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La foto di gruppo alla riunione dei leader dell'Ue e dei Balcani occidentali

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Quando hai ventisette elettorati a cui rispondere diventa un’impresa impossibile prendere una decisione per l’economia. Dalla governance europea fatta a posta per non decidere non ci si riesce a schiodare. Questo è il problema di oggi che frena il consolidamento della nuova Europa che apre all’Ucraina, ma non sta facendo con la guerra di Putin quello che è riuscita a fare con la pandemia. Per cui, come se l’inflazione imposta all’Europa dai giochetti militari-economici su prezzi e forniture di gas di Putin non rischiasse di portare l’intera Europa in recessione, il primo ministro olandese continua a rispondere al suo elettorato e difende chi fa affari sui contratti finanziari che lucrano sulla debolezza politica europea e sull’anomalia di meccanismi sbagliati. Affari d’oro che trasudano vergogna. Per cui la Germania continua a “difendere” la sua industria che ha paura che Putin tagli tutto. La verità è che serve subito un nuovo Recovery energetico. Serve un Recovery all’anno per i prossimi dieci anni. Le scelte da compiere non sono per salvare l’Italia, ma l’Europa

Parole in libertà. La situazione è più complicata di quanto la si voglia fare apparire e con questa situazione di governance europea che non governa l’economia, il bisticcio è voluto, ogni capo di stato continua a rispondere al suo elettorato. Ogni capo di stato risponde non solo al suo elettorato, ma anche al suo calendario di consultazioni elettorali. Quando hai ventisette elettorati a cui rispondere diventa un’impresa impossibile prendere una decisione. Nonostante la guerra mondiale a pezzetti già in atto. Per quanto vi potrà apparire inverosimile è proprio così. Questo nulla toglie al risultato storico, di cui abbiamo già parlato ieri e fortemente voluto dal premier italiano Draghi, di riconoscere all’Ucraina lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea.

Anche perché, oltretutto, le scadenze elettorali di questo o quel Paese sono diverse tra di loro. Alcuni di quei capi di stato le hanno già avute, con risultati più o meno buoni, altri dovranno averle. In questa situazione tutto diventa veramente difficile. Anzi, diciamocela come va detta. Dalla governance europea fatta a posta per non decidere non ci si riesce a schiodare. Questo è il problema di oggi che frena il consolidamento della nuova Europa che non sta facendo con la guerra di Putin in Ucraina quello che è riuscita a fare con la pandemia e nella prima fase emozionale del conflitto con code politiche importanti che emergono, però, a strappi e non determinano un flusso stabile di decisioni coerenti.

Per cui, come se nulla fosse, come se l’inflazione imposta all’Europa dai giochetti militari-economici su prezzi e forniture di gas di Putin non rischiasse di portare l’intera Europa in recessione, il primo ministro olandese continua a rispondere al suo elettorato e difende chi fa affari sui contratti finanziari che lucrano sulla debolezza politica europea e sull’anomalia di meccanismi sbagliati che determinano il prezzo di gas, elettricità e di tutte le materie prime. Affari d’oro che trasudano vergogna. Per cui la Germania continua a “difendere” la sua industria che ha paura che Putin tagli tutto, che ha sul collo il peso di una cattiva coscienza politica, che non se la sente, che preferisce rinviare. Ovviamente anche la Bulgaria ha la sua voce in capitolo e il suo pezzetto di interesse da tutelare anche se poi cede.

È una situazione ibrida di guerra che nessuno vuole riconoscere. Qui non si scherza più e dobbiamo fare le cose, ma fintamente ci fa comodo dire che non siamo in guerra. Ci fa comodo pensare che potrebbe finire e che si può trovare un accordicchio. Soprattutto ci fa comodo pensare che tutto possa tornare come prima. Per cui si rinvia la decisione sul tetto al prezzo del gas fornito dai russi alla prossima volta nella attesa che la situazione si chiarisca.

Se la situazione precipita tutti si arrendono, se non precipita tutti vogliono andare avanti come prima. Per fortuna, non accade né la prima né la seconda ipotesi. Però, se continua così, siamo alla solita lotta dei soliti miopi egoismi nazionali per cui alcuni Paesi pagheranno un prezzo più basso e altri Paesi pagheranno un prezzo più alto. Per cui anche ciò che è davvero necessario e urgente a vantaggio di tutti, non si fa e si finisce incredibilmente con il dare ragione a Medvedev che dice che l’Europa tra quarant’anni non esisterà più.

Putin con il suo grande errore della guerra in Ucraina ha fatto la levatrice della nuova Europa, ma ora l’Europa deve cominciare a esistere e a respirare da sola. Siamo ancora al bambino appena nato che non sappiamo se sopravviverà o meno. Questo bambino è nato con il parto cesareo imposto dallo zar Putin, ma non basta averlo tirato fuori, bisogna dargli da vivere, deve essere nutrito e accudito altrimenti muore. Non è che basta il tetto massimo al prezzo del gas se si vuole che il bambino cresca. Serve subito anche un nuovo Recovery energetico. Serve un Recovery all’anno per i prossimi dieci anni.

Serve l’economia che segue la politica. Serve tutto quello che ancora non c’è. Questo serve per fare sopravvivere e crescere il bambino. Tutti i Paesi europei devono metterci qualcosa di loro. Che è proprio quello che in questo momento non vogliono fare. Il Mediterraneo è una delle valvole in cui entrerà lo sfogatoio sociale di questa grande crisi bellica e economica, con il suo carico di sofferenze personali da una sponda all’altra del Mediterraneo, il punto è che se all’inizio andranno tutti in Italia, Spagna, Francia, poi andranno anche in Germania, in Olanda e così via. Perché la dimensione della crisi, anzi delle molteplici crisi – inflazionistica, monetaria, energetica, alimentare – innescate dalla guerra di Putin in Ucraina, è tale da mettere in ginocchio l’Europa. Il rischio più grande è quello della carestia che determina a sua volta una crisi umanitaria senza precedenti.

Le scelte da compiere non sono per salvare l’Italia, ma l’Europa. Se almeno lo si capisse, forse saremmo conseguenti. Bisogna che qualcuno lo dica forte. Quella che manca è una pubblica opinione europea che dica: svegliatevi! Invece di richiamare l’attenzione su questo tema decisivo, si fanno discorsetti demagogici sulla pace e su tutti i diritti del mondo, tutti girati sempre su un registro di politica interna fuori dalla storia. Si ignora il tema dell’azione economica europea unita che è diventato fondante. Perché se salta questo principio strategico-operativo, salta anche il rabberciato equilibrio europeo. Lo sforzo di azione comune rimarrebbe solo un momento isolato in un momento drammatico. Troppo poco.


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