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Con un report sul debito sovrano italiano inconsueto nei tempi, nelle modalità e nella forma l’agenzia americana di rating ha addirittura messo per iscritto che se il nuovo governo di centrodestra ritarderà la tabella di marcia di riforme e di investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza declasserà a spazzatura i titoli sovrani della Repubblica italiana. È ovvio che se solo a parole o peggio nei fatti prendiamo misure che aumentano il debito a medio termine come sono le suggestive proposte di Salvini sulle pensioni siamo spacciati in partenza. Se al posto di concentrarci sugli investimenti che sono il cuore del Pnrr e dei contratti che abbiamo firmato con l’Europa e dobbiamo onorare, perdiamo tempo con l’autonomia differenziata e il suo inevitabile carico di nuove spese e di nuove inefficienze è evidente che ai gravissimi problemi energetici si aggiungeranno quelli dei mercati. Faremo i conti con un moltiplicatore rovinoso della nostra reputazione e della nostra sicurezza economica. Non vogliamo nemmeno pensarci.
Avviso ai naviganti. Perché l’allarme è altissimo e sarebbe molto rischioso sottovalutarlo. Con una Credit Opinion sul debito sovrano italiano inusuale nei tempi, nelle modalità e nella forma l’agenzia americana di rating Moody’s ha addirittura messo per iscritto che se il nuovo governo di centrodestra ritarderà la tabella di marcia di riforme e di investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) declasserà a spazzatura i titoli sovrani della Repubblica italiana. Siamo già all’ultimo scalino prima dei junk bond e un downgrade porterebbe il debito italiano nell’area del “non investment grade”, che chiude gli acquisti dei titoli italiani da parte di molti investitori istituzionali. Un problema gigantesco per un Paese che deve collocare sul mercato ogni anno una montagna di titoli pubblici per pagare gli stipendi e le pensioni agli italiani e deve farlo nel pieno di un girone infernale dove si incrociano i ricatti putiniani sul gas con un carico di shock inflazionistici e monetari senza precedenti.
Il solo annuncio ha prodotto danni immediati. Il rendimento del BTp decennale italiano è balzato al 4,45% con 29 punti base in più del giorno precedente e lo spread è risalito a quota 242. Parliamoci chiaro. Il nuovo governo ancora non c’è, Giorgia Meloni non ha ancora neppure ricevuto l’incarico dal Capo dello Stato, ma i fucili dei mercati internazionali sono già esplicitamente puntati sull’Italia. Questo stesso nuovo governo il 21 ottobre si dovrà misurare con l’aggiornamento del rating da parte di Standard & Poor’s e a novembre sarà il turno di Fitch. Tutto ciò avviene mentre l’Istat ha ancora una volta aggiornato in meglio i dati del secondo trimestre italiano del 2022 portando la crescita tendenziale del 5% sul 2021 (+6,6%) e la crescita acquisita per l’anno in corso dal 3,4 al 3,6%. Stiamo parlando di un miracolo economico che vale oltre il 10% in poco più di un anno e mezzo e che è stato accompagnato dal maggiore abbattimento del rapporto debito/Pil dalla guerra a oggi.
Sono dati che riguardano la stagione del governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, che sono in assoluta controtendenza rispetto a un’Europa che schiera una Germania in recessione e una Francia con un tasso di crescita dimezzato rispetto all’Italia. Sono dati che mettono nel conto anche due rate per oltre 40 miliardi di fondi europei incassati perché i target del Pnrr sono stati centrati tutti con la precisione di un orologio svizzero avendo avuto l’ulteriore accortezza di portarsi molto avanti anche nel lavoro per incassare la terza rata consegnando oltre il 60% degli obiettivi già centrati a chi ne raccoglierà l’eredità.
Abbiamo voluto ricostruire con qualche elemento di dettaglio, anche nuovo di giornata, il quadro macroeconomico italiano perché nel pieno di una guerra che avviene nel cuore dell’Europa e le evidenti ricadute da economia di guerra sui singoli Paesi europei che sembrano avere perso la bussola del debito comune e della solidarietà registratasi con la pandemia, è evidente che potere almeno partire da una situazione economica di base a livello di finanza pubblica e di crescita migliore dei concorrenti dovrebbe migliorare la posizione italiana agli occhi dei mercati.
Purtroppo tutto ciò non accade per la semplice esclusiva ragione che il mondo degli investitori globali non riesce a farsi una ragione del perché i partiti politici italiani abbiano voluto bloccare anticipatamente un governo che aveva prodotto i migliori risultati europei arrivando a sfiduciare il premier italiano Draghi da tutti riconosciuto come il leader politico della nuova Europa dopo essere stato con successo il capo dell’unico governo europeo esistente che è quello della moneta e della Bce.
