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C’è un’opportunità storica che non potrebbe mai più capitare all’Italia. La nuova globalizzazione impone filiere produttive europee integrate su scala territoriale più ridotta, il livello di sanità, istruzione, università, servizi esistenti oggi e ancora di più quelli a venire finanziati con il Pnrr, rendono questo pezzo d’Europa che si affaccia sul Mediterraneo e che garantirà a tutti gli approvvigionamenti energetici, la principale opportunità di investimenti privati industriali, turistici, alberghieri, agricoli, informatici, digitali dell’intera Europa. Il Sud è già oggi l’unico Eldorado possibile per investire i capitali in cerca di destinazione provenienti dai Paesi emergenti, le imprese private del Nord del Paese solo in questi territori italiani possono mettere in sicurezza il loro ciclo di produzione. E poi: che cosa aspettano gli imprenditori del Sud a investire loro stessi sul loro Sud? A fare rete con la più grande flotta dell’industria del mare a livello mondiale, che è la loro, a moltiplicare il numero dei loro alberghi e a pretendere la rigenerazione delle loro città e dei loro lungomari, a scommettere sui flussi mondiali del turismo? Si fa bene a squillare la tromba e bisogna lavorare in modo mirato perché le cose avvengano.
Qui non c’entra più neppure la solita discussione sul Piano nazionale di ripresa e di resilienza dove l’errore più grave che potremmo commettere è quello di rimetterci a discutere tutto così perderemmo ogni cosa facendo felici i Paesi dell’Europa del Nord che solo questo vogliono. E poi, diciamolo, le priorità sono tutte centrate. La lotta alle disparità territoriali, di genere e generazionali sono nei numeri e raccontano di un Mezzogiorno che può fare molti passi avanti con treni veloci e banda digitale, ma ancora prima investendo come non mai in passato su capitale umano, scuola, Università, ricerca e rete delle intelligenze.
Qui piuttosto bisogna focalizzarsi sull’urgenza di dotarsi di una struttura tecnica centrale con persone nuove che aiuti i soggetti attuatori, ministeri e Comuni, a fare il loro nei tempi prestabiliti. Il punto vero, però, della rinascita del Mezzogiorno, che coincide con la soluzione possibile dalla crisi italiana e la messa in sicurezza dell’Europa, riguarda l’uscita di capitali sempre più consistenti dai Paesi emergenti per un rischio globale che si estende dalla Russia alla Cina fino all’India alla ricerca di un posto sicuro dove investire. Questo posto sicuro si chiama Mezzogiorno d’Italia per la posizione geografica strategica negli approvvigionamenti energetici da Africa e Medio Oriente, ma anche perché in termini di energia solare, tasso attuale di infrastrutture, collegamento e integrazione con le filiere produttive europee è già oggi l’unico Eldorado possibile per questi capitali in cerca di destinazione.
Bisogna ora, oggi, non domani, squillare la tromba, e in questo fa bene a farlo la ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna, perché tutti si rendano conto che c’è un’opportunità storica che non potrebbe mai più capitare all’Italia. La nuova globalizzazione impone filiere produttive europee integrate su scala territoriale più ridotta, il livello di sanità, istruzione, università, servizi esistenti oggi e ancora di più quelli a venire finanziati con il Pnrr, rendono questo pezzo d’Europa che si affaccia sul Mediterraneo e che rappresenta il nord dei sud del mondo che garantirà a tutti gli approvvigionamenti energetici la principale opportunità di investimenti privati industriali, turistici, alberghieri, agricoli, informatici, digitali dell’intera Europa.
Bisogna lavorare in modo mirato, offrire aree speciali, mostrare cose fatte, non annunciate, mobilitare tutte le azioni di attrattività condotte con guida unica in casa e fuori. Investire sull’industria del mare e centralizzare la guida degli enti portuali del Mezzogiorno perché l’enorme mercato potenziale e i traffici commerciali da canalizzare non consentono vuoti di inefficienza. Bisogna mettere su una squadra sganciata da ogni militanza politica che sopravviva a qualunque maggioranza di governo e rappresenti per il mondo dei capitali non solo il numero telefonico a cui chiamare ma anche le teste e le braccia finanziarie, burocratiche, esecutive su cui fare correre l’investimento senza intermediazioni di sorta.
Bisogna convincere le imprese private del Nord del Paese che solo in questi territori italiani possono mettere in sicurezza il loro ciclo di produzione contando su risorse umane e geografiche certe non reperibili altrove. Ma dove lo trovano un territorio a così alta intensità di energia da sole, mare, vento, con tutti i vantaggi di un sistema Italia che avrà pure mille difetti ma è pur sempre quello di una delle economie europee più avanzate e di una delle società europee dotate di welfare e trasporti tra i più attrezzati? Ma che cosa aspettano gli imprenditori del Mezzogiorno a investire loro stessi sul loro Mezzogiorno? A moltiplicare gli insediamenti industriali, a investire insieme sulla robotica del futuro, a fare rete con la più grande flotta dell’industria del mare a livello mondiale, che è la loro, a moltiplicare il numero dei loro alberghi e a pretendere la rigenerazione delle loro città e dei loro lungomari, a scommettere sui flussi mondiali di un turismo di qualità e di massa e della grande industria degli eventi, sulla ricerca integrata tra imprese, territori e università?
Che cosa si deve fare perché sia chiaro a tutti – multinazionali, grandi e piccole aziende, distretti industriali delle aree più produttive del Paese – che ora, oggi, non domani, è il momento giusto per venire a fare investimenti di innovazione nel Mezzogiorno, a produrre qui componentistica di qualità, beni di lusso, meccanica di precisione, e tutto ciò che integra e completa le filiere produttive per lo meno di livello europeo? Che tutto ciò fornisce, peraltro, un contributo decisivo alla crescita del loro primo mercato di esportazioni che è quello di venti milioni di consumatori del Sud d’Italia? La storia pandemica e il conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo democratico combattono attivamente perché l’Italia possa comprendere fino in fondo quale è l’opportunità storica che ha oggi questo Paese e tutto ciò che permette alle trombe di squillare forte nelle orecchie degli investitori globali è bene accetta. A patto che dopo i trombettieri arrivino i riscontri fattuali e che il sistema meridionale recuperi nel suo insieme orgoglio, senso del riscatto e prima di tutto organizzazione. Noi lo sosteniamo da tempo e vogliamo crederci.
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