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Se il mondo dell’economia si è fermato e rischia sempre più di fermarsi, noi che abbiamo in casa la potenziale locomotiva d’Europa, e cioè il Mezzogiorno d’Italia strategico per tutti i tipi di materie prime energetiche oggi fondamentali, stiamo a perdere ancora tempo a fare convegni sulle strategie da scegliere? Che cosa ci vuole a capire che dovremmo solo operare con serietà dentro il Pnrr per stringere i bulloni sui bandi di gara che possono partire subito, a cominciare dal Mezzogiorno? Sono a rischio milioni di posti di lavoro e a nessuno deve più essere consentito di fare demagogia in tv o propaganda politica da quattro soldi. Ci vuole un generale Figliuolo anche per gli investimenti in eolico, solare e in ogni tipo di estrazione e per vecchi e nuovi rigassificatori. Non sono più tollerabili i veti delle sovrintendenze

Assistiamo impauriti alla distanza siderale tra l’urgenza dei problemi che lo scenario di economia di guerra in atto pone con il rischio assolutamente reale e assolutamente da sventare di una terza recessione e la qualità del dibattito delle forze politiche della maggioranza e, ancora di più, del dibattito della pubblica opinione soprattutto televisivo. La complicazione della situazione globale e l’equilibrio di sistema nazionale che è richiesto per ridurre i margini negativi di impatto sulla economia e sulla società italiane sono ben presenti alla gente. Che, non a caso, mostra gradimento crescente per la guida accorta di Draghi e del suo ministro dell’Economia Franco, ma queste consapevolezze diffuse non riescono a rompere il cubo televisivo e politico della dissennatezza che pericolosamente si autoalimenta reciprocamente.

Nel documento di economia e finanza (Def) questo governo ha messo per iscritto l’ipotesi di scenario avverso con una crescita nominale dello 0,6% che, al netto del trascinamento del 2,3% frutto della crescita-record del 6,6% del 2021, significa recessione profonda perché vuol dire crescita negativa dell’1,7% in un quadro di inflazione preoccupante a causa del caro materie prime e della estrema volatilità dei suoi prezzi. Il Paese si trova a fare i conti ogni giorno con il suo terzo cigno nero dopo quello della crisi dei debiti sovrani e quello della pandemia globale. Parliamo di terremoti finanziari e sanitari che hanno già prodotto danni superiori a quelli di una terza guerra mondiale persa e che avrebbero dovuto perlomeno insegnare qualcosa. Invece no, affatto.

Siamo davvero sconcertati di fronte a ciò di cui siamo quotidianamente spettatori. Perché invece di concentrarci sul fatto che il problema degli aumenti medi degli appalti di circa il trenta per cento su basi esterne imponga sia una revisione immediata delle gare in corso d’opera sia di ricostituire su basi assolutamente nuove quelle messe