Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni
9 minuti per la letturaIl nuovo Patto di stabilità e crescita ci toglie ogni spazio fiscale. Sul Pnrr ci può salvare lo sforzo strategico del ministro Fitto di dare al Paese una nuova amministrazione responsabilizzata con capi all’altezza delle competenze assegnate per l’oggi e per il domani. Le opposizioni e le parti sociali lo condividano perché nessuno di loro può giocare con il destino immediato del Paese. Siamo appesi sui mercati a una riduzione debito/Pil di 0,7% nel 2024 e 0,5% sia nel ’25 che nel ’26 che è a rischio alla prima fiammata dello spread. Goldman Sachs compra Bonos spagnoli al posto dei Btp perché credono e attuano il loro Pnrr. Il miracolo economico italiano di Draghi inizia quando le banche di affari anglosassoni decidono di investire in Italia al posto della Spagna perché con Draghi l’Italia sarebbe cambiata. Se volete perdere tempo a parlare di fascismo e antifascismo, fatelo pure. Se volete continuare con il solito pollaio da talk show del nulla, fatelo pure. Nel frattempo bisogna mettere a terra 350 miliardi di titoli pubblici a medio lungo termine.
Noi facciamo zero con il nuovo Patto europeo, lasciate perdere il fumo che tutti spargeranno. Questa è la sacrosanta verità. Perché non abbiamo un minimo di spazio fiscale da usare anche se le trattative negoziali che si aprono ora sul patto di stabilità e crescita della nuova Europa volgessero al meglio. È vero che la riforma della nuova governance europea non ha accolto per ora il diktat tedesco di imporre una riduzione strutturale del debito pubblico dell’1% annuo che sarebbe stato per noi dolorosa. Il punto, però, è che puoi mettere tutta la flessibilità che vuoi, ma noi abbiamo un problema comunque.
Perché il parametro individuato della spesa netta primaria lo rispettiamo nel Def anche quest’anno, e questo è merito del senso di responsabilità del duo Meloni-Giorgetti, ma solo perché non abbiamo messo nulla, ma proprio nulla, su qualsiasi tipo di politica economica. Abbiamo potuto ipotizzare esclusivamente uno scostamento di 4,5 miliardi da concentrare tendenzialmente sulla riduzione del cuneo fiscale per i redditi più bassi, ma a fronte di un fabbisogno di manovra tra spese indifferibili, sanità, pubblico impiego che ammonta a 25 miliardi.
La prossima manovra non ti dà attualmente gli spazi nemmeno per fare le spese inevitabili sul rinnovo del contratto del pubblico impiego – noi mettiamo zero euro, la Germania eroga venti miliardi – ma quel contratto è scaduto il 31 dicembre del 2021 giusto prima che scattasse l’inflazione più alta degli ultimi trent’anni. Questa ipotesi di restrizione fiscale contenuta nel Def ora al voto delle Camere è resa possibile anche dal fatto che nei tendenziali i trasferimenti sanitari scendono di 3,4 miliardi negli anni prossimi. Alla sanità non si dà come tutti chiedono, ma si è obbligati a togliere. Non ci sono dentro neppure le spese indifferibili per le missioni militari, che facciamo? Non finanziamo le spese per la difesa? Per queste ragioni abbiamo detto e ripetiamo che non c’è oggi realmente nemmeno il dibattito sulla politica economica del governo perché il governo non può fare nemmeno l’indispensabile. Figuriamoci se si può aprire un dibattito sulla politica economica che vuol dire decidere di mettere risorse su scelte di investimenti che riguardano il futuro.
Al di là delle nuove regole e delle nuove flessibilità che si negozieranno con i Paesi attraverso trattative dirette che misurandosi su obiettivi realistici saranno più stringenti di quelle che si svolgevano prima su obiettivi ritenuti a priori irrealistici, ciò che è sicuro da subito è che per il 2023 non siamo nella condizione di avere spazi di deficit da utilizzare, e che in futuro per sostenere la crescita si dovranno usare al massimo i margini di manovra sugli investimenti che l’Europa ritiene strategici – digitale e transizione ecologica – all’interno del nuovo Patto.
