Mario Draghi
5 minuti per la letturaStiamo veramente scherzando con il fuoco della grande guerra delle materie prime. Visto che al Nord come al Sud abbiamo una quota tendenzialmente all’infinito di risorse che le regioni del Nord come quelle del Sud non sanno spendere. È necessario firmare decreti di spesa produttiva e tagliare gli impatti del caro materie prime sui bandi in essere e fare partire in modo effettivo i cantieri del Pnrr. Servono investimenti pubblici e mobilitazione coerente di investimenti privati dentro un chiarissimo posizionamento internazionale. Se non possiamo fare altri scostamenti possiamo almeno mettere i fondi della programmazione nazionale dentro il Pnrr e anche quelli europei che non fanno parte del Next Generation Eu rispettando al millesimo la geografia territoriale e la lotta alle disparità di genere e di generazione previste dal Piano
Rallentiamo meno del previsto nel primo trimestre del 2022. Facciamo meno 0,2% contro un meno 0,5% scritto nero su bianco nel documento di economia e finanza (Def) a dimostrazione che chi ci governa fa l’esatto opposto di quello che hanno fatto molti governi del passato che hanno spesso giocato sulla generosità delle aspettative per mascherare politicamente vistose incapacità. Qui domina il contrario: la prudenza. Che è tipica del ministro Franco, ma è anche frutto di una conoscenza reale dei fenomeni e della volontà di non ingannare la pubblica opinione.
Addirittura l’Istat rivede al rialzo la crescita del quarto trimestre dallo 0,6 allo 0,7% rispetto a quanto previsto sia a gennaio che ad aprile. Noi siamo per la prudenza di Franco e siamo consapevoli che la bestia nera da abbattere è la terza recessione italiana legata tutta intera ai cigni neri della pandemia e della guerra di invasione russa dell’Ucraina. Che è diventata la grande guerra delle materie prime e assume, purtroppo, ogni giorno di più i contorni del conflitto di civiltà tra mondo autarchico e mondo democratico. Impone prezzi economici a chi come noi è industrialmente molto dipendente da quei territori e impone altresì obblighi di schieramento politico ancora più cogenti sul piano morale oltre che su quello economico.
Questo è il punto sottovalutato da troppi immersi in un dibattito propagandistico tanto surreale quanto nefasto. Il decennale del Btp italiano ha fatto ieri il suo nuovo record di rendimento al 2,72%. Siamo tornati al maggio del 2019 quando avemmo il dato peggiore a causa della gaffe della Lagarde che disse da neo presidente della BCE che non stavano lì per restringere gli spread proprio mentre a Bergamo sfilavano le bare dei morti di Covid.
Perché succede invece tutto questo oggi? Molto semplicemente perché adesso l’inflazione ha ripreso a galoppare, cambia la politica monetaria e la rende restrittiva in America come in Europa. Ovviamente il rischio si concentra sui Paesi più esposti che sono quelli ad alto debito come l’Italia.
Francamente crediamo che anche un grillino se si impegna un po’ può arrivare a capire che gli acquisti della BCE che ci hanno permesso di fare in un anno di loro governo scostamenti di bilancio con effetti pluriennali per 500 miliardi (sì, avete capito bene, 500 miliardi, febbraio 2020-febbraio 2021) non ci sono più e spariranno del tutto. Non dovrebbe essere così difficile capire che, quindi, quella leva degli scostamenti non la si può usare con quelle modalità. Che non è più percorribile tranne consegnare il Paese a percorsi argentini o, in genere, sudamericani.
Dovremmo piuttosto, invece di farci distrarre dai problemi della fuffa politica e della propaganda degli scostamenti, concentrarci sul problema numero uno che abbiamo che è quello del caro materie prime energetiche e agro-alimentari. Esattamente come sta facendo questo governo che sa bene che la guerra su questo primo trimestre ha avuto ancora un’incidenza pari a un terzo e che, quindi, il vero banco di prova sarà il secondo trimestre.
Allora il punto è che se non possiamo fare altri scostamenti possiamo almeno mettere i fondi della programmazione nazionale dentro il Piano nazionale di ripresa e di resilienza e anche quelli europei che non fanno parte del Next Generation Eu rispettando al millesimo la geografia territoriale e la lotta alle disparità di genere e di generazione previste dal Piano più qualificante che abbiamo in essere di investimenti. Rispettando, cioè, le priorità che tutti convintamente e giustamente ci siamo dati. Gli appalti assegnati non partiranno mai perché il quadro iniziale dei costi è folle rispetto a quello che è accaduto e sta accadendo nel mondo. Peraltro, la concorrenza del superbonus del 110% che costa 20/25 miliardi al bilancio pubblico italiano rende le gare poco appetibili per le imprese edilizie tutte impegnatissime e si assiste al fatto preoccupante che non pochi bandi perfino di progettazione vanno deserti.
Stiamo veramente scherzando con il fuoco della grande guerra delle materie prime. Visto che al Nord come al Sud abbiamo una quota tendenzialmente all’infinito di risorse che le regioni del Nord come quelle del Sud non sanno spendere, invece di impegnare tempo in convegnistiche di dibattito su scenari, come quello Ambrosetti previsto a Sorrento nel maggio prossimo, tutti i ministri del governo Draghi, a partire dalla Carfagna che ha fatto un gran lavoro per recuperare centralità al Mezzogiorno, impiegassero il loro prezioso tempo per firmare decreti di spesa produttiva e tagliare gli impatti del caro materie prime sui bandi in essere e fare partire in modo effettivo i cantieri del Pnrr.
A partire da quelli diretti a favorire investimenti estrattivi e di ogni tipo di risorsa eolica, solare, di vecchi e nuovi rigassificatori, ma anche di capitale umano su asili nido, scuola, ricerca, digitale, banda larga e treni ultra veloci. Servono investimenti pubblici e mobilitazione coerente di investimenti privati dentro un chiarissimo posizionamento internazionale. Questo è il punto strategico della politica economica italiana di oggi sul piano interno affiancata da quello che si è già fatto a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie e delle imprese sul caro energia senza scostamenti e da quello che si dovrà ottenere in sede europea con adeguate compensazioni finanziarie dopo avere prima di tutti spostato verso l’Africa il baricentro della nostra nuova politica energetica.
Quando si arriverà a capire l’importanza delle scelte coraggiose di politica internazionale compiute dal governo Draghi per la sua collocazione strategica nel nuovo ordine mondiale e per i conseguenti riflessi in termini economici e sociali a favore della sua popolazione sarà, a nostro avviso, sempre troppo tardi. Di questo, però, parliamo bene domani.
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