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Le intuizioni anticipatrici di Panetta (Bce) su capitale umano, amministrazione e governance quando il dibattito sul tema cruciale del Paese si era spento per fare oggi una squadra seria che venda il prodotto Sud nel mondo e la nuova politica culturale del ministro Sangiuliano che pone al centro gli investimenti invece dei festival di piazza e rilancia i luoghi della cultura come moltiplicatori di ricchezza e di lavoro. Si è dato in pochi mesi a questo nostro unicum una dimensione competitiva che rende attrattivi tutti i nostri territori restituendo al Sud ciò che era stato tolto e offrendo alle sue intelligenze opportunità in un contesto dove qualità della vita si sposa con manifattura e agricoltura di qualità. Dentro un disegno strategico di hub del Mediterraneo che sostiene la crescita europea. Sbarazzandosi dei vertici di Sace, Ice e Fincantieri e utilizzando l’autonomia solo per fare l’operazione verità.
Diamo a Cesare quello che è di Cesare. Il primo a dirlo con chiarezza assoluta fu a Foggia Fabio Panetta, allora direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Ivass oggi apprezzatissimo membro del board della Banca centrale europea, nel settembre del 2019. Fu il primo a dire in una fase in cui il dibattito sul tema si era spento da tempo che lo sviluppo del Mezzogiorno è una priorità nazionale.
Ponendo al centro capitale umano e pubblica amministrazione per innalzare quel tasso di efficienza indispensabile affinché la capacità realizzativa diventi il motore di un Paese che torni a fare investimenti pubblici mobilitandone altrettanti di privati sul territorio. Poi, per la verità, Panetta ha fatto di più. Perché in una serie di interventi in tutte le sedi si è spinto a dire in sostanza che la geografia e la storia giocano a favore del Mezzogiorno come punto di massima attrazione di capitali produttivi internazionali purché qualcuno ci metta davvero la testa e faccia una squadra all’altezza per vendere il prodotto Mezzogiorno nel mondo.
La riglobalizzazione determinata dalla guerra mondiale delle materie prime causata a sua volta dai carri armati russi in Ucraina ha rivoluzionato le catene globali della logistica e fanno del nostro Sud un’area di sicuro più competitiva dei territori emergenti e dei mondi autocratici nell’attrazione di investimenti globali manifatturieri, agroindustriali e energetici, per la transizione verde e la valorizzazione delle ricchezze culturali, ambientali e di capacità produttive inespresse del nostro Mezzogiorno. Che ne fanno un unicum per diventare volano di crescita anche per le produzioni di altre aree del Paese, avviando un circolo virtuoso di investimenti e crescita sia al Sud sia al Centro Nord. Il nuovo quadro geopolitico delineato dal combinato disposto della crisi globale pandemica e della grande guerra nel cuore dell’Europa hanno rimesso in discussione il tradizionale asse Est-Ovest a favore di quello Sud-Nord perché a fare la differenza è il patrimonio di materie prime e di terre rare del continente africano allargato per la vecchia e la nuova economia.
Tutto ciò fa geograficamente del nostro Mezzogiorno il grande hub naturale energetico, manifatturiero, culturale e agricolo del Mediterraneo per sostenere e intensificare la crescita europea. Vogliamo essere molto chiari su questo punto. È evidente che per sfruttare il doppio vantaggio storico e geografico c’è bisogno di ricostruire la pubblica amministrazione, di creare un ambiente fiscale favorevole e di dotarsi di una nuova governance adeguata in grado di attrarre capitali internazionali. C’è, però, chi più di altri si sta muovendo in questa direzione strategica mostrando sensibilità nuove e chi invece no, mi riferisco esplicitamente a Sace, Ice, Fincantieri.
Rendetevi conto dall’abisso che separa la mobilitazione congiunta di tutti i big dell’energia e i ministri competenti sul piano Mattei e le insopportabili lentezze dei nuovi vertici della Fincantieri che non sono nemmeno paragonabili con il dinamismo di chi li ha preceduti per non parlare di quanto le imprese italiane paghino le diseconomie dei nuovi vertici di Sace e Ice che pongono vincoli invece di aiutare come fanno i loro confratelli francesi e tedeschi. C’è, però, qualcosa di molto interessante che si sta muovendo con effetti evidenti per l’intero Paese ma in modo accentuato per il Sud e il Centro.
Riguarda la nuova politica del ministro per cultura, Gennaro Sangiuliano, che ha messo al centro della sua azione gli investimenti, non i festival di piazza. C’è un’attenzione moderna nuova ai luoghi di cultura come moltiplicatori di ricchezza e di lavoro, a partire da Napoli capitale del Mediterraneo, che va segnalata. Perché attrarre capitali intenzionali significa anche attrarre turismo internazionale di qualità che paga come è giusto per vedere e godersi le nostre bellezze. Perché si è avuto anche cura di utilizzare parzialmente queste nuove risorse per occuparsi di chi ha meno come è avvenuto decidendo di devolvere una parte significativa degli incassi del Pantheon a Roma a favore delle mense della Caritas.
Il punto, però, davvero qualificante è quello di fare viaggiare insieme economia e cultura rompendo il tabù storico di una politica fatta di tante risorse distribuite sul territorio per sagre di paese o pseudo festival culturali di questo o quello degli amici della politica di clientela del territorio. Investire su Pompei come sugli Uffizi, sulla Pinacoteca di Brera come su La Fenice di Venezia per unire cultura e economia aprendo, ad esempio, questi luoghi della cultura unici al mondo alla ristorazione di qualità con i prodotti di qualità della filiera agricola e alimentare dei rispettivi territori, significa mettere le basi perché il prodotto interno lordo italiano (Pil) possa finalmente conteggiare la vendita nel mondo in modo strutturato dell’unicum assoluto di questo Paese per il quale siamo conosciuti e riconosciuti.
Questo significa fare politiche di sviluppo e creare occupazione di qualità. Questo significa rendere attrattivi i territori meridionali perché le intelligenze restino con soddisfazione in un ambiente dove la qualità della vita si sposa con manifattura e agroindustria di altrettanta qualità. Dove le grandi direttrici energetiche, l’exploit dell’industria del mare, le nuove reti ferroviarie e digitali contribuiscono a creare quell’ambiente complessivamente attrattivo che non parla più da Sud a Sud ma offre all’Europa il suo hub del futuro.
Questo sogno oggi, con l’aiuto della storia e della geografia e di una politica che lo ha capito, può diventare realtà ed è solo per questo che ci siamo permessi di dire che l’operazione verità che deve accompagnare l’autonomia differenziata che non ci piace affatto può essere almeno utile a fare chiarezza sui divari colpevolmente costruiti in decenni di distribuzione distorta della spesa pubblica e di servizi diseguali che andranno ora colmati. Così almeno ci capiamo e evitiamo di recitare il solito copione implorativo del nulla. Che acuisce da sempre i divari.
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