti del livello precedente la rovinosa caduta Covid e siamo cresciuti a un ritmo due volte e mezzo più elevato della Germania nel triennio terribile.
Vorremmo essere molto chiari: questi dati ci dicono che l’economia italiana continua ad essere la locomotiva europea nonostante la debolezza persistente delle altre due grandi economie europee, francese e tedesca, con le quali siamo fortemente interdipendenti e nonostante l’Inghilterra del dopo Brexit sia entrata di fatto in recessione. Su quei mercati, visto le loro debolezze che sono l’altra faccia della medaglia della nostra forza, vuol dire che esiste una domanda di beni e servizi che sembra non fermarsi più.
Vuol dire prendere atto che il Mezzogiorno d’Italia, nonostante lo storico pesantissimo fardello di diseguaglianze e di povertà che pesa come un macigno, dopo decenni è cresciuto più della media europea umiliando i gufi dei centri studi meridionalistici che hanno spesso moltiplicato in modo sofferente il masochismo attuale dei centri studi nazionali di imprese e commercio. Questi ultimi per errore conclamato del loro lavoro che ne annulla la credibilità andrebbero proprio chiusi e mai più riaperti, insieme con le dimissioni prontamente accolte dei membri dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) a partire dalla sua presidente, Lilia Cavallari. Hanno tutti insieme sbagliato a ripetizione dal 100 al 400% le previsioni e, nel caso dell’Upb, sono arrivati addirittura a imporre al governo Meloni un Def con numeri previsionali falsi perché nascondono il miracolo in atto con la minaccia di non convalidare il documento.
Sono comportamenti istituzionali molto gravi perché attentano al bene comune e incidono sulla fiducia e sulle aspettative che rappresentano insieme il motore del miracolo economico italiano costruito dal governo Draghi a livello internazionale e interno e non intaccato dal governo Meloni che ne ha preso il posto con una forte investitura popolare.
Non avremmo questi dati se nonostante la brusca frenata di Germania, Francia e Inghilterra, le imprese italiane non avessero anche nei primi tre mesi di quest’anno continuato a investire con gli scampoli di incentivi 4.0. Vorremmo informare i soloni del nulla che dispensano catastrofismo a ogni ora del giorno che, nel pieno delle due grandi crisi post pandemica e da guerra, l’Italia ha raggiunto in valore la Germania negli investimenti in macchine per la deformazione dei metalli con venti milioni di abitanti in meno. Questo lo diciamo perché ci capita di continuare a leggere articoli delle cosiddette migliori penne economiche italiane in cui è scritto che siamo un Paese incapace di spendere e fare investimenti pubblici e privati.
Vorremmo altresì ricordare sempre a tutti che questi dati esplosivi del nuovo boom economico italiano, ancorché fortemente insufficienti rispetto a quelli reali che verranno certificati a fine anno, c’è il primato di un Mezzogiorno d’Italia che è cresciuto più della media europea ed esprime oggi con Napoli il punto massimo di quel desiderio di Italia nel mondo che è alla base del record senza precedenti del turismo in termini di arrivi e di soggiorno e della conseguente super crescita dei servizi. Vorremmo ricordare che il secondo grande miracolo economico italiano in atto, che può essere paragonato a quello del Dopoguerra e potrebbe superarlo se solo tutti ci credessimo un po’ di più, ha già creato un milione di posti di lavoro a tempo indeterminato.
Posti veri, non come quelli promessi anni fa da Berlusconi con tanto di contratto pubblico con gli italiani sottoscritto in tv. Se davvero la testa fosse priva di paraocchi ci potremmo anche rendere conto che le previsioni di ieri sempre della Commissione europea prevedono disoccupazione in calo sia nel 2023 che nel 2024. La stessa Commissione si attende che in Italia il deficit pubblico scenda al 4,5% nel 2023 e al 3,7% nel 2024. Risultati previsti anche dal nostro governo e, ancora una volta, migliori in termini di finanza pubblica delle performance delle altre due grandi economie europee che sono sempre quelle tedesca e francese al netto della spesa per interessi.
Resta il problema vero dell’inflazione core sottovalutato da tutti ancorché le previsioni per l’Italia sono del 6,11% per il 2023 e del 2,9% per il 2024. Qui si può e si deve agire di più per fare scendere l’inflazione core colpendo le rendite indebite da inflazione da profitti sussidiati. Che continuano a incamerare le stesse categorie produttive e commerciali, anche al dettaglio, che ignorano il crollo dei prezzi energetici, delineano scenari difficili o catastrofisti (non veri) e approfittano nell’ombra del tasso di confusione che loro stessi alimentano. Questo è l’altro vizio capitale da stroncare perché incide sulla dinamica dei tassi di interesse della Banca centrale europea (Bce) e, di conseguenza, può rallentare l’azione in atto sulla linea discendente obbligata del debito pubblico rispetto al Pil.
Anche le agenzie internazionali, l’ultimo esempio è venuto da Fitch, guardano all’Italia con più fiducia del nostro Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) e dei centri studi di imprese e commercianti. Il primo e i secondi ignorano peraltro che la sorpresa verrà proprio dal Pnrr che con il Repower Eu dei big energetici e i crediti di imposta darà un contributo molto più forte del previsto di sicuro dal 2024 ma in parte anche nel finale del 2023. Il circuito perverso catastrofista va spezzato immediatamente. Costi quel che costi. Perché non è più tempo di scommettere in casa contro l’Italia come faceva nel novembre del 2011 la speculazione. No, questo è davvero troppo.
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