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Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso

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Siamo di fronte alla coerenza di un’idea di fondo che permette al Paese di svegliarsi da un lungo sonno e avere una politica industriale che esprime una regia delle dinamiche reali. Prende forma un corpus unico che è la sintesi di questa regia per tutelare i primati della nostra economia e consolidare il patrimonio dell’intelligenza delle nostre reti manifatturiere e di quelle dei servizi del futuro. Si inserisce dentro una politica di programmazione che il modello Fitto nella gestione del Pnrr e di tutti i fondi europei ha restituito al Paese. Rappresentano insieme due scelte di competenza della politica del governo Meloni che andranno verificate con i risultati sul campo, ma sono la base necessaria per conseguire tali risultati. Esprimono il coraggio della politica di cambiare assumendosi le proprie responsabilità.

È SUCCESSO qualcosa che non avveniva da un po’ in questo Paese, ma dopo poco più di quattro mesi di governo Meloni ostaggio di ogni genere di emergenza esterna e interna si comincia ad averne almeno qualche percezione. È tornata in Italia la politica industriale e il ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ne esercita la regia. Non si agisce più a pezzettini, si vede una coerenza di insieme e i risultati di tale azione si potranno verificare nel medio termine, ma è un dato di fatto che si prova a comporre il mosaico di una nuova politica industriale italiana sistemica dopo decenni che solo affermarlo era tabù.

Si è fatto tantissimo, lo abbiamo sempre detto e ci piace ripeterlo qui, con il duo Renzi-Calenda sul fronte degli incentivi fiscali 4.0 che hanno consentito alle imprese di mettere in sicurezza un tasso di innovazione di processo e di prodotto che hanno fatto la differenza anche nei confronti dei colossi della manifattura tedesca. Altrettanta cura si è avuta in modo mirato con il governo Draghi che ha inserito il carburante della fiducia internazionale nel motore di questa macchina industriale innovativa molto frazionata ma cosmopolita.

Quando parliamo oggi di regia della politica industriale da parte del neo ministro Urso e di politica industriale tout court vogliamo, però, mettere a fuoco qualcosa di diverso. Quello di cui stiamo parlando non vuol dire solo essere molto attivi sui singoli dossier dettati dalla grande crisi globale, ma avere anche una strategia complessiva a trecentosessanta gradi sull’unicum industriale italiano. Rispetto al passato la difesa dell’interesse nazionale si percepisce senza la paura che la coerenza di questa azione che vale per l’oggi e per il domani venga scambiata con qualche forma di nuovo protezionismo facendo in questo esattamente quello che da sempre fanno Germania e Francia e avendo in mente che cosa sono davvero la dimensione europea e globale delle alleanze a partire dai nostri partner storici e aprendosi sempre di più ai nuovi mercati. Prima di tutto si è visto un ministero molto attivo su grandi partite industriali in sofferenza dove bisogna sporcarsi le mani soprattutto nel Mezzogiorno e dove si è scontato il prezzo di qualche esitazione di troppo delle gestioni precedenti.

Il decreto di rifinanziamento dell’Ilva per 680 milioni attraverso il canale di Invitalia è la prima tappa di un giro che si chiuderà a maggio 2024 e dove si deciderà di quanto salirà o meno la quota dello Stato secondo una logica transitoria necessaria, ma è comunque un dato di fatto che si è recuperato un rapporto con Arcelor Mittal che si era lasciato degenerare e si è tenuto in vita ciò che appariva destinato a una fine rovinosa su una piazza industriale strategica del nostro Sud. La stessa cosa è avvenuta con Lukoil di Priolo in mani russe dove la situazione non stava precipitando, ma era di fatto già precipitata.

Formulando e attuando da ministro delle imprese e del Made in Italy la norma per l’eventuale commissariamento della raffineria, Urso ha spinto i russi che altrimenti avrebbero venduto a trovare un accordo con il fondo cipriota Goi Energy e ha esercitato su questo accordo il golden power per cui viene eseguito a precise condizioni sugli investimenti e sull’occupazione. Sono due partite industriali simbolo per un Mezzogiorno d’Italia che si candida a un ruolo guida come hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo. Sono due partite che trasferiscono un messaggio molto chiaro e fanno la differenza. Anche sulla necessità che è diventata un’emergenza nazionale di porre riparo a una privatizzazione delle telecomunicazioni italiane confusa e dannosa, è evidente che sarà il Consiglio di amministrazione di Tim a scegliere tra americani e Cassa depositi e prestiti.

