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Nel primo trimestre di quest’anno l’Italia eguaglia la sua posizione pre Covid del quarto trimestre 2019. Rispetto a quella soglia la Germania, che ha perso infinitamente meno di noi, è sotto dello 0,9%, la Spagna ha bisogno di un binocolo per vederla perché è sotto del 3,4%. Tutti i previsori internazionali indicavano l’economia italiana come l’ultima a raggiungere i livelli pre-crisi tra fine 2023 e inizio 2024. È accaduto l’esatto contrario. Andiamo anche meglio di Francia e Stati Uniti. Il racconto inappuntabile del rapporto dell’Istat riflette lo schema mentale di mancanza di autostima italiana e gonfia le vele delle piccole barchette della politica italiana populista e degli spiriti deteriori del corporativismo imprenditoriale e sindacale che hanno il loro pane nelle fragilità italiane. Che sono demografiche, perché facciamo sempre meno figli, e territoriali, perché c’è uno squilibrio pluridecennale di Pil pro capite tra le due Italie con la parte debole che vale poco più della metà della parte forte. Sono fragilità che toccano i redditi e la dignità di donne, giovani, famiglie del Sud, immigrati, e delineano l’arcipelago dimenticato della povertà italiana. Se si vuole fare sul serio si dia al Mezzogiorno una nuova governance per fare gli investimenti, nel capitale umano come nell’acqua e in tutte le reti, e si tagli il cuneo fiscale senza aprire voragini nei conti pubblici. Draghi e Franco sanno come si fa.

Siamo il Paese che ha l’economia che va meglio in Europa, ma nessuno lo dice e non si capisce perché. Anzi no, si capisce. Abbiamo una costitutiva debolezza che si chiama: mancanza di autostima. Nel primo trimestre di quest’anno l’Italia ha eguagliato la sua posizione pre Covid del quarto trimestre 2019. Rispetto a quella soglia la Germania, che ha perso infinitamente meno di noi, è sotto dello 0,9%, la Spagna addirittura ha bisogno di un binocolo per vederla perché è sotto del 3,4%. Nessuno dei previsori internazionali aveva escluso che l’economia italiana fosse l’ultima a raggiungere i livelli pre-crisi tra fine 2023 e inizio 2024 anche perché aveva perso più di tutti, parliamo dell’8,9%. Non è andata così.

È accaduto l’esatto contrario perché a una crescita da tassi da miracolo economico italiano del 2021, che è pari a +6,6%, segue un primo semestre 2022 con una crescita acquisita molto robusta, superiore al 3%, che è la terza posizione mondiale, come questo giornale aveva anticipato in assoluta solitudine e, cosa ancora più importante, la produzione industriale a dispetto delle previsioni settoriali rivelatesi tutte clamorosamente fallimentari viaggia intorno al 2%, poco sotto poco sopra. In un anno e mezzo l’economia italiana non solo non ha avuto la catastrofe che tutti prevedevano, ma viaggia a un ritmo di crescita di quasi il 10% che attenua di sicuro l’obbligato effetto di aumento delle diseguaglianze che determina la più ingiusta delle tasse che è l’inflazione. 

Questi sono i fatti eppure si sente parlare solo di recessione americana e europea, scenari non irrealisti legati alla lotta alla inflazione bellica da caro materie prime energetiche e agricole che le banche centrali non possono non fare deprimendo le economie. Si sente parlare solo di possibile chiusura dei rubinetti del gas di Putin, e cioè di previsioni che diventano aspettative e sanciscono il perimetro di un’economia di guerra tout court che riguarda il secondo semestre dell’anno e, soprattutto, riguarda tutti, nessuno escluso.