In questo contesto deve essere chiaro a tutti che è cruciale la sfida del Piano nazionale di ripresa e di resilienza che coincide con la gestione di una delega politica fortemente innovativa che riguarda l’utilizzo di tutti i fondi europei. Sul Pnrr va colto da tutti con onestà lo sforzo strategico del ministro, Raffaele Fitto, di dotare il Paese di una nuova amministrazione responsabilizzata, non centralizzata, con capi all’altezza delle competenze assegnate che serve per l’oggi e per il domani e rompe la ventennale vergognosa stasi italiana nella capacità di fare investimenti pubblici.
La esposizione di Fitto in Parlamento è stata semplicemente esemplare per la chiarezza con cui ha illustrato gli interventi che sono stati fatti per risolvere le criticità ricevute in eredità sulla terza rata e per il metodo con cui si intendono affrontare e risolvere le criticità dei 27 target della quarta rata di fine giugno anticipando il confronto in alto con la Commissione europea e in basso con i soggetti attuatori. Per rendere effettiva, altro che perdere, la spesa di 4 e passa miliardi legata alla scelta strategica di fare investimenti in asili nido che vuol dire occuparsi di parità di genere e di nuovo welfare per il Mezzogiorno.
Sono state rese pubbliche in modo non più discutibile le scelte altrettanto strategiche di utilizzare i big energetici per garantire l’indipendenza italiana e costruire una piattaforma del Mediterraneo che aiuti i Paesi dell’altra sponda e sostenga i fabbisogni europei e quella di sostenere consumi e investimenti attraverso bonus alle famiglie e alle imprese nell’utilizzo dei quali godiamo di performance consolidate di buon livello. Se ci pensate per un attimo il modello Fitto non è nient’altro che quello che questo Paese ha dimostrato di sapere usare meglio di tutti ogni volta che è stato chiamato a superare prove decisive per la modernizzazione del Paese coniugando buona amministrazione a tutti i livelli e partenariato con le grandi aziende pubbliche e private del Paese. Così è stato nella Ricostruzione del Dopoguerra, così è stato nella realizzazione dell’alta velocità ferroviaria che ha fatto da apripista in Europa e che va ora completata in tutta Italia beneficiando peraltro di un mercato aperto alla concorrenza.
È stato, infine, ribadito l’impegno a non perdere risorse agendo con serietà e realismo su priorità e scadenze nell’ utilizzo dei singoli fondi europei in un quadro finalmente organico da sistema Paese. Questi sono i fatti. Solo chi ha pregiudizi e persegue effimeri interessi elettorali di bassa lega non può non rilevare il pragmatismo e la visione che accompagnano l’indirizzo italiano della gestione dei fondi europei frutto della solidarietà post pandemica e dell’impegno strutturale a favore della coesione e dello sviluppo. Anche la polemica assolutamente strumentale, ripetuta quasi ossessivamente dai media italiani, sul conto che pagheremmo per il cambio di governance si scioglie come neve al sole di fronte alle due indiscutibili evidenze che la nuova governance entra in vigore da oggi e che tutto quello che si è fatto fino a oggi lo si è realizzato con la vecchia governance avendo però cura di rafforzarla rendendo a tempo indeterminato tutte le nuove assunzioni operate e rafforzando ulteriormente in modo mirato gli organici a ogni livello centrale e territoriale.
Questo messaggio di realismo e di visione che riproduce la concretezza degasperiana del Dopoguerra tutte le opposizioni e tutte le parti sociali del Paese hanno il dovere di condividerlo e di gridarlo in tutte le sedi, soprattutto all’estero, perché a nessuno di loro può essere consentito di giocare con il destino immediato del Paese che ci mette un attimo a ritornare sotto osservazione dei mercati e, ancora di più, con quella fiducia che è il motore della crescita del miracolo economico italiano reale che proprio analisti di riferimento politico e centri studi delle rappresentanze di imprese e commercio per miserabili motivi lobbistici hanno messo e continuano a mettere in discussione.
