Christine Lagarde
6 minuti per la letturaLe decisioni prese dalla Bce sono quelle anticipate dai mercati, ma le parole in libertà della sua presidente le contraddicono e fanno volare sopra il 4% i rendimenti dei nostri titoli pubblici. In questa situazione nuova Giorgia Meloni non può parlare più solo ai suoi fan ma a tutti. Deve fare le cose e, nella giornata di ieri, con le semplificazioni del codice degli appalti e un nuovo testo liberalizzatore sui servizi pubblici locali che apre ai mercati più di quanto apriva il governo Draghi, ha fatto le cose. Questa è la strada obbligata da percorrere, anche per concorrenza e giustizia, smentendo le previsioni. Questo serve come serve interrompere subito la melina sul meccanismo europeo di stabilità (Mes). Perché siamo rimasti gli unici e bisogna solo aderire. Anche perché siamo pure gli unici ad averne bisogno per la sanità.
L’incapacità di selezionare le persone giuste per i ruoli che dovranno ricoprire è un problema serio. Madame Lagarde è un avvocato d’affari e un politico navigato, non è un banchiere centrale. Non ha ancora capito bene che deve gestire una comunità economica, non una banca commerciale o una merchant bank. Questo tipo di banche si gestisce con il comando. Una comunità economica alla quale parla chi guida una delle più importanti banche centrali del mondo si gestisce sulla base della leadership e, un po’ come il coraggio, chi non ce l’ha, non se la può dare. Anche la fisiognomica da strega di Biancaneve non aiuta. Al di là di tutto è davvero necessario che Christine Lagarde si renda conto che il suo atteggiamento e le sue parole in libertà possono buttare tutto all’aria perché ormai è un dato di fatto che non sa comunicare.
Non ha ancora piena consapevolezza Madame Lagaffe che quando parla il presidente della Banca centrale europea, i suoi interlocutori non sono più solo una platea ristretta di specialisti, ma anche il commerciante di Abbiategrasso o di Caltanissetta. Attraverso le tv di tutto il mondo entra in tutte le case. Al commerciante di Abbiategrasso o di Caltanissetta deve arrivare il messaggio che siamo in mezzo alla tempesta ma al timone della Bce c’è chi ha le idee ben chiare, garantisce per tutti e non molla la presa. Serve un altro Draghi. Non le parole in libertà della Lagarde. Che deve imparare in fretta a esprimere nei suoi interventi più saggezza e meno allarmismo. Un mondo già in subbuglio fa fatica a convivere con la confusione dei messaggi monetari.
La cosa davvero antipatica è che le decisioni prese dal Consiglio della Bce sono tutte quelle anticipate dai mercati. Aumento dei tassi di mezzo punto e riduzione del bilancio in un range tra 10 e 20 miliardi con una scelta caduta proprio nel mezzo a 15. Tutto è cambiato quando ha parlato lei per dire che siamo in un lungo percorso e ha fatto capire che di questi aumenti di mezzo punto ce ne saranno tanti, come dire che siamo solo all’inizio del tragitto. Queste parole sono risultate scioccanti perché certificano che i falchi hanno vinto nella Bce. Alle orecchie dei mercati suonano la musica della recessione. Perché loro scontavano come tasso finale una fascia oscillante dal 3 al 3,25 mentre oggi siamo già al 2,5 e se ogni aumento è di mezzo punto e questi aumenti saranno tanti vuol dire che i tassi saliranno molto di più di quanto si aspettavano i mercati. Vuol dire che non avevano capito nulla e che è una cosa grave. Vuol dire, soprattutto, che si spaventa chi fa l’economia e questo incide sulle aspettative, produce danni certi.
