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La sede della Banca Centrale Europea

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I banchieri centrali pensano solo alla lotta contro il mostro inflazione pure necessaria, ma pericolosamente dimenticano – soprattutto in Europa – che con le loro scelte rischiano di portare non solo la recessione ma addirittura la crisi finanziaria che vuol dire, guerra o non guerra, che non ci riprendiamo più. L’entità dei problemi energetici che la guerra determina impone una risposta comune attraverso uno strumento europeo comune e esige una dimensione di risposte congiunturali e un’altra di natura strutturale. Devi fare subito qualcosa se no crolla tutto e lo devi fare con prestiti garantiti da un fondo comune europeo, questa è la proposta Gentiloni-Breton che si muove nel solco tracciato da Draghi e Macron allargato al tetto europeo e allo sdoppiamento del meccanismo sui prezzi di gas e elettricità da fonti rinnovabili. Olandesi, austriaci, tedeschi possono strepitare quanto vogliono, ma hanno torto marcio. Perché se un’impresa tedesca grazie agli aiuti di Stato paga l’energia il 40% in meno di un’impresa italiana, di fatto l’impresa italiana è espulsa dal mercato e, quindi, il mercato comune europeo non esiste più

I commissari europei per l’economia e il mercato interno, Paolo Gentiloni e Thierry Breton, hanno rotto le acque stagnanti di un dibattito europeo lunare nel senso letterale del termine. Che vuol dire: lontano dalla terra dove le cose avvengono, lontano dai giochi pericolosi sul gas che stanno facendo saltare le economie europee. Hanno detto chiaro e tondo entrambi che bisogna ripetere le emissioni di debito comune europeo, fatte dopo la pandemia con il Next Generation Eu, magari attraverso una replica del meccanismo cosiddetto Sure. Un modello appunto già usato, basato su prestiti molto agevolati e garantiti da un fondo comune europeo, che aumenta la solidarietà e evita la frammentazione.

Che è un modo elegante, deliberatamente costruttivo almeno in questa fase, per dire quello che tutti sanno e pensano e, cioè, che l’iniziativa del cancelliere tedesco Scholz di sussidiare le sue malandatissime imprese con 200 miliardi di nuovo debito pubblico nazionale altera gravemente la competizione tra i mercati interni europei. Perché gli spazi di bilancio nazionali sono molto differenti e, in una situazione mondiale di alti tassi da lotta all’inflazione e caro energia di origine bellica, la gara delle sovvenzioni tra i singoli Paesi sarebbe il trionfo del più miope degli egoismi e decreterebbe in modo distorto chi sopravvive e chi è costretto alla resa.

Attenzione, solo per capirci: questa odiosa gara decreterebbe che le imprese tedesche vanno avanti e quelle italiane muoiono, ma non perché le prime sono migliori delle seconde, gli ultimi due anni dimostrano l’esatto contrario, ma perché le prime hanno dietro uno Stato che può fare debito e le seconde invece no. Questo deve essere chiaro a tutti e va ripetuto fino alla nausea perché fare o meno debito non è una scelta capricciosa che alcuni politici vogliono fare e altri no. Le cose non stanno affatto così nei giorni della guerra mondiale a pezzetti con i suoi carichi recessivi e parallelamente di un fronte monetario caldissimo. Perché i banchieri centrali pensano solo alla lotta contro il mostro inflazione pure necessaria, ma pericolosamente dimenticano – soprattutto in Europa – che con le loro scelte rischiano di portare non solo la recessione, cosa grave anche se in parte inevitabile, ma addirittura la crisi finanziaria che vuol dire semplicemente che, guerra o non guerra, non ci riprendiamo più.

Che la situazione di inagibilità sul terreno facile delle compensazioni con il bilancio pubblico italiano per il caro bollette di imprese e famiglie sia indubitabile, è stato dimostrato una volta per tutte dal caso inglese di una premier impazzita che ha annunciato un mega sforamento di bilancio e ha dovuto fare una penosa marcia indietro.

Ovviamente dopo avere perso per sempre reputazione, debilitato pesantemente la sterlina, fatto esplodere il costo del debito e portato la sua economia in recessione. L’entità dei problemi energetici che la guerra determina impone una risposta comune attraverso uno strumento europeo comune e esige una dimensione di risposte congiunturali e un’altra di natura strutturale. Da qui non si scappa. Rispetto alla crisi congiunturale devi fare subito qualcosa se no crolla tutto e lo devi fare con prestiti garantiti da un fondo comune europeo, questa è la proposta Gentiloni-Breton che si muove nel solco tracciato da Draghi e Macron che allarga il suo spettro d’azione al tetto europeo e allo sdoppiamento del meccanismo di formazione dei prezzi di gas e elettricità da fonti rinnovabili colpendo gli indebiti profitti aziendali e le mani rapaci della speculazione.

Olandesi, austriaci, tedeschi possono strepitare quanto vogliono, come hanno già fatto, ma non è sostenibile da nessun punto di vista la pelosità evidente delle loro argomentazioni, che si è riflessa subito anche nelle dichiarazioni dei commissari europei che li rappresentano. Soprattutto, nel caso di Scholz, siamo oltre la soglia minima che legittima una leadership politica. Sul piano strutturale, poi, si pone la questione, anche questa posta un anno fa dal duo Draghi-Macron, che il debito non è tutto uguale.

