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Pronto il decreto legge che fa quello che questo giornale ha chiesto tre anni fa. Arrivano Struttura di missione, Ispettorato Generale, poteri sostitutivi e decisioni anche senza intesa con Regioni e Comuni. Massima sovranità politica a dicasteri e enti locali nella sala di comando in cabina di regia. Il provvedimento esprime la visione di una scelta di competenza che riunisce in un’unica guida politica la gestione di tutte le risorse europee e nazionali e l’orizzonte di legislatura del governo Meloni espressione della stabilità politica. Che è oggi l’atout del Paese per tutelare in casa e fuori il miracolo della sua economia e guadagnare posizioni di sistema in Europa. Si torna a guardare non all’oggi e al domani, ma al dopodomani. Questi cinque anni di legislatura sono un’occasione unica per il Mezzogiorno italiano e l’ultima opportunità che ha l’Europa per superare l’unico, grande squilibrio territoriale sopravvissuto a tutto e a tutti

Il decreto legge messo a punto dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e dal ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, coinvolge praticamente tutti i dicasteri dell’esecutivo e rappresenta il primo grande atto di riforma della pubblica amministrazione da venti anni in qua. Restituisce al Paese quella governance centralizzata che il nostro giornale ha chiesto tre anni fa affinché si smetta di accatastare carte e si possano aprire i cantieri e investire in spesa produttiva la montagna di risorse europee che a vario titolo affluiscono al nostro Paese e si combinano con quelle nazionali preservate.

Si conferisce a dicasteri e enti locali la massima sovranità politica partecipando a pieno titolo alla cabina di regia che è la sala di comando dell’utilizzo di tutti i fondi europei e nazionali. Il dato strategico, però, è un altro e, come più volte anticipato da questo giornale, riguarda l’accorpamento presso la sede più alta di tutte le funzioni esecutive. Che diventano un unicum assoluto attraverso la Struttura di missione presso Palazzo Chigi, l’Ispettorato generale per il coordinamento operativo e la rendicontazione a Bruxelles, i poteri sostitutivi e di superamento del dissenso, la semplificazione delle procedure di gestione finanziaria del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza (Pnrr) e la stabilizzazione del personale ad esso dedicato.

Siamo di fronte a una vera rivoluzione che imporrà a tutti i ministeri di riorganizzare le loro strutture dedicate sostituendosi quando è necessario alle Unità di missione, taglierà del 50% le scadenze per pareri degli enti locali, ricorsi e espropri fino a sancire il principio chiave che i provvedimenti del governo diventeranno esecutivi anche senza intesa con Regioni e Comuni. Soprattutto finirà la lunga stagione della elemosina senza nulla togliere al motore proponente di ministeri, Regioni, Comuni e, in genere, di soggetti attuatori.

Si chiude questa specie di “messa pezzente” che imponeva ogni anno di misurare la fattibilità dei singoli progetti con le risorse realmente disponibili trovandosi quasi sempre di fronte a muri invalicabili. Avevamo chiesto all’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di sfidare un assetto costituito che nel corso degli ultimi due decenni si era cristallizzato in una sostanziale incapacità di mettere a terra qualsivoglia investimento indipendentemente dalla sua qualità. Avevamo segnalato questa urgenza, richiamando l’esperienza politica e tecnica della prima Cassa del Mezzogiorno del Dopoguerra che partiva da De Gasperi e arrivava fino a Pescatore, perché avevamo pienamente contezza dell’intreccio abnorme di incapacità tecniche diffuse a livello centrale e territoriale e dell’altrettanto abnorme carico di vincoli amministrativi, contabili, civili e penali che di fatto paralizzano da sempre ogni tipo di intervento. Questi sono i fatti, il resto chiacchiere pericolose.

Per amore della verità il governo di unità nazionale guidato da Draghi fece propria l’intuizione più volte sollecitata da questo giornale e individuò nella cabina di regia presso Palazzo Chigi e nei poteri sostitutivi centrali affiancati dall’azione di monitoraggio della Ragioneria una forza d’urto che avrebbe dovuto sbloccare la stasi permanente nella capacità di spesa pubblica per investimenti. Qualche passo in avanti si è visto, ma inferiore alle aspettative e a ciò che serve perché componenti rilevanti dei partiti della larga coalizione e, ancora di più, i mandarinati di Stato e territoriali della nostra pubblica amministrazione a loro collegati si sono messi sempre di traverso e hanno influito non poco addirittura nella caduta anticipata del governo di unità nazionale.

Per portare a casa questo primo grande atto di riforma della pubblica amministrazione servono la visione espressa con una scelta di competenza che ha riunito in un’unica guida politica la gestione di tutte le risorse europee – Piano nazionale di ripresa e di Resilienza (Pnrr), Piano nazionale Complementare (Pnc), Fondo di coesione e sviluppo, politica agricola comune –  e soprattutto un orizzonte di legislatura che è quello che si è dato il governo Meloni come espressione della stabilità politica. Che è oggi il principale atout del Paese per tutelare in casa e fuori il miracolo della sua economia e guadagnare posizioni di sistema in Europa. Il Piano generale dei Trasporti e la legge Obiettivo che misero insieme programmazione e capacità effettiva di spesa coinvolgendo i privati e cambiando il Paese furono possibili perché si operò dentro un quadro di stabilità politica e si ebbe la capacità di guardare non all’oggi e al domani, ma al dopodomani. Questi cinque anni di legislatura sono un’occasione unica per il Mezzogiorno italiano e probabilmente anche l’ultima opportunità che ha l’Europa per superare l’unico grande squilibrio territoriale sopravvissuto a tutto e a tutti. Se almeno ne siamo consapevoli sottraendoci al solito rumore mediatico italiano di chi è sempre contro per partito preso, allora il primo grande atto di riforma della pubblica amministrazione produrrà i suoi benefici effetti per il Sud come per il Nord. Lo abbiamo chiamato modello Fitto perché ci fidiamo e riteniamo che tutti abbiano il dovere di collaborare. Perché l’interesse generale viene prima di tutto e di tutti.


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