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È intollerabile che quando i prezzi energetici si impennano tutti portano alle stelle i prezzi di vendita dei prodotti, chiedono sussidi e incassano, ma quando crollano i prezzi di vendita restano stellari e sussidiano i profitti acuendo la delicata questione salariale. Servono verifiche a tappeto e sanzioni durissime. Se il caro energia aumenta il costo di costruzione di una macchina e simbolicamente il suo prezzo di vendita sale da 100 a 120 ora che non c’è più almeno va ridotto a 110 se no invece di compensare i costi si aumentano i profitti e si trasferisce al sistema non un costo da inflazione ma da profitto. Fino a quando questo muro della avida ottusità italiana non verrà abbattuto, sarà impossibile per la Bce non fare fronte all’inflazione ingiustificatamente alta alzando i tassi. Che a noi fa più male di tutti. Si elimini la “droga” dei furbetti dai listini e sui salari si dia ascolto al Governatore Visco
Imprenditori, grande e piccola distribuzione, aziende di servizi, commercianti: ora basta giocare contro l’Italia! Non è più possibile tollerare che quando i prezzi dell’energia si impennano tutti fanno salire alle stelle quelli finali di ogni genere di prodotto, chiedono sussidi da mattina a sera e incassano più o meno dalla mano pubblica a seconda dei momenti, ma quando i prezzi dell’energia si sgonfiano potentemente i prezzi finali di vendita restano stellari e continuano a sussidiare i profitti facendo rischiare la recessione al Paese intero e acuendo i termini di una già delicatissima questione salariale italiana. Il prezzo del gas è sotto i 43 euro e siamo ai minimi del dicembre 2021, ma i listini dei prodotti di largo consumo non tornano sulla terra dal cielo dove sono stati portati mettendo sul conto del consumatore il sussidio che si è comunque chiesto allo Stato e, addirittura, i prezzi degli alimentari continuano a salire scalando le vette del “Paradiso” opaco dei loro indebiti guadagni.
Si gioca con il destino dell’Italia per massimizzare i propri profitti dopo due anni di super crescita senza mostrare un minimo di ritegno benché non possa sfuggire a nessuno di questi operatori economici che il tema dell’inflazione e dei tassi per un Paese a alto debito come l’Italia è assolutamente cruciale. Tutte le strutture deputate a livello di governo e di amministrazione devono fare sentire il peso di verifiche a tappeto e sanzioni esemplari perché si sta scherzando con il fuoco nascondendosi dietro il solito gattopardismo italiano.
Le stime preliminari di febbraio dell’Istat sono inequivoche. L’inflazione su base mensile scende dal 10% al 9,2, ma a fronte di un calo dei prezzi energetici regolamentati del 16,7%, aumentano tutti i prezzi degli alimentari lavorati e non lavorati, di quelli dei Tabacchi, dei servizi ricreativi, culturali e dell’intera filiera dei trasporti. Aumentano tutti ovviamente dopo essere già aumentati o restano inspiegabilmente alti per quella stessa produzione che beneficia della discesa del caro energia. Altrimenti non ci si ritroverebbe con un’inflazione complessiva che scende per effetto esclusivo della caduta verticale dei prezzi energetici, ma con una componente di fondo – è quella al netto del fenomeno energetico congiunturale – di quella stessa inflazione di origine bellica che sale invece del 6,4% e, addirittura, quella del cosiddetto “carrello della spesa” che risale a +13% dopo il rallentamento registrato a gennaio.
Non si tratta di un problemino di poco conto o di poco peso. Perché in un quadro globale dove persistono grandi incognite come la frizione ormai evidentissima tra Cina e Occidente che mette in discussione le catene della logistica e a rischio i tassi di espansione internazionale, è evidente che queste incertezze acuite dal forte nazionalismo indiano e dalla frammentazione europea non possono non incidere sulle modeste responsabilità delle banche centrali.
Così come è evidente che influenzano i comportamenti dei rappresentanti dei Paesi nordici della Banca centrale europea (Bce) spingendoli ad un atteggiamento sempre più tranchant di rialzo dei tassi e fanno scattare un parallelo atteggiamento dei membri del board dei Paesi del Sud Europa che spingono a tenere un po’ di più le carte in mano perché bisogna evitare che per bloccare l’inflazione si faccia pagare un costo troppo elevato all’economia.
Ci rendiamo, dunque, conto di quanto male possano fare i furbetti di casa nostra indebolendo tra l’altro la posizione italiana nella Bce? Parliamoci chiaro. L’inflazione europea e, quindi, anche quella italiana è figlia del fatto che abbiamo avuto uno shock energetico e che non si sono valutate adeguatamente le capacita di risposta alla crisi pandemica e alla guerra mondiale delle materie prime determinata dai carri armati russi in Ucraina a causa della dipendenza europea dal gas di Putin. Peraltro, su questo fronte, l’Italia è stata più brava della Germania e di tutti i Paesi europei a ridurre nel minor tempo possibile questa dipendenza e gli effetti già si vedono sui prezzi energetici.
Si tratta, dunque, di un’inflazione tutta diversa da quella americana che è l’eredità di una capacità di spesa degli Stati Uniti superiore alla produzione con una spinta inflazionistica incorporata mettendo i soldi nelle tasche degli americani. Da noi il problema è solo nostro al netto del fenomeno energetico. Il problema oggi è quello dei furbetti della produzione, del commercio e dei servizi perché da noi i salari non sono cresciuti straordinariamente, ma è viceversa aumentata molto la domanda di recupero delle imprese con un trasferimento dei costi dell’energia sui prezzi finali. Ora che c’è la riduzione dei prezzi energetici anche i prezzi finali dovrebbero scendere e invece non scendono e fino a quando questo muro della avida ottusità italiana non verrà abbattuto sarà praticamente impossibile per la Banca centrale non fare fronte all’inflazione che resta ingiustificatamente alta nel solo modo che ha a disposizione e che è quello di alzare i tassi.
Si farebbe bene a dare ascolto al governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, quando invita l’Europa non l’Italia, perché la politica monetaria si fa lì e noi contribuiamo solo per il 15%, a stimolare un dialogo sufficiente tra autorità di governo, autorità monetaria, confederazione degli industriali e partner sociali che sono i sindacati proprio per tenere tutti insieme sotto controllo le pressioni inflazionistiche. Perché la via di uscita si costruisce facendo in modo che l’aumento dei prezzi energetici non sia assorbito dagli altri prezzi anche quando scendono e facendo crescere i salari come deve essere con la produttività, non con la droga dei furbetti che alla lunga svuota le tasche di tutti. Se il prezzo dell’energia fa aumentare il costo di costruzione di una macchina e simbolicamente il suo prezzo sale da 100 a 120 ora che quel prezzo energetico di costruzione è crollato va ridotto almeno a 110 il prezzo finale di vendita se no invece di compensare i costi si stanno aumentando i profitti e si trasferisce all’intero sistema non un costo da inflazione ma un costo da profitto.
Comportamento vergognoso che ha anche lo spiacevole effetto collaterale che siccome nella Bce si vota a testa perché uno vale uno e ci sono paesi baltici con inflazione a due cifre, è evidente che la politica monetaria restrittiva diventa inevitabile e noi siamo il Paese, alla pari con la Grecia, che paga il costo più elevato. Perché alzando i tassi i Paesi nordici pensano ai loro investimenti ma quella stessa politica restrittiva danneggia i nostri investimenti e il nostro stesso Paese. Un po’ troppo, signori furbetti dell’inflazione! Se poi, come capita a volte di ascoltare, volete farci anche la morale, allora la misura è davvero colma.
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