È difficile, però, negare che tra una frenata e l’altra e qualche paura di troppo di bagni di sangue da parte della guida politica dell’azionista pubblico, sono arrivati segnali molto chiari dal dicastero delle imprese e del Made in Italy sulla strategicità del controllo pubblico della rete del futuro che va in qualche misura oltre il controllo delle decisioni strategiche. Si tratta anche in questo caso di un segnale chiaro che la politica industriale in Italia è tornata, ha finito di nascondersi. Perché la rete delle intelligenze, della comunicazione digitale e della informazione di sicurezza sono patrimonio dell’interesse nazionale e vanno tutte preservate dagli effetti nefasti delle privatizzazioni dei nocciolini e di quelle con i soldi nostri della razza padana.

Che cosa dire di quello che l’Italia ha fatto e sta facendo per l’industria dell’auto contro un regolamento sganciato dalla realtà che vuole bandire dal 2035 tutto tranne le auto elettriche mettendo a rischio patrimoni italiani e tedeschi che vanno invece adeguati, non annientati? Anche qui si è visto un gioco di squadra a livello europeo triangolando con Germania e Polonia che ha fatto tornare l’Europa con i piedi per terra che non vuol dire affatto rallentare su transizione ecologica e ammodernamento. L’Italia si è fatta sentire anche sulle date irrealistiche del regolamento Euro 7 che significa non costringere un esercito di imprese italiane piccole e medie della componentistica a riconvertirsi ma semplicemente a chiudere. Così come lo ha fatto e lo sta facendo su terreni altrettanto strategici per noi che riguardano il packaging e molto altro. Il senso forte della sfida di un fondo sovrano che restituisca all’Europa e all’Italia dentro l’Europa il peso che meritano.

Capirete da soli che dietro ognuno di questi singoli tipi di intervento si sente il segno del ritorno della politica industriale. Ancora. Una legge nazionale per lo spazio che regoli il lancio di satelliti e di razzi è un altro obiettivo fisso che parla di un’idea di futuro dell’economia troppo a lungo bandita. La riforma degli incentivi alle imprese con una delega da esercitare in due anni segnala la consapevolezza, evidentemente smarrita altrove, di cercare risorse dagli avanzi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) per portare l’incentivo fiscale alla sua piena intensità anche se bisogna dire che qui le cose vanno messe a posto in fretta. La delega va esercitata subito. Lo stesso disegno di legge sul Made in Italy con misure contro la contraffazione e azioni a sostegno della vendita e del rilancio del brand italiano all’estero fortemente voluto da Urso mette a fuoco una sensibilità nuova. Si percepisce una coerenza di azione per sostenere in modo competitivo un’idea globale di politica industriale italiana che ha il suo trofeo nel record dei 650 miliardi di esportazioni e che era stata fino a oggi sommersa da un finto liberismo che è la sintesi del motto “ognuno per sé e Dio per tutti”. Siamo di fronte, dunque, a un’idea di fondo che è quella di avere dichiaratamente una politica industriale e, soprattutto, di avere una regia delle dinamiche industriali reali del Paese.

Comincia a prendere forma un corpus unico articolato in più punti che è la sintesi di questa regia per favorire la crescita dell’economia reale che a sua volta si inserisce dentro una politica di programmazione che il modello Fitto nella gestione del Pnrr e di tutti i fondi europei sta finalmente restituendo al Paese. Rappresentano insieme due scelte di competenza della politica operate dal governo Meloni che andranno ovviamente verificate sul campo alla voce risultati, ma che sono di sicuro la base necessaria per conseguire tali risultati e sono anche espressione di un coraggio della politica di cambiare assumendosi le proprie responsabilità che si era smarrito da un bel po’.


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