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Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea

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Siamo in presenza di un consiglio direttivo della Bce con 25 persone, compreso il board, dove la maggioranza dei suoi componenti non è all’altezza della sfida che ha davanti. Ci sono la Francia, la Spagna, l’Italia però ci sono anche la Slovacchia, l’Estonia, la Lituania, la Lettonia, la Slovenia, il Lussemburgo e contano come quegli altri che hanno più esperienza e capiscono di più. La verità è che dentro il Consiglio direttivo della Bce si scontrano due correnti di pensiero. C’è un primo punto di vista che dice “se c’è un problema, interverremo” e c’è un secondo punto di vista che preme perché si metta subito in campo un intervento che contrasti la frammentazione e restringa la forbice dei differenziali. Bisogna che chi vuole provarci di nuovo e vuole tornare a fare i soldi con la speculazione, sappia in anticipo che non passerà e che si farà molto male. Bisogna evitare che questo strumento esca fuori dopo che c’è stata già la crisi sperando che la supereremo

I tassi di interesse europei devono giocoforza salire. Se lo fanno con la variazione dei prezzi all’8% è giusto perché tassi di interesse così bassi nella nuova situazione non sono più possibili. Perché noi saliamo più degli altri non c’entra niente con la politica monetaria che ritorna normale di fronte a shock che non sono causati dalla politica monetaria ma da un’offerta di prezzi dell’energia stratosferici con il rischio che si stabilizzino. Ovviamente siamo pieni di professori che ripetono che  bisognava che si reagisse due anni fa quando fino a settembre dell’anno scorso l’inflazione era al 3% e, al netto del primo specifico caro bolletta energetica, di fatto all’1% con gran sollievo per chi contraeva mutui e chiedeva prestiti pagando ancora tassi di favore.

Non si vuole riconoscere che tutto nasce dall’aumento stepitoso del prezzo del gas pari a otto/nove volte di più di quello in America che ha fatto impennare tutti i prezzi dell’energia e ha fatto raddoppiare i prezzi dei salari in Europa. Soprattutto i Paesi del Nord Europa sono spaventati e chiedono che si faccia una politica monetaria che tenga conto di questo per evitare che si riavviti una spirale prezzi-salari-cambio dell’euro. Per questo arriva la normalizzazione della politica monetaria non perché, come dice Salvini, si vuole obbligare l’Italia a   entrare in austerità come avvenne nel 2011.

I fatti dell’economia italiana, quelli veri non quelli del rumore mediatico, ci dicono che il debito pubblico può continuare a scendere rispetto al prodotto interno lordo a meno che non emerga un nuovo problema politico-militare-energetico russo di dimensioni così elevate da fare in modo che la domanda cade a tal punto che i prezzi salgono e crollano i salari reali. Allora sì che abbiamo un rapporto debito/Pil che riprende a salire. È bene, a questo punto, capire le ragioni dell’anomalia italiana nell’andamento dello spread e dei rendimenti. Le ragioni di cui tenere conto sono essenzialmente tre con un grande punto interrogativo finale che riguarda proprio chi ha in mano il timone della Banca centrale europea e si chiama Christine Lagarde.

La prima ragione è che i fondamentali dell’economia – posizione finanziaria netta sull’estero, bilancia dei pagamenti, risparmio delle famiglie, a parte l’elevatezza del debito pubblico – non esprimono valutazioni economiche che spiegano l’aumento del differenziale. Anche se la guerra dovesse avere effetti di lungo periodo di caduta della domanda e di capacità di crescita, il debito sarà ripagato. Questo debito l’Italia lo ha sempre ripagato,  le risorse ci sono, ma il punto è che i mercati viceversa si pongono questo problema  perché la Bce non comprerà più i titoli pubblici e perché, dentro la Bce, ci sono alcuni che addirittura discutono  di come vendere i titoli che hanno in bilancio.

A questo punto, per fare in modo che questi nostri titoli vengano comprati, l’Italia deve essere vista come un Paese che fa bene, un Paese che fa bella figura. Dobbiamo fare bene la spesa dei fondi  europei del Pnrr, dobbiamo fare riforme serie della giustizia, della pubblica amministrazione e della concorrenza.

L’economia sta crescendo quasi del 3% che, con questo aumento dei costi, vuol dire che sta andando bene, cioè sta andando come era previsto, con i prezzi del gas che sono passati da venti a ottanta e contano il 10% dell’indice e con i costi delle materie prime agricole che sono esplosi. Certo, se c’è una botta ulteriore geopolitica, il rapporto debito/Pil ne risentirà, ma i fondamentali ci dicono che anche in questo caso lo spread deve e può essere molto più basso, il problema italiano non è qui.

