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Siamo all’assurdo di due parti in commedia. Il governo Meloni si appresta a varare per decreto la riforma dei servizi pubblici locali dicendo chiaro e tondo che chi si oppone alla apertura alla concorrenza di una nicchia di affidamenti diretti del trasporto gestito da Comuni e Regioni fa perdere agli italiani 19 miliardi di rata del Pnrr. C’è, invece, chi dentro la maggioranza – firmatari Ronzulli, Damiani, Lotito, tutti di Forza Italia – presenta emendamenti al ddl aiuti quater addirittura per smontare le liberalizzazioni di trasporto regionale su gomma già attuate dal governo Draghi. Ma come può pensare un partito di maggioranza di tornare indietro facendo pagare di più i cittadini per il servizio e di più il bilancio pubblico, cioè sempre la collettività, per tutelare gli indebiti profitti dei prenditori privati loro amici dopo una riforma del 10 settembre 2021 che liberalizza il più possibile e mette a gara quei servizi voluta e vidimata dalla stessa Europa?

Si discute molto, e a ragione, sull’adesione ineludibile dell’Italia al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e al rapporto strategico da ricomporre con la Francia, ma in Europa per il governo Meloni si avvicina il primo, importante momento di verità e, vogliamo essere molto chiari, riguarda l’attuazione del processo riformatore del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Parliamo di primo momento di verità perché c’è un fuoco amico di Forza Italia che semina mine sul cammino europeo del governo Meloni provando a innescare una specie di indietro tutta sulle liberalizzazioni.

Che vuol dire non solo rallentare su quello che si deve fare di nuovo, ma addirittura smontare ciò che è già stato fatto dal governo Draghi nella apertura del mercato del trasporto su gomma per favorire le rendite di amici degli amici che gestiscono questi servizi senza gara da quindici anni, sono foraggiati dal bilancio pubblico e fanno pagare alla clientela prezzi più elevati della nuova concorrenza privata. Il quadro delle posizioni è ovviamente variegato, ma è necessario ricostruirlo nel modo più compiuto possibile. Chi come il ministro Fitto ha importanti relazioni in Europa e conosce come pochi la materia del Piano nazionale di ripresa e di resilienza – riforme e investimenti -, Fondo di coesione e sviluppo e Piano complementare italiano, sa qual è la rotta da perseguire a cominciare dal cammino liberalizzatore e si sta sporcando le mani con la più difficile delle riforme italiane, la governance della spesa pubblica produttiva.

In questo modo sta dando una grande mano a Giorgia Meloni. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è in piena sintonia, dice proprio lo stretto indispensabile, ma è percepito come garante in Europa di una linea di serietà nella gestione dei conti pubblici e nella esecuzione degli impegni presi. Il vicepremier, Antonio Tajani, ha alle spalle un tale bagaglio di rapporti internazionali da ex presidente del Parlamento europeo e da pluricommissario europeo con portafogli pesanti che di sicuro aiuta molto anche se non può non tenere conto del peso di un Berlusconi insoddisfatto e di un partito compresso nelle sue aspettative che permane diviso. Attenzione, però, ci sono alcuni punti su cui non è più possibile scherzare e Salvini e Berlusconi devono smetterla di usare i loro luogotenenti per indebolire il governo Meloni in Europa e danneggiare il futuro del Paese in casa minando quella fiducia che ha riguardato imprese, famiglie e capitali esteri ed è stata la base del miracolo nascosto dell’Italia di Draghi.

Siamo all’assurdo di due parti in commedia. Il governo Meloni si appresta a varare per decreto la riforma dei servizi pubblici locali in Consiglio dei ministri dicendo chiaro e tondo che chi si oppone alla apertura alla concorrenza di una nicchia di affidamenti diretti del trasporto pubblico locale gestito da Comuni e Regioni si deve assumere la responsabilità di dire agli italiani che per difendere questo micro interesse corporativo perdiamo 19 miliardi di rata del Pnrr.

C’è, invece, chi dentro la maggioranza – firmatari Ronzulli, Damiani, Lotito, tutti di Forza Italia – presenta emendamenti al ddl aiuti quater addirittura per smontare le liberalizzazioni di trasporto regionale su gomma già attuate dal governo Draghi adempiendo agli obblighi assunti in sede europea e allo spirito riformista del programma finanziato con debito comune.

Siamo di fronte a una proposta di marcia indietro clamorosa su una cosa già privatizzata e liberalizzata dal governo Draghi che apre senza aiuti pubblici alla concorrenza che si vedrebbe ora costretta ad essere autorizzata nelle singole tratte da Regioni, enti locali interessati e financo dai concorrenti che sono i gestori del servizio di trasporto pubblico locale su gomma che hanno senza gara questo servizio in affidamento da quindici anni, che ricevono un regolare contributo pubblico che paghiamo tutti noi, e che praticano alla clientela prezzi più esosi del concorrente privato facendo cassa e assumendo gli amici degli amici dei vicecacicchi dei trasporti della politica siciliana, pugliese, campana, lucana, e così via.

Ma come può pensare un partito di maggioranza di tornare indietro facendo pagare di più i cittadini per il servizio e di più lo Stato, cioè sempre la collettività, per tutelare gli indebiti profitti dei loro amici dopo una riforma del 10 settembre 2021 che liberalizza il più possibile e mette a gara i servizi come è giusto che sia, come l’Europa opportunamente ha chiesto e sempre più chiede per il futuro? È evidente che con simili scelte non è che in Europa manteniamo il posto che meritiamo, ma finiamo subito in un angolo. Giorgia Meloni non può accettare che si metta in discussione la credibilità italiana in Europa per favorire le rendite di prenditori privati dalle mammelle pubbliche fuori dalla storia e dalla realtà. Continuiamo a pensare che ci siano forze politiche, al governo con Draghi ma costrette all’impotenza e ancora oggi di nuovo al governo, che non hanno capito che i soldi l’Europa ce li ha dati per fare le riforme, non per continuare a spendere e spandere favorendo gli amici degli amici.


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