Siamo appesi a un filo per la situazione strutturale di debito pubblico che ci accompagna in un quadro globale complicato a causa dell’alta inflazione e dei rischi geopolitici per cui dovrebbe essere chiaro anche a un bambino che i mercati internazionali ci puniscono all’istante se solo percepiscono che il Pnrr lo stiamo abbandonando o non ci crediamo più come sistema Paese. Siccome è un falso assoluto sarebbe bene che tutti riflettano prima di aprire bocca e attentare con tanta disinvoltura al bene comune del Paese. Bisogna che tutti si ricordino almeno che a fine 2022 il nostro debito pubblico è pari al 144% del Pil dopo la più clamorosa rimonta operata dal Dopoguerra a oggi che è quella operata dal governo Draghi grazie a una super crescita biennale dell’11%.
Tutte le opposizioni, nessuna esclusa, hanno oggi l’obbligo morale, prima ancora che politico, di dare una mano all’attuazione di questo progetto Paese. Nessuno di questi soggetti può dire ora o potrà dire domani di non avere capito il senso dell’emergenza che viviamo oggi e che rende, dunque, obbligatorio non solo capire l’importanza dello sforzo strutturale che si sta facendo ma anche esserne soggetti attivi e pienamente partecipi. Non perdiamoci, per favore, in nuovi dibattiti ragionieristici sul nuovo patto di stabilità europeo e sulla finta austerità tedesca che fa la cicala con i salari in casa sua e vuole tenere stretti i cordoni della borsa degli altri, da questo circolo vizioso non se ne esce senza un minimo di unione fiscale europea che è la battaglia delle battaglie in Europa, ma rendiamoci almeno conto che il punto di oggi per noi è che siamo appesi a un filo che è quello dei pochi decimali di riduzione del nostro maxi debito inseriti nel Def.
Questi decimali sono a rischio perché la settimana prossima la Bce rialza i tassi o perché da un momento all’altro lo spread può schizzare. Anche perché basta trasmettere all’esterno la solita sfiducia sul Pnrr, la solita sfiducia sui consumi, e tutto salta. Il 12 maggio i nostri titoli sovrani pubblici avranno il giudizio sul rating di Fitch e la settimana dopo toccherà a Moody’s che classifica già i nostri BTp all’ultimo gradino prima dei titoli spazzatura con un outlook negativo. La stessa Moody’s ha già anticipato che la situazione di alto debito e il contesto di valutazione sul Pnrr non danno per scontata la conferma. Se anche una sola delle quattro agenzie, sbagliando pesantemente, ci mette tra i junk bond i fondi americani non comprano più i nostri titoli di Stato e noi per pagare stipendi e pensioni dobbiamo metterne a terra 350 miliardi a medio lungo termine e 500 in tutto.
Siamo appesi per il loro giudizio a una riduzione del debito/Pil di 0,7% nel 2024 e di 0,5 nel ’25 e nel ’26 e, quindi, il risultato della discesa del debito viene messo a rischio dalla prima timidissima fiammata dello spread. Goldman Sachs ha detto di comprare Bonos spagnoli al posto dei Btp perché sono stati più bravi di noi sul Pnrr. Il miracolo economico italiano di Draghi cominciò quando le banche di affari anglosassoni decisero di investire in Italia al posto della Spagna perché con Draghi l’Italia sarebbe cambiata. Se avete ancora voglia di perdere tempo a parlare di fascismo e antifascismo, fatelo pure. Se volete continuare con il solito pollaio da talk show del nulla, fatelo pure. Per fare la fine dei grandi paesi sudamericani e diventare tutti più poveri è un copione perfetto.
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