La seconda ragione dei problemi veri italiani è di carattere tecnico e è legata paradossalmente alla qualità del nostro mercato dei titoli pubblici. Funziona molto bene, è di sicuro il migliore in Europa.  Se gli americani alzano i tassi con forza e il nostro shock è minore del loro questo differenziale di tassi   porta a fare uscire capitali dall’Europa verso gli Stati Uniti e il luogo migliore per farli uscire è quello del mercato dei future  italiani. Se questa nostra caratteristica qui conta davvero tanto come qualcuno ritiene va verificato nei dettagli, perché in questo caso sarebbe proprio l’efficienza del mercato italiano una delle cause significative della nostra vulnerabilità. Bisogna farci una riflessione seria. La terza ragione è che siamo tornati al rischio politico del 2018 con il primo governo Conte quando avevamo gli euroscettici dichiarati al governo. Poi, i Cinque stelle hanno recitato l’atto di dolore e ora gli  euroscettici sono diventati a giorni alterni Salvini e Meloni che sparano con sfumature differenti un’altra volta contro Bruxelles perché siamo entrati in campagna elettorale.  Si utilizza la Russia, l’Ucraina, si attacca l’Europa, si utilizza tutto pur di fare voti. Oggi alle amministrative, domani alle politiche.

Il punto è che questa cosa i mercati la tengono in conto.  Ci credono, si convincono  che queste persone sono pericolose e questo fa allargare lo spread. I fondamentali dell’economia giustificano qualunque governo auspicabilmente politico purché si mantengano chiari gli obiettivi di crescere di più e di mettersi a posto sui ritardi storici italiani che appartengono al piano economico e civile. Alla sua macchina amministrativa incapace di spendere. Questa è la   garanzia data all’Europa dall’Italia di Draghi: dimostrare che sappiamo fare le cose e se si stesse un po’ più   zitti potremmo solo guadagnarci, invece abbiamo il pieno di economisti che fanno a gara a chi la spara più grossa. Che, ad esempio, la politica monetaria non si è mossa per tempo mentre Draghi è stato tempestivo e efficace alle prese con la deflazione e la Lagarde aiutata dagli investimenti pubblici con la pandemia ha fatto in modo che in Europa, a differenza  dell’America, la politica monetaria accompagnasse la politica di bilancio. 

Non è vero, dunque, che nei rispettivi ambiti Europa e Italia non si sono mossi per tempo. La politica monetaria si è mossa per tempo ed è ovvio che se arriva la nuova guerra mondiale la politica monetaria perderà del tutto la sua indipendenza.

Un problema ora, però, c’è ed è molto importante e riguarda proprio il timone della Bce. Draghi, predecessore della Lagarde, è passato alla storia per quelle tre parole (whatever it takes) che hanno salvato l’euro e misurato la sua credibilità sui mercati, ma oltre a quelle tre parole Draghi ha avuto il merito storico di avere reso possibile un meccanismo di interventi che era stato studiato e che è stato ritenuto credibile. Oggi la Lagarde deve dimostrare di sapere fare altrettanto e di non essere ritornati alla stagione delle ambiguità fallimentari di Trichet. Purtroppo ad Amsterdam non è stato così perché si è genericamente detto che ogni ipotesi di intervento di mercato è possibile in caso di differenziali eccessivi a condizioni molto forti. Invece gli interventi vanno concepiti e attuati subito per evitare che il problema cresca.  

La verità è che dentro il Consiglio direttivo della Bce si scontrano due correnti di pensiero. C’è un primo punto di vista che dice “se c’è un problema, interverremo” e c’è un secondo punto di vista che preme perché si metta subito in campo un intervento che contrasti la frammentazione e restringa la forbice dei differenziali. Bisogna che chi vuole provarci di nuovo e vuole tornare a fare i soldi con la speculazione, sappia in anticipo che non passerà e che si farà molto male. Bisogna evitare che questo strumento esca fuori dopo che c’è stata già la crisi sperando che la supereremo.

Siamo in presenza di un consiglio direttivo della Bce  con venticinque  persone, compreso il board, dove la maggioranza dei suoi componenti, diciamocelo, non è all’altezza della sfida che ha davanti. Quando c’era Mario Draghi gli altri rappresentanti monetari nazionali avevano più dimestichezza con le regole del mercato e ciò li rendeva più capaci di quelli attuali. Oggi ci sono la Francia, la Spagna, l’Italia però ci sono anche la Slovacchia, l’Estonia, la Lituania,  la Lettonia, la Slovenia, il Lussemburgo e contano come quegli altri che hanno più esperienza e capiscono di più. C’è un’Europa della moneta che zoppica come e più dell’ Europa politica e ci sono rappresentanti monetari di Paesi che devono tutto agli aerei che l’Occidente invia loro per proteggerli dalla Russia che sono politicamente irresponsabili e che verrebbe quasi voglia di lasciarli soli e farli annettere da Putin così forse capirebbero il favore che stanno avendo e non intralcerebbero la difesa delle ragioni dell’euro e di una politica monetaria capace di contrastare l’anomalia dei differenziali di spread che rischia di mettere in crisi una delle tre grandi economie europee, quella italiana, immotivatamente e con danno per tutti.

Il problema è abbastanza serio perché in un momento come questo il timone della Bce dovrebbe avere la competenza e la saldezza di nervi dimostrata da Draghi durante la grande crisi dell’euro. Invece facciamo i conti con una presidente della Bce che è un politico di valore ma non è un banchiere centrale e non ha il massimo della capacità comunicativa. Se ti dicono che le previsioni erano state sbagliate, puoi rispondere che quei dati non li avevi tu e non li aveva nessuno. Puoi dire che la tua rotta è questa e invitare il tuo interlocutore ad andare a studiare, ma c’è anche il rischio che qualcuno risponda “e tu dove hai studiato, madame Lagarde”. Questo è il problema.


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