MArio Draghi
6 minuti per la letturaAl posto di gufare e continuare a fare marketing elettorale di bassa lega su pandemia e conflitto mondiale, sarebbe bene che ci occupassimo di rimuovere i vincoli interni alla crescita che sono quelli che potrebbero davvero bloccare la prosecuzione del miracolo economico italiano in atto. Siamo il Paese degli annunci: 10 miliardi di qua, 20 di là, ogni annuncio ha un nome che riguardi l’acqua o altro. La domanda, però, è un’altra: ma qual è il progetto che c’è dietro quell’annuncio e quel nome? Dove sta, chi lo ha redatto, chi lo ha visto? Vogliamo, forse, continuare a dare i soldi a pioggia ai Comuni visto che si avvicinano le elezioni? In queste condizioni tagliare il cuneo fiscale è sempre più difficile perché le coperture vanno da un’altra parte. Il taglio serio del cuneo è seduto sul ramo dell’albero della crescita. Che è proprio quello che i gufi provano ogni giorno a tagliare iniettando dosi di sfiducia che paghiamo tutti
I gufi italiani ce l’hanno messa tutta, ma nel primo semestre dell’anno la recessione tecnica sicura “se non molto di più” non si è vista. Ha lasciato il posto alla migliore crescita europea fatta di edilizia, turismo e servizi alle stelle con la produzione industriale che cresce del 2% e le nostre esportazioni che fanno faville in mezzo mondo. Questo ha fatto l’economia italiana che chiude metà anno con una crescita del prodotto interno lordo (Pil) ben sopra il 3% e un tasso di fiducia dei soggetti economici nell’azione di Draghi in Europa e del suo governo di unità nazionale in casa che bilancia e supera le ansie da super bolletta energetica e agricola.
Ora i gufi si sono spostati sul quadro geopolitico della guerra lunga, il rubinetto chiuso del gas di Putin, le ombre della recessione americana e europea indotte dalla politica monetaria dei tassi alti con il rischio che gli strumenti messi in campo contro la frammentazione non funzionino e l’Italia paghi sui suoi titoli sovrani un conto più salato. La nostra sensazione è che i mercati temono il solito rischio politico italiano fatto di populismo delle parole, ma percepiscono il miglioramento strutturale della nostra economia con i fondamentali a posto.
A partire dalla migliore posizione finanziaria verso l’estero dopo la Germania in un quadro di evidente sbilancio e deterioramento per tutti. Ha fatto bene il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a chiarire che l’ipotesi di recessione per l’Italia è legata solo al blocco delle forniture di gas da parte della Russia. Così come tutte le complicazioni di scenario inflazionistico, monetario, di origine bellica, non sono affatto irrealistiche e determinano incertezza, ma non sono un’esclusiva italiana perché se si entra dalla testa ai piedi in un’economia di guerra i parametri saltano per tutti.
Al posto di gufare e continuare a fare marketing elettorale di bassa lega su pandemia e conflitto mondiale, sarebbe bene che ci occupassimo di rimuovere i vincoli interni alla crescita italiana che sono quelli che potrebbero davvero bloccare la prosecuzione del miracolo economico italiano in atto. È vero o no che si sono messi nei bilanci passati dai tempi di Tria ministro dell’economia, 2 miliardi e passa per l’acqua e non si è speso nulla? Èvero o no che sprechiamo tra il 40 e il 50% dell’acqua e non siamo capaci di sistemare gli invasi? Il clima cambia, ma tuti dormono. È possibile che per fare la riforma della macchina territoriale della spesa pubblica italiana ce lo deve dire la Commissione europea?
Se il governo Draghi è riuscito a rispettare tutti i target europei ora che si avvicina il momento della verità per assegnare le gare e aprire i cantieri potremo smetterla o no di continuare a fare annunci? Siamo il Paese degli annunci. Tutti annunciano: 10 miliardi di qua, 20 di là, ogni annuncio ha un nome che riguardi l’acqua o altro. La domanda, però, è un’altra: ma qual è il progetto che c’è dietro quell’annuncio e quel nome? Dove sta, chi lo ha redatto, chi lo ha visto? Vogliamo, forse, continuare a dare i soldi a pioggia ai Comuni visto che si avvicinano le elezioni?
Vogliamo solo annunciarlo perché ci serve per i voti? Siamo tutti consapevoli che il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) ha imposto la riforma che avremmo dovuto fare noi e che se non spendi i soldi l’Europa quei soldi te li toglie? La Ragioneria generale dello Stato dà i soldi, ma il progetto lo fa il soggetto attuatore, il cantiere lo apre il soggetto attuatore e se le Regioni continuano a pensare di ripartire pane e pesce tra questo e quel Comune quando vogliono loro, finisce male. Al Sud di più, ma anche il Nord non scherza, perché le clientele e gli interessi sono uno dei pochi tratti unificanti sul territorio.
Il punto è perché non si rovescia il tavolo e si programmano prima le cose e si dice anche in quanto tempo si faranno? Che cosa succede con i fondi strutturali? Soprattutto che cosa fanno i ministeri, chiediamocelo, perché tranne la Difesa che se deve fare l’aereo, lo programma dieci anni prima perché deve costruire il prototipo, gli altri fanno gli annunci, dicono di avere messo i soldi e quando chiamano i privati c’è anche la regola che la chiamata deve avvenire senza nessun rischio per cui devono tutti essere mallevati, diciamo che ci vuole sempre un 10% in più. Che non c’entra niente con la copertura sacrosanta dei rincari delle materie prime. Al momento, forse, nel 2023 si aprono i cantieri delle Ferrovie che hanno strutture più organizzate. Per il resto, le gare sono entrate nella fase più complicata e molte sono cadute sul nuovo principio europeo di non arrecare danno all’ambiente.
Tra gare aggiudicate e cantieri aperti, in un arco di tempo che va dalla fine del 2022 a tutto il 2023, il motore interno della ripresa italiana a tassi da miracolo economico sono i 30 miliardi di spesa del Pnrr, ma nelle condizioni di oggi se si riesce a spenderne 10 è grasso che cola. La partita si gioca qui e, invece, si parla solo di superbonus che, peraltro, aiuta a non chiudere le gare, perché tutti lavorano nei cantieri del superbonus, vanno tutti lì, dicono che guadagnano di più. Abbiamo superato le stime di previsione sui costi dell’anno per il superbonus e siccome la ragione politica dei Cinque stelle dice che bisogna continuare, ci saranno i controlli certo, ma intanto bisogna fare una relazione al Parlamento per chiedere la proroga e indicare bene come si coprono le nuove spese.
Capite che in queste condizioni tagliare il cuneo fiscale è sempre più difficile, perché le coperture vanno da un’altra parte. Per cui il taglio importante del cuneo, inglobando anche il bonus dei 200 euro che è uno 0,8% di decontribuzione in meno pagato in un solo mese invece di essere spalmato su un anno, ci sarà molto probabilmente solo se la crescita italiana si manterrà alta, anzi se andrà meglio del previsto, cosa possibile gufi permettendo, e se si potrà fare allora una bella manovra espansiva. Il taglio serio del cuneo è seduto sul ramo dell’albero della crescita. Che è proprio quello che i gufi provano ogni giorno a tagliare iniettando dosi di sfiducia che paghiamo tutti. Così è se vi pare e così è anche se non vi pare, come direbbe Pirandello.
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