Il primo messaggio dato è quello dei falchi: il nemico da abbattere è l’inflazione e noi andremo in recessione nel 2023. Era un messaggio dei falchi della Bce, non del presidente della Bce e, quindi, di tutta la Bce. Sembra quasi un messaggio americano per l’intera Europa perché significa che l’inflazione è scappata di mano e bisogna agire subito. Il secondo messaggio riguarda, invece, i Paesi più indebitati e, tra questi, in primissima fila proprio l’Italia. Siamo di certo quello che soffrirà di più. Perché il costo del nostro debito aumenta, già ieri il rendimento del decennale è risalito ampiamente sopra il 4% e lo spread ha raggiunto la punta dei 220. Perché è in arrivò il nuovo patto di stabilità e di crescita che ci chiederà di ridurre il debito in modo realistico e, quindi, da fare, non da promettere. A tutto ciò si aggiunge che quando si va in recessione i tassi dovrebbero scendere invece in questo caso salgono e i margini di manovra per il governo italiano si restringono ulteriormente.
La morale è che hanno vinto i falchi che vogliono che l’inflazione europea sia aggredita e basta come si è fatto e si sta facendo negli Stati Uniti ignorando che la nostra inflazione è all’80% da caro energia e quella americana no e che, quindi, per noi se non si ferma la guerra o non si prendono provvedimenti seri per fare scendere il prezzo del gas il problema non scompare. Tanto è vero che quasi a certificare la sua resa le stesse proiezioni della Bce parlano di ritorno dell’inflazione al 2% nel 2025 e, quindi, nel 2023 e nel 2024 dovremo convivere con tassi alti e tutto quello che comporta per il nostro debito e per la nostra economia.
In questa situazione nuova per Giorgia Meloni si impone di governare imponendosi di parlare non più solo ai suoi fans ma a tutti. Anzi, se possibile, deve impegnarsi a convincere ogni giorno di più quelli che non sono con lei. Questo è fondamentale per un capo di governo. Bisogna dire “ce la facciamo” e soprattutto bisogna farcela. Si devono fare le cose. Le cose che si fanno non vanno fatte alla faccia di qualcuno, sentiamo ancora troppi nella Destra che pensano di essere in campagna elettorale e ripetono “noi siamo con i commercianti e contro i banchieri”. Chi governa e vuole fare la storia è a favore di tutti, non contro qualcuno. Costruisce in silenzio la crescita e trasferisce fiducia, non cerca divisioni e rimpalli di responsabilità. Nella giornata di ieri si è data una bella spallata con la semplificazione del codice degli appalti e un testo sui servizi pubblici locali che apre ai mercati più di quanto apriva il governo Draghi. Questa è la strada obbligata da percorrere, come sembra il governo intenzionato a fare anche per concorrenza e giustizia smentendo le previsioni.
Questo serve come serve interrompere subito la melina sul meccanismo europeo di stabilità (Mes) perché siamo rimasti gli unici e bisogna aderire e basta. Peraltro siamo di certo tra i pochi ad averne un bisogno immediato se vogliamo disporre dei quattrini necessari per fare qualcosa di serio sulla sanità e rispondere così ai bisogni urgenti di tutti i cittadini, ma soprattutto di quelli che vivono e lavorano nei territori più deboli dove il problema della sanità è gigantesco. Per rispondere al messaggio “bestiale” della Lagarde non resta altra strada da percorrere al capo del governo italiano.
Giorgia Meloni dica ai suoi di smetterla di perdere tempo con il Pos sul quale si fanno peraltro solo brutte figure per il fatto in sé e le conseguenti penose retromarce. Impegni piuttosto le sue energie e quelle della sua squadra di governo con il massimo di convinzione sulla strada delle riforme onorando gli impegni assunti in Europa che sono gli unici a consentire di mettere le basi per una crescita duratura e sostenibile di lungo termine attraversando indenni i venti contrari della recessione globale. Questo cammino farebbe di Giorgia Meloni la nuova Thatcher e consegnerebbe all’Italia il segno di un disegno conservatore compiuto che porterebbe l’Italia nel novero ristretto delle grandi democrazie del mondo. Quello dove, governi la Destra o governi la Sinistra, le riforme si fanno e si portano avanti. Perché servono a tutti e custodiscono il bene del Paese.
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