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Evitiamo i soliti allarmismi perché la rata arriverà. Prendiamo piuttosto atto che a furia di scassare da dentro e dalle opposizioni chiunque governi eredita un sistema burocratico e decisionale scassati. L’operazione verità riguarda un piano italiano che non tiene di fronte al quadro globale cambiato e investe la responsabilità della Commissione che diventa rigida a scoppio ritardato. Non si tratta più di stabilire chi ha torto e chi ha ragione, ma di costruire attraverso una interlocuzione costante una macchina esecutiva che è finalmente in grado di fare le cose e uno spazio politico che non blocchi il processo riformistico. Per porvi rimedio serve coesione sociale perché bisogna rivoluzionare il dna del nostro sistema che non si ottiene con lo sforzo di una parte e non di un’altra
A furia di scassare il sistema da dentro e dalle opposizioni il sistema rimane scassato per chiunque governi. Erediti sempre un sistema burocratico e decisionale scassati. Tutti più o meno quando sono all’opposizione e molti quando sono al governo ma dipendenti dalle lobby danno il loro contributo attivo perché il sistema resti quello che è e, quindi, inevitabilmente peggiori diventando un sistema sempre più scassato.
Chi è al governo, in particolare, accetta fin tanto che è possibile i pasticci, ci convive cercando di migliorare quasi sempre senza successo, fino a quando arriva poi il momento in cui quei pasticci non sono più accettabili ed esplode il bubbone. Di fatto da questa spirale infernale non se ne esce se non con un accordo nazionale trasversale, ma perché ciò avvenga e produca risultati effettivi bisognerebbe che prima tutti si mettessero d’accordo sul fatto che sono tutti responsabili del pastrocchio.
Compiere questo salto culturale che è tipico delle grandi democrazie, ma anche lì è oggi messo a dura prova dai crescenti rischi geopolitici che incidono sulla tenuta delle comunità nazionali, significa mettere nelle condizioni di governare chi è stato scelto dagli elettori. Siamo davanti alla necessità di cambiare un costume nazionale ed è venuto il momento di prendere atto che non esiste una parte del Paese che è capace di spendere i soldi del Pnrr e una parte che non ne è capace. La verità è che c’è una parte che è capace di spendere meno male e una parte che proprio non ce la fa. L’ipocrisia collettiva è che tutti fingono di essere sani sapendo di essere malati e, al massimo, dicendo che erano malati quelli di prima.
Sulla partita del Pnrr stiamo parlando di problemi derivanti dal precedente governo sulle fasi attuative dei processi di spesa, non delle riforme, e dalla Commissione europea che prima ha fatto finta di non vedere e ora è diventata improvvisamente rigida. Comportamento doppiamente sbagliato perché maggiore severità prima avrebbe contribuito a risolvere i problemi di oggi.
Sulla stessa partita del Pnrr stiamo parlando di problemi di questo governo su temi di impianto riformista che riguardano porti, balneari, codice degli appalti, assetto idrico. Nel primo genere di problemi come nel secondo siamo in presenza sempre di problemi che non metteranno a rischio la rata di aiuti – il tipico allarmismo politico mediatico italiano tocca anche le massime istituzioni tecniche e fa parte della crisi sistemica – ma non vanno sottovalutati perché sono segnali di quella malattia nazionale alla quale proprio l’operazione verità condotta dal ministro Fitto prova a mettere rimedio chiamando tutti alle proprie responsabilità.
Bisogna superare oggi tre tipi di esami distinti. Primo: gli obiettivi oggetto di verifica. Secondo: gli obiettivi intermedi al 30 marzo. Terzo: gli obiettivi a fine giugno. Sono in tutto 55 e ne sono in discussione sette che non sono ancora completati. Non esiste un caso Lituania per noi. Spiccano gli obiettivi non conseguiti dal ministero delle Infrastrutture a guida Giovannini che riguardano quasi integralmente gli investimenti sulla rete ferroviaria e, in massima parte, collocati nel Mezzogiorno tra alta velocità, riqualificazione della rete elettrica e potenziamento dei nodi ferroviari. Bisogna sciogliere con alcuni ritocchi il tema strategico del nuovo codice degli appalti e la messa in gara delle concessioni portuali.
Il punto di fondo, però, è un altro. Riguarda un piano italiano che non tiene di fronte al quadro globale cambiato e investe la responsabilità della Commissione che diventa rigida a scoppio ritardato. Non si tratta neppure più di stabilire chi ha torto e chi ha ragione, ma di costruire attraverso una interlocuzione costante una macchina esecutiva che è finalmente in grado di fare le cose e uno spazio politico che non blocchi il processo riformistico avviato.
Tenendo tutti presente che il futuro del Paese dipende dalla curva della crescita. Se questa non sale, cresce quella del debito e il Paese va gambe all’aria. Dieci punti di prodotto interno lordo (Pil) della crescita italiana possibile sono legati alla attuazione del Pnrr. I ritardi ci sono, è vero, ma la rata arriverà. Tutto possiamo permetterci tranne che perdere tempo con il solito allarmismo che fa solo male alla reputazione dell’Italia. Quello di cui tutti dovrebbero prendere atto è che non funziona come dovrebbe l’amministrazione pubblica centrale e territoriale.
Per porvi rimedio serve coesione sociale perché bisogna rivoluzionare il dna del nostro sistema che non si ottiene con lo sforzo di una parte e non di un’altra. Questo obiettivo è più facile conseguirlo con un governo tecnico quando gli azionisti politici non barano perché non ne beneficia nessuno più degli altri e diventa più difficile quando si passa a un governo politico perché le opposizioni hanno paura che vada a beneficio di una altra componente che si intesta il successo a scapito loro. Però, questo oggi è l’obiettivo irrinunciabile del Paese. Altrimenti sopravviveranno solo macerie e tutti ne pagheranno il conto.
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