Ignazio Visco
5 minuti per la letturaServe un cambiamento di testa radicale per capire fino in fondo che la riforma fiscale è necessaria per alleggerire il peso di oneri fiscali e contributivi impropri sul lavoro produttivo, ma anche per cominciare a redistribuire senza aggravare la nostra posizione di debito pubblico. Non possiamo permetterci nei prossimi sei mesi di uscire dal circolo virtuoso obbligato delle riforme di struttura e della fiducia. Che si nutre, però, di fatti, non di parole. Come sottolinea il governatore Visco: con il Pnrr siamo davanti a una strategia articolata di modernizzazione del Paese, che coniuga programmi di riforma e investimenti pubblici con quelli privati, contribuendo a realizzare la transizione digitale e quella ecologica. Sono traguardi e scadenze sostenuti da un sistema capillare di monitoraggio. C’è un impianto di riforme di sistema, a partire da quella dei contratti pubblici, che segnano lo spartiacque possibile tra l’Italia di ieri, storico fanalino di coda delle economie europee, e l’Italia possibile di domani che decide di aprirsi alla concorrenza e di abbattere i mille tabù della rendita italiana
Il prodotto interno lordo italiano nel primo trimestre di quest’anno chiude in positivo dello 0,1% contro una previsione negativa dello 0,2%. Questo giornale lo aveva previsto in assoluta solitudine sulla base di una consapevolezza della resilienza economica di questo Paese che, a dispetto di tutti i catastrofisti, si vedeva soprattutto nei servizi e nel turismo oltre che nella tenuta dell’industria. Soprattutto lo aveva previsto non per sminuire l’entità della correzione che pandemia e guerra “accentuando radicalmente l’incertezza” hanno determinato e ancora di più determineranno se il conflitto proseguisse nel tempo, ma perché la tenuta del primo trimestre e il probabile miglioramento del secondo sono esclusivamente legati alla fiducia di un popolo di produttori e consumatori che ha apprezzato come il governo di unità nazionale guidato da Draghi ha gestito la pandemia consentendo di riaprire in sicurezza l’economia del Paese prima degli altri.
È evidente che l’embargo al gas russo farebbe ripiombare l’Italia in recessione, la terza in meno di quindici anni, ma per il momento l’embargo non è all’orizzonte ed è un dato di fatto che l’economia italiana mantiene una vitalità superiore a quella tedesca che come l’Italia è il Paese più esposto ai costi della dipendenza energetica dallo Stato aggressore russo e meno di noi esposto ai costi della dipendenza agricola dallo Stato aggredito che è l’Ucraina. Sappiamo tutti che il cambiamento di quadro della situazione vale due punti di prodotto interno lordo (Pil) e sarebbe la rovina. Si fa bene a tenerlo a mente, ma proprio per sventare scenari irrealistici, non per aggiungere pessimismo a pessimismo.
Questa fiducia che “buca” il rumore dei partiti italiani e quello ancora più chiassoso e depressivo del dibattito mediatico è, dunque, il propellente vitale dei comportamenti economici della nostra società. È quello che più di tutto serve per non aggiungere depressione a depressione. Questa fiducia, però, ha bisogno di “nutrirsi” di comportamenti pubblici e privati virtuosi completamente nuovi. Per queste ragioni la parte che più ci è piaciuta delle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, è la sottolineatura che ha voluto fare del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) come strumento decisivo per «affrontare con successo la sfida di superare le debolezze che rallentano lo sviluppo dell’economia italiana, per interrompere il ristagno della produttività, contrastare l’effetto delle tendenze demografiche sull’offerta di lavoro, ridurre il peso del debito pubblico».
Anche qui, come si capisce anche intuitivamente, c’entra la fiducia. Perché traguardi e scadenze per le riforme da attuare e gli investimenti da mobilitare, oltre che le dimensioni finanziarie in gioco, pongono una «netta discontinuità nella definizione delle politiche economiche». Siamo davanti a una «strategia articolata di modernizzazione del Paese, che coniuga programmi di riforma e investimenti pubblici con quelli privati, contribuendo a realizzare la transizione digitale e quella ecologica o “verde”».
C’è francamente anche molto di più. Perché si prova finalmente a “innovare profondamente le modalità di attuazione delle misure”. Perché si individuano “obiettivi specifici, anche per i programmi gestiti a livello locale” e si delineano “gli interventi necessari a superare gli ostacoli normativi che potrebbero rallentarne la realizzazione”. Perché si stabiliscono “traguardi e scadenze sostenuti da un sistema capillare di monitoraggio».
Vogliamo essere molto chiari, e qui davvero il governatore Visco tocca la radice del problema italiano, c’è un impianto di riforme di sistema, a partire da quella dei contratti pubblici, che segnano lo spartiacque possibile tra l’Italia di ieri storico fanalino di coda delle economie europee e di certo tra le più diseguali e l’Italia possibile di domani che decide di aprirsi alla concorrenza e di abbattere i mille tabù della rendita italiana. Che ancora prima decide di cambiare in profondità il tasso di efficienza della sua macchina pubblica a livello nazionale e territoriale e dimostra sul campo di sapere fare nei tempi prestabiliti gli investimenti pubblici. A partire dal capitale umano e dalle intelligenze universitarie del suo Mezzogiorno, ponendosi come soggetto mobilitatore delle economie private dei territori e attrattore di capitali internazionali legati alla messa in sicurezza delle filiere produttive europee.
Serve un cambiamento di testa radicale per capire fino in fondo che la riforma fiscale è necessaria per alleggerire il peso di oneri fiscali e contributivi impropri sul lavoro produttivo, ma anche per cominciare a redistribuire senza aggravare la nostra posizione di debito pubblico. Che è il punto di massima fragilità e vulnerabilità del nostro Paese soprattutto in una stagione di inevitabili restrizioni monetarie per domare il mostro inflazionistico. Non possiamo permetterci nei prossimi sei mesi di uscire dal circolo virtuoso obbligato delle riforme di struttura e della fiducia. Che si nutre, però, di fatti, non di parole. Perché i primi, non le seconde, sono la base della reputazione riconquistata dall’Italia nel mondo e della ricostruzione nazionale. Altre vie non sono percorribili.
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