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Ursula Von der Leyen e Vladimir Putin

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Se non avremo la forza tutti insieme di imporre un tetto come compratori al prezzo di quel gas russo finirà che Putin ci darà sempre meno gas e alzerà sempre di più il prezzo, metterà in crisi le nostre economie. Gli analisti più avveduti invocano un Consiglio europeo straordinario e chiedono all’Europa di battere un colpo e di batterlo presto perché non c’è più tempo per aspettare, tergiversare, sperare in compromessi e aggiustamenti che poi puntualmente non arrivano. Per i Paesi dell’euro, insomma, bisogna aggiungere all’aumento dei prezzi in dollaro un altro 10% abbondante dovuto all’euro debole e il punto più critico del sistema dei prezzi sta oggi tutto nelle quotazioni del gas naturale. Mario Draghi aveva visto giusto nel puntare il dito sulla necessità di mettere un tetto a questo prezzo, sfruttando il potere negoziale dell’Europa nei confronti della Russia. L’Europa, che sta pagando un prezzo sul piano economico e sociale senza precedenti, non può andare avanti così. Anche perché Stati Uniti e Cina hanno solo da guadagnarci da un’Europa indebolita.

Fare i conti con il ricatto di Putin sul gas è un obbligo morale oltre che un dovere politico dell’Europa. Sono in gioco l’economia manifatturiera tedesca e italiana e, quindi, è in gioco il punto di qualità più avanzato dell’economia europea. Potremmo dire che è in gioco l’Europa. Ammesso ovviamente che l’Europa esista. Ammesso ovviamente che voglia esistere. Ammesso che abbia preso consapevolezza che Cina e Stati Uniti da un’Europa che dorme hanno solo da guadagnare così come dal ridimensionamento della Russia di Putin. Senza dirlo, per carità. Basta rimanere alla finestra.

Ammesso, soprattutto, che abbia voglia di riconoscersi la classe dirigente europea di governo nell’unica indiscussa leadership politica della Nuova Europa che il mondo stima e rispetta colpevolmente indebolita in Italia. Che è quella di Mario Draghi, salvatore dell’euro e presidente del consiglio italiano per il disbrigo degli affari correnti. Che è colui che anche su questo punto strategico ha visto prima degli altri e indicato la rotta. Siamo come Europa i più grandi compratori di gas russo e siamo insostituibili perché gli oleodotti per trasportare il gas e portarlo altrove verso nuovi compratori non si costruiscono né in un giorno né in un anno, né in due o tre. Ci sono opere importanti da realizzare e serve tempo. Se non avremo la forza tutti insieme di imporre un tetto come compratori al prezzo di quel gas russo finirà che Putin ci darà sempre meno gas e alzerà sempre di più il prezzo, metterà in crisi le nostre economie e farà tenere in vita da noi il rublo in mezzo alle macerie di un’economia russa stremata e produttivamente isolata dal mondo moderno.

Nella sostanza questi ragionamenti anticipatori degli eventi realmente accaduti e diretti a fare cogliere la forza del rischio calcolato di passare noi europei all’offensiva invece di giocare separati in difesa, appartengono al Draghi presidente del consiglio italiano che ha portato con sé il cancelliere tedesco Scholz e il Presidente della Repubblica francese Macron a Kiev perché il mondo percepisse la nettezza dello schieramento di campo e ha consolidato nei fatti il suo ruolo di architetto politico della nuova Europa. Oggi gli analisti più avveduti invocano un Consiglio europeo straordinario e chiedono all’Europa di battere un colpo e di batterlo presto perché non c’è più tempo per aspettare, tergiversare, sperare in compromessi e aggiustamenti che poi puntualmente non arrivano. Fabrizio Galimberti che tra gli economisti italiani è quello che più di tutti ha il dono della chiarezza spiega in questa edizione del giornale come meglio non si potrebbe come stanno le cose. A pagina due potrete vedere a corredo del suo articolo il grafico che mostra l’andamento dei prezzi delle materie prime in dollari dal mese della guerra (febbraio di quest’anno) ad oggi.