Il racconto che è stato fatto ieri del trentesimo rapporto dell’Istat, pur nella sua inappuntabilità di dati e metodologia, riflette fino in fondo lo schema mentale di mancanza di autostima italiana e finisce, anche se solo sul piano mediatico, per gonfiare le vele di tutte quelle piccole e grandi barchette della politica italiana populista e degli spiriti deteriori del corporativismo imprenditoriale e sindacale che hanno il loro pane elettorale nelle fragilità italiane.  Che sono demografiche, perché facciamo sempre meno figli, e territoriali, perché c’è uno squilibrio strutturale pluridecennale di Pil pro capite tra le due Italie con la parte debole che vale poco più della metà della parte forte. Sono fragilità che toccano i redditi e la dignità di donne, giovani, famiglie del Mezzogiorno, immigrati e delineano l’arcipelago dimenticato della povertà italiana.Se entrassimo, però, un po’ più nel merito scopriremmo che l’auto e il turismo stanno mettendo in crisi la Spagna, che la Francia ha un nucleare rattoppato con oneri pesantissimi di ristrutturazione e farà i conti con prezzi dell’energia doppi di quelli fantasmagorici italiani e i suoi giganti deboli, tipo acciaio e chimica,   così come le grandi famiglie hanno tutti insieme un terribile mal di testa. La Germania si scopre un gigante economico con i piedi di argilla perché la sua industria dell’auto non riesce a ripartire e la sua economia sta pagando un prezzo più alto dell’Italia per i contraccolpi della guerra del gas putiniana all’Europa. Perché si è mossa più lentamente dell’Italia nella diversificazione globale degli approvvigionamenti. Perché sul piano interno si dimena come un pachiderma ferito e l’ombra della Merkel indebolisce la nuova leadership di governo.

Parliamoci chiaro. In Italia l’edilizia privata cresce a livelli post bellici della stagione d’oro del miracolo economico italiano. Il turismo ha solo un problema di mano d’opera e non trovi un operatore che non parli di boom con arrivi dall’estero in grande crescita e capacità di attrazione delle città, a partire da Napoli, che ha caratteri di periodicità mai avuti in passato. Il dato decisamente più sorprendente viene dalle esportazioni che fanno faville con un andamento in valore e in volumi che supera ampiamente i livelli pre-crisi. Tutti i dati della finanza pubblica, debito/Pil, deficit/Pil, fabbisogno di cassa, segnalano che le previsioni da catastrofe pandemica moltiplicate dall’effetto guerra sono state smentite in modo considerevole. Basti pensare che si pensava a un debito/Pil, previsioni Conte 2, pari alla quota record del 160% e siamo atterrati al 150,8%.

Allora se tutto questo è vero, come è vero, e vogliamo essere seri preoccupiamoci delle fragilità italiane in modo concreto perché la risposta non viene dai campi larghi e dai giochetti della politica di destra o di sinistra, ma dalla capacità di dare finalmente al nostro Mezzogiorno una governance degna di questo nome per la gestione della rete dell’acqua mettendo a frutto la dote del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e di fare altrettanto, in generale, rigenerando le amministrazioni pubbliche meridionali e dotandole finalmente di una regia tecnico-esecutivo a livello centrale. Affinché dal 2023 al 2026 il Mezzogiorno italiano diventi il grande cantiere del Paese della nuova rete ferroviaria  veloce e della banda larga, della logistica, dell’energia, di porti, retroporti e industria del mare. Questo significa occuparsi delle diseguaglianze italiane seriamente. Avendo l’accortezza di non togliere un euro dal grande programma di investimenti nel capitale umano, dagli asili nido alla ricerca, nei territori meridionali e operando in modo significativo sul cuneo fiscale tagliando gli oneri impropri che gravano sui salari in modo da restituire reddito alle persone e produttività alle imprese. Questo il governo di unità nazionale guidato da Draghi e la regia della politica economica nelle mani di Daniele Franco lo sanno fare senza aprire voragini nei conti pubblici che costringono a fare subito marcia indietro restituendo con gli interessi il poco in più ricevuto. Serve molto in più senza doverlo subito restituire e lo si può fare solo redistribuendo fiscalmente, scegliendo tra domani e passato, mettendo al centro i giovani non quota 100 a salire e le elargizioni a pioggia. Si apra anche il cantiere politico della nuova legge elettorale proporzionale in questo scorcio finale di legislatura e così l’economia italiana continuerà ad essere quella che attraversa meglio di tutti i flutti spaventosi del conflitto di civiltà tra autocrazie e democrazia, le recessioni potenzialmente incubate dall’inflazione, il rubinetto chiuso di Putin che non fermerà il nuovo ordine mondiale. Bisogna un po’ crederci e, per questo, serve l’autostima.


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