Questa sensazione di stupore, se non di sbigottimento, della comunità finanziaria internazionale, di Capi di Stato e di governo e delle grandi cancellerie è evidentemente all’origine di questa attenzione da sorvegliata speciale riservata all’Italia che assume anche toni e modalità espressive fuori dal calendario consueto degli appuntamenti in cui le agenzie di rating emettono le loro pagelle. Dobbiamo tutti in Italia, chi governerà e chi farà opposizione in Parlamento, avere almeno la piena consapevolezza che la fase di formazione del governo e l’avvio della nuova legge di bilancio sono percepiti dall’Europa e dagli investitori globali che comprano i titoli pubblici italiani come qualcosa di molto forte rispetto al giudizio dei mercati.
Dovranno passare la lente di osservatori molto attenti e forse nemmeno così ben disposti le scelte future che riguarderanno il processo riformatore compiuto avviato dal governo Draghi, la capacità di tutelare e attuare costi quel che costi gli investimenti pubblici del Pnrr che dovranno ricucire le due Italie sul piano delle infrastrutture immateriale e materiali e su quello dei diritti di cittadinanza nella scuola come nella sanità, la gestione dei fondi di coesione e sviluppo che devono finalmente avvenire all’interno della cornice del Piano Italia e aiutare a rimuovere i vincoli interni alla crescita di chi sta più indietro in tutto.
Come dimostra peraltro oggi a pagina II di questo giornale con il suo consueto rigore Fabrizio Galimberti sulla base di dati e informazioni tutti forniti dall’Istituto di statistica nazionale del Paese. Se è ancora possibile rompere il velo di populismo a buon mercato che attraversa tutto il dibattito della pubblica opinione italiana, soprattutto nei talk televisivi, è opportuno prendere atto che tutti gli sforzi dovranno essere preliminarmente indirizzati a migliorare la macchina per fare gli investimenti, non a fare inutili giochi acrobatici solo mediatici per continuare a dire che si pagherà il caro bolletta a tutti, imprese, famiglie, commercianti, ristoratori e così via, senza avere mai il coraggio di dire che la battaglia si vince o si perde in Europa e che in casa si deve invece agire con il massimo di urgenza e di selettività perché al primo scostamento di bilancio rotoliamo sui mercati dieci volte di più di quanto sia rotolata l’Inghilterra. A causa proprio della follia della nuova premier della destra inglese che ha ritenuto di potere agire senza tenere conto della situazione mondiale di alti tassi prodotta proprio dalla guerra in Ucraina che assume giorno dopo giorno sempre più le sembianze di un vero e proprio conflitto di civiltà.
Anche solo giocare con le parole su un tema così delicato è molto pericoloso. Perché bisogna cominciare a dire che i soldi in casa non ci sono e che la crescita che ha fabbricato 60 miliardi di aiuti non c’è più perché il resto del mondo si è fermato e perché l’incantesimo della fiducia italiana di consumatori e investitori legata al fattore Draghi si è bloccata un secondo dopo la sua vile decapitazione. Sui fondi europei c’è un tema che riguarda la congiuntura che è importante perché il problema del caro bollette è gigantesco anche se si presume comunque transitorio, va affrontato e risolto perché altrimenti pezzi di industria, di commercio, artigianato e così via muoiono, ma guai se ci distogliessimo dalla sfida strutturale del Paese che l’Europa e gli investitori globali ci chiedono di vincere. Questa sfida riguarda la crescita strutturale del Sud che è l’obiettivo principe del Pnrr di Draghi e il completamento di tutte le riforme di struttura, anche quelle impopolari a partire dai balneari. Si devono vincere le grandi sfide della coesione territoriale e delle grandi riforme di base perché sulla ripartenza del Sud verrà giudicata la classe di amministratori meridionali e sui cambiamenti strutturali della pubblica amministrazione e della giustizia verrà giudicato l’intero Paese. L’aggiornamento della Credit Opinion prenderà la direzione dell’Italia ridotta a spazzatura o dell’Italia che resta in sella e procede sul cammino intrapreso.
È ovvio che se solo a parole o peggio nei fatti decidiamo misure che aumentano il debito a medio termine come sono le suggestive proposte di Salvini sulle pensioni siamo spacciati in partenza. Se al posto di concentrarci sugli investimenti che sono il cuore del Pnrr e dei contratti che abbiamo firmato con l’Europa e dobbiamo onorare, perdiamo tempo con l’autonomia differenziata e il suo inevitabile carico di nuove spese e di nuove inefficienze è evidente che ai gravissimi problemi energetici si aggiungeranno quelli dei mercati. Faremo i conti con un moltiplicatore rovinoso della nostra reputazione e della nostra sicurezza economica. Non vogliamo nemmeno pensarci.
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