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La Commissione Europea

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L’Europa non reagisce ai costi del conflitto come ha reagito a quelli della pandemia. Questa cecità oggi la pagano alcuni europei più degli altri poi la pagheranno tutti. L’Italia non fa gli sforzi che dovrebbe fare per dimostrare al mondo che è padrona del suo futuro. Il differenziale di spread con la Spagna misura il cammino che i capi dei partiti e della burocrazia italiani devono ancora percorrere per sostenere la ricostruzione del Paese. Bisogna avere il coraggio e la coerenza di capire che l’inflazione europea è diversa da quella americana, che le cause sottostanti sono differenti e non c’è proprio bisogno di trasferire un surplus di tensioni ingiustificate in un momento come questo. Perché è pacifico che i tassi debbano aumentare ma non è affatto pacifico che alcuni Paesi debbano pagare costi aggiuntivi per mediazioni politiche di tipo mediatico che vogliono tenere insieme tempistiche differenti e raccontano in modo improbabile di strumenti più o meno necessari.

L’Europa non reagisce ai costi del conflitto come ha reagito a quelli della pandemia. Questa cecità oggi la pagano alcuni europei più degli altri, poi la pagheranno tutti gli europei. L’Italia non fa gli sforzi che dovrebbe fare per dimostrare al mondo che è padrona del suo futuro. Tutti, capi e capetti della politica e della burocrazia e circuito mediatico che fa da grancassa, continuano a chiedere di tutto e di più e indeboliscono la chiarezza di itinerario politico che il governo di unità nazionale guidato da Draghi ha in mente per l’Italia e per l’Europa.

Fanno di tutto per offuscare questa chiarezza di indirizzo, di redistribuzione e di riforma del sistema, di modernizzazione della macchina pubblica e di cultura di risultato. Addirittura si assiste a una nobile gara tra Agenzia della coesione e Regioni a chi fa più tardi nel rispettare i calendari programmati con l’Europa per l’utilizzo dei fondi comunitari. La presidente della Bce, Christine Lagarde, non dà una mano perché sul suo blog scrive una cosa e in conferenza stampa ne dice un’altra. Perché vuole tenere insieme la Germania che pretende rialzi più sostenuti e più rapidi e chi consiglia maggiore prudenza ricordando la natura vera dell’inflazione europea con cui si fanno i conti. Perché dice che di scudo anti-frammentazione non si è parlato e che non c’è emergenza, ma dice pure che abbiamo un sacco di strumenti che possono essere usati. Parla di reinvestimento in titoli in scadenza e parla della possibilità di impiegare 1,7 trilioni legati al programma Pepp (pandemia) che sul bilancio della banca di 5 trilioni sono una gran cosa.

Ovviamente, però, aggiunge con totale flessibilità e se necessario nelle diverse giurisdizioni e nei diversi prodotti. Per cui tradisce in realtà quello che lei pensa davvero e cioè che questa somma può essere impiegata anche in un solo Paese – Grecia? Italia? – in un prodotto come in un altro, tra i vari asset pubblici e privati anche se non lo fa nel modo giusto. Diciamo la verità. Madame Lagarde non può dire cose che non sono decise ed è alle prese con un esercizio complicato, ma questa confusione di parole aiuta la corsa dello spread italiano che misura la reputazione dei titoli sovrani di un Paese e aumenta i costi per il collocamento dei suoi titoli pubblici che servono per pagare gli stipendi e le pensioni.

Bisogna avere il coraggio e la coerenza di capire che l’inflazione europea è diversa da quella americana, che le cause sottostanti sono differenti e non c’è proprio bisogno di traferire un surplus di tensioni ingiustificate in un momento come questo. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, nel dirlo ieri a Parigi chiudendo i lavori dell’interministeriale dell’Ocse, dice cose assolutamente sacrosante.

Perché è pacifico che i tassi debbano aumentare ma non è affatto pacifico che alcuni Paesi debbano pagare costi aggiuntivi per mediazioni politiche di tipo mediatico che vogliono tenere insieme tempistiche differenti e raccontano in modo improbabile di strumenti più o meno necessari. Non c’è nessun allarmismo da fare, ma la cronaca ci dice che lo spread italiano è salito ieri molto sopra 230 e il rendimento del Btp decennale arriva a sfiorare il 4% (3,85% per la precisione).

Questi sono i fatti. La verità è che anche la guida della politica monetaria europea come l’Europa politica non fa i conti con il conflitto e non ha il seguito sui mercati che aveva chi la ha preceduta, ma al contempo l’Italia sempre più nonostante Draghi paga un conto che aumenta giorno dopo giorno e acuisce quegli elementi che incidono sulla forza potenziale della leadership che sopravvive nella fiducia dei consumatori e nella resilienza della produzione nonostante tutto ma non può andare oltre una certa soglia sui mercati. Lì non basta un uomo per tenere, sta tenendo, ma il sentiment della politica e della comunicazione italiani si devono sintonizzare in modo strutturale e riscontrabile in casa e fuori sulla nuova lunghezza d’onda.

Perché da tempo gli andamenti degli spread spagnolo e portoghese restano differenti da quelli greci e italiani. Nelle situazioni di incertezza ciascun Paese europeo, sbagliando, sta dimostrando di volersi rinchiudere in quello che ha. I Paesi più forti hanno qualcosa in cui rinchiudersi, quelli più deboli hanno molto meno. Soprattutto hanno la consapevolezza che se restano fuori dalla porta stanno ancora peggio. Perché se rimani fuori da questo circuito sei tu a rimanere fuori dal castello, non è che gli altri fabbricano qualche castello nuovo per te. È un po’ quello che sta succedendo con il conflitto che nessuno dice. Ora che la guerra sta andando a favore della Russia, tutti si riposizionano perché dopo il terzo mese cominciano a pensare che il grande mangia il piccolo e che non è vero che Davide può vincere su Golia, quindi meglio non farsi coinvolgere nella guerra.

Quando ormai questa è una guerra mondiale a pezzetti, come ha detto con una frase felice Romano Prodi, per cui con questo atteggiamento poi se ne farà una davvero più grande per sconfiggere la Russia. È un po’ quello che accade in casa nostra con ogni scelta europea e ogni scadenza, anche sull’auto elettrica, mai una risposta “siamo pronti alla sfida, vi facciamo vedere noi quello che sappiamo fare”. Sull’Italia non è più il tempo di giochi e giochini, lo diciamo da un po’, ma ora sentiamo di doverlo dire con maggiore forza.

Lega, Cinque stelle, anche lo stesso Pd che non si capisce sempre bene chi lo ha in mano, devono cambiare atteggiamento e dimostrare al mondo che marciano uniti sulla ricostruzione e sulla modernizzazione del Paese. Anche perché se, a fronte di questa persistente crisi della politica, continuiamo ad essere il Paese del “fermate il mondo voglio scendere” e le componenti politiche anti euro più o meno mascherate non fanno una precisa scelta di campo allora quello spread continuerà a salire e la divaricazione con i supereuropeisti spagnoli e portoghesi si farà sentire sempre di più. Questo proprio non va bene


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