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Appartiene al male peggiore della politica e dell’informazione italiane. Sono il concentrato di un dibattito malato della pubblica opinione che mette piccoli interessi di bottega davanti ai grandi interessi del Paese. Un rumore dove i fatti spariscono e prevale il fotoromanzo della politica che non preserva neppure i Palazzi più alti della Repubblica. I fatti sul Pnrr riguardano due stagioni. Nella prima il raccordo con l’Europa lo garantiva il premier in persona, Mario Draghi, per la forza della sua credibilità europea conquistata come capo del governo della moneta che ha salvato l’euro. Nella seconda questo stesso lavoro è stato fatto in modo inappuntabile dal ministro Fitto grazie a un’interlocuzione costante con la Commissione e le strutture sulla base di competenze che appartengono alla sua storia politica europea. Il problema vero è mettere in sicurezza il coordinamento e l’attuazione del Pnrr. Non è possibile che non collaborino tutti, maggioranza e opposizione, burocrazie e forze sociali, per realizzare qualcosa che vale fino a 15 punti di Pil e rappresenta il test dell’Italia per il cambio di status da Paese incapace di fare investimenti a Paese capace di farlo.
Giocare sporco sull’Italia appartiene al male peggiore della politica e dell’informazione italiane. Sono il concentrato di un dibattito malato della pubblica opinione che mette piccoli interessi di bottega davanti ai grandi interessi del Paese. Un concentrato di rumore e menzogna dove i fatti spariscono e prevale il registro del fotoromanzo della politica che non preserva neppure i Palazzi più alti della Repubblica italiana. Che piega alle ragioni di parte mediatiche, politiche, corporative il bene comune mettendo a rischio la credibilità dell’Italia e privandola di quel minimo di solidarietà che appartiene a tutte le grandi democrazie.
Per cui anche quando verrà erogata la rata del Pnrr di 19 miliardi slittata di un mese per tre dossier facilmente gestibili legati a impegni di precedenti esecutivi che richiedono fisiologicamente più tempo si continuerà a dire che il governo Meloni ha un problema in Europa, non che a furia di ripeterlo ci facciamo del male e più di qualcuno cominci a crederci. I fatti ci dicono che sul Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) ci sono state due stagioni recenti. La prima è quella in cui il raccordo forte con l’Europa lo garantiva il premier in persona, Mario Draghi, per la forza della sua credibilità europea conquistata come capo del governo della moneta che ha salvato l’euro. La seconda è quella in cui questo stesso lavoro è stato fatto in modo inappuntabile dal ministro per gli Affari europei, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto, grazie a un’interlocuzione costante con la Commissione e le sue strutture sulla base di esperienze e conoscenze che appartengono alla sua storia politica europea. In assoluto è il ministro che ha dichiarato di meno e ha fatto di più.
Questi sono i fatti al netto della propaganda. Il problema che esisteva nella prima stagione e persiste nella seconda è quello di mettere in sicurezza il coordinamento e l’attuazione del Pnrr. Non è possibile che non collaborino tutti, forze politiche di maggioranza e di opposizione, tutte le burocrazia e tutte le forze sociali, per portare avanti qualcosa che può valere fino a un 15% di prodotto interno lordo (Pil) e rappresenta il test dell’Italia per il cambio di status da Paese incapace di fare investimenti a Paese capace di rimettere in moto la macchina e fare le cose.
Se ripetiamo il coro che siamo il Paese che non tiene fede agli impegni quando abbiamo incassato più di tutti dall’Europa e siamo più di tutti impegnati su un maxi Piano che vale da solo un terzo dell’intero programma di Next Generation Eu, allora è evidente che stiamo fornendo legna al fuoco della solita Italia sui giornali anglosassoni, francesi e tedeschi. Riuscendo nel capolavoro assoluto di farci del male da soli. Il problema vero di oggi è fare in modo che avanzi il progetto della tecnostruttura presso Palazzo Chigi in piena armonia con il Mef portando alle sue conclusioni l’operazione verità e riallineando scadenze e priorità sulla base delle categorie di fondi europei e nazionali che si utilizzano.
Questo processo impone al governo Meloni di guadagnare il rapporto giusto con la pubblica amministrazione mostrando di fidarsi di più. Bisogna evitare che le parti migliori della pubblica amministrazione non si sentano apprezzati e ben voluti dal governo perché altrimenti si entra in quella fase di attesa collettiva che mette la burocrazia in modalità “stiamo a vedere” attendendo l’esecutivo al varco. Sarà difficile tenere questa posizione per l’azione stringente tra cabina di regia e task force che Fitto su esplicito mandato della Meloni sta portando avanti, ma non bisogna lasciare campo libero agli avvelenatori di pozzo locali e centrali che vogliono continuare a fare le marchette di prima e ripetono ovunque che c’è una difficoltà di questo governo a interagire con i corpi dello Stato.
Senza i pompieri l’incendio non si spegne e senza un meccanismo premiale e di controlli che responsabilizzi e coinvolga nella scommessa centrale del Paese tutti i pezzi che contano della macchina pubblica nazionale e territoriale allora sì che il Paese rischia grosso. Non si può proseguire con lo spezzettamento dei finanziamenti e fare finta di niente davanti a una miriade di micro progetti messi dentro alla rinfusa con il ruolo ambiguo di Comuni e Regioni. Perché senza una regia centrale che li coinvolga condividendo allineamenti sulle scadenze e il quadro delle priorità dentro la missione assegnata dall’Europa che è quella del riequilibrio territoriale si finisce in mano ai peggiori egoismi e si diventa la Cenerentola d’Europa. Perché saltano il progetto federale e lo strumento del debito comune e noi perdiamo qualsiasi possibilità di avere credito. Che ci servirà ancora.
Perché deve almeno essere chiaro a tutti che per avere nuovo credito bisogna essere in grado di pagare quello vecchio. Non si può continuare con una politica che parla di usare o meno i termini inglesi e a correre da una piazza arcobaleno all’altra o a usare la storia come clava a ragione e a torto. Non si va molto avanti in un Paese dove il massimo della saggezza politica è che tutti vanno a cercare la causa scatenante dell’ultima generazione. Come dire che tutti cercano la provocazione pensando che sia quella giusta per fare crollare qualcosa. Qui per l’opposizione il problema non è fare crollare il governo, ma non fare crollare il Paese. Il problema della maggioranza non è tenere in piedi il governo se poi per riuscirci fai crollare il Paese. Si mettano tutti alla stanga e si bandisca quel rumore di accompagnamento mediatico e politico che è il crogiolo delle irresponsabilità riunite. Questa volta l’irresponsabilità non sopravvive a se stessa. È bene che lo si capisca in fretta e ci si comporti di conseguenza.
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