Perché bisogna scomputare dal calcolo del debito la parte fatta per la transizione energetica e esigere in tutti i passaggi che sono necessari la traduzione pratica del debito buono e cattivo all’interno della proposta complessiva di riforma del patto di stabilità e crescita. Che verrà discussa fra ottobre e novembre, ma già nel giro di qualche settimana dovrebbero arrivare le prime linee guida e si dovrebbe delineare la nuova architettura. L’anno prossimo, il primo gennaio del 2024, finisce la sospensione della clausola del patto di stabilità e crescita e, a quel punto, l’Italia non può restare indietro perché non si potrà più tornare indietro con le lancette della storia.

Tutto ciò vuol dire che oggi, non domani, l’Europa incrocia il bivio della storia più vicino alla sua disgregazione o al sentiero comune. Il colpo della Germania di Scholz di una manovra solitaria da 200 miliardi fatta in debito garantito da un fondo pubblico tedesco non europeo, è un tiro secco che colpisce per sempre il bersaglio della nuova Europa federale e il suo mercato comune che è appunto il cuore della stessa nuova Europa. Perché se un’impresa tedesca grazie agli aiuti di Stato paga l’energia il 40% in meno di un’impresa italiana, di fatto l’impresa italiana è espulsa dal mercato e, quindi, il mercato comune europeo non esiste più.

Siamo al punto più vicino al rischio più alto che è anche quello più grave perché coincide, ripetiamo oggi non domani, con il rischio reale di disgregazione dell’Europa rispetto all’Europa del 2020. Senza quella Europa noi saremmo morti e sepolti come economia e come società. Oggi se non si ritrova lo stesso coraggio di allora, corriamo lo stesso rischio. Se l’Europa procede sulla strada della disgregazione, l’Italia è la prima vittima certa. Assisteremmo al paradosso che la “prima vittima certa” sarebbe anche il primo governo italiano espressione di una storia sovranista superata e con una guida per la prima volta femminile che sta mostrando un’encomiabile fermezza nel mantenere la rotta più europeista di tutte che è poi quella di Draghi.

In questo scenario entra in gioco molto seriamente la politica monetaria come ha più volte di recente sottolineato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Perché la Banca centrale europea (Bce) ha salvato l’Europa in piena pandemia e dopo il primo Recovery europeo, ma se va ora con il pilota automatico sulla stessa strada e alla stessa velocità della Federal Reserve che ha alle spalle un governo americano che butta dentro un’enormità di aiuti fiscali all’economia di tutti i suoi Stati senza eccezione alcuna, noi ci troveremmo davanti al doppio fronte di bilancio e monetario europei e ne rimarremmo travolti.

Entrambi i fronti nascono in Germania. Perché la Bce ha sede a Francoforte e perché Scholz ha fatto il colpo di fine mondo. La politica monetaria è un pezzo rilevante del problema così come la assenza di una politica di bilancio europea comune è un altro pezzo di quello stesso, identico problema. La proposta Gentiloni-Breton si muove in linea con la impostazione e il progetto di un nuovo patto europeo che riguardi la stabilità e gli investimenti voluto da Draghi e Macron. Siamo all’asse franco-italiano contro la visione tedesca. Il nuovo governo italiano, in questa fase delicatissima, è bene che deponga l’armamentario peraltro sacrosanto contro lo shopping francese di imprese di casa nostra, e dimostri con parole e atti che questo asse è l’unico che oggi ci può ancora salvare. Si abbia anche la piena consapevolezza che il caso inglese ha scosso il mercato, ma il mercato stesso si sta convincendo ora che proprio la maxi manovra in debito tedesca sta finalmente smuovendo le acque. Perché oggi i mercati vogliono che si esca dai miopi egoismi (caso Scholz) e si vada diretti alla radice del problema anche sul piano monetario. Perché si sono convinti che se la Bce va avanti così, ammazza proprio l’economia.

Intendiamoci: che si debba contrastare l’inflazione e che questo abbatta un po’ l’economia è fuori discussione, ma continuando a alzare tassi e a vendere titoli si sta riducendo la liquidità a livello globale e questo prima o poi fa scattare una crisi finanziaria. Le banche centrali, soprattutto la Bce, devono stare molto attente perché devono sconfiggere l’inflazione, ma devono avere anche la consapevolezza che se determinano una crisi economica la si era messa nel conto, se poi arrivano addirittura a determinare una crisi finanziaria allora tutto diventa più grave perché questo scenario nessuno lo aveva messo in conto.

Anche perché il sistema finanziario non è in grado di reggere a lungo con tassi più alti e liquidità più scarsa. A quel punto, scatta un problema vero perché anche se la liquidità è ancora molto abbondante, i mercati sono abituati ad averne molto di più e chiedono ai banchieri centrali di interrogarsi fino a che punto possono continuare nella loro corsa. Se l’errore politico marchiano del cancelliere Scholz, uscito per sempre dal novero anche dei potenziali grandi timonieri della nuova Europa, ha determinato tutti questi ragionamenti, vuol dire che la storia ha i suoi percorsi tortuosi per fare valere le proprie ragioni e noi dobbiamo essere molto abili a sfruttare gli errori altrui. Agiremmo peraltro anche nel loro interesse. Perché siamo al bivio della storia dell’Europa. O si salva adesso o non esiste più.


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