I prezzi delle materie non-oil, e anche quelli del petrolio, sono rimasti stabili, mentre il prezzo del grano è addirittura diminuito. Fanno eccezione – ed è un’eccezione grande e pericolosa – i prezzi del gas naturale, che sono quelli più impattati dalla guerra e dal ricatto russo. Nel grafico, scrive testualmente Galimberti, abbiamo dovuto mettere il prezzo del gas in Europa su una scala diversa, altrimenti quella impennata avrebbe schiacciato le altre linee verso il basso; sembra che i prezzi del gas in Europa e in America siano aumentati di conserva, ma basta confrontare le scale per rendersi conto che, fatto 100 il livello pre-pandemico (gennaio 2020), il gas in America va a quota 500 e passa, ma in Europa a 2500! E la situazione, per l’Europa, è ancora peggiore se si tiene conto del fatto che il dollaro ha beneficiato del ruolo di bene-rifugio, e si è apprezzato sia rispetto all’euro che rispetto allo yuan. La morale è che per i Paesi dell’euro, insomma, bisogna aggiungere all’aumento dei prezzi in dollaro un altro 10% abbondante dovuto all’euro debole e che il punto più critico del sistema dei prezzi sta oggi tutto nelle quotazioni del gas naturale.

Ha ragione Galimberti: Mario Draghi aveva visto giusto nel puntare il dito sulla necessità di mettere un tetto a questo prezzo, sfruttando il potere negoziale dell’Europa nei confronti della Russia. Il Vecchio continente assorbe i tre quarti circa della produzione di gas naturale russo: non è un monopsonio, ma poco ci manca. Il ‘tetto’ sarebbe tecnicamente possibile, sfruttando anche il potere delle società assicuratrici nei confronti dei trasporti del gas (e del petrolio), ma alle adesioni di principio alla proposta di Draghi non hanno fatto seguito azioni adeguate. Vogliamo essere molto chiari su questo punto.

Ci ha molto colpito ascoltare da Rimini la Meloni correggere Letta sul tetto nazionale al prezzo del gas da lui proposto sottolineando correttamente che favorirebbe francesi e tedeschi e non risolverebbe il problema per indicare invece di perseguire la strada europea. Così come ci è sembrato opportuno l’intervento di Tajani di Forza Italia per correggere le aperture di Salvini sulle sanzioni alla Russia di Putin che esprimono al meglio l’ambiguità pericolosa della politica italiana. Vedete, alla crisi del resto del mondo perché la Cina rallenta, gli Stati Uniti sono in recessione, l’Inghilterra ha un’inflazione stellare, si sta aggiungendo il prezzo della recessione tedesca di livello alto per colpe sue legate alla debolezza della leadership di Scholz e alla lentezza rispetto all’Italia nell’azione di diversificazione degli approvvigionamenti, ma ancora di più per l’incapacità dell’Europa tutta di rispondere al ricatto putiniano con le stesse armi da lui usate.

Questo è il punto e qui occorre con urgenza porre rimedio assumendosi tutti i rischi del caso. Salvini è tra quelli in Italia come in Germania e in tutti i Paesi europei, chi più chi meno, della cultura anti americana si illudono ancora che questa guerra di invasione russa in Ucraina è una cosa che va a finire presto. Purtroppo – e vorremmo proprio sbagliarci – non è così perché le similitudini con la guerra del Vietnam anche se in contesti diversi esistono e perché Putin non vuole perdere la faccia e Zelensky non ha alternative a fare quello che sta facendo. Agli Stati Uniti e alla Cina va benissimo così perché se la guerra continua in queste modalità le due grandi potenze, da sponde opposte, si liberano di un concorrente ingombrante che è la Russia, ovviamente facendo finta che non è così.

L’Europa, che sta pagando un prezzo sul piano economico e sociale senza precedenti, non può andare avanti così. O si trova una soluzione radicale per sostituire il gas russo relativamente a breve e allora cambierebbe tutto, ma se questo non si riesce a farlo allora la situazione per l’Europa diventa davvero molto difficile e anche questo non dispiace alle due grandi potenze che hanno solo da guadagnarci da un’Europa indebolita. Draghi è stato tra i pochi ad avere la lucidità di cogliere i termini esatti della questione economica e geopolitica del ricatto di Putin sul gas. Aveva visto più lontano degli altri e ora da qui l’Europa in gran fretta deve ripartire.

Anche in casa Draghi dovrà fare tutto quello che è giusto fare a patto, però, che sia chiaro a tutti che a rompere il giocattolo della fiducia non è stato lui ma quei partiti che vivono sulla luna e hanno voluto le elezioni a ogni costo perché non avevano percezione di quello che accadeva sulla terra. In poche settimane sono riusciti a trasformare un sentiment diffuso delle imprese italiane di assoluta fiducia prima in incertezza poi in paura. Anche di ciò l’esecutivo del disbrigo degli affari correnti dovrà farsi carico in questo scorcio di fine agosto e in un settembre pieno di insidie. I partiti che hanno la coda di paglia e passano il tempo ad allontanare da loro la responsabilità del misfatto, si mettano una mano sulla coscienza e diano una mano. Perché se la barca affonda il comandante della nave scelto dagli elettori servirà a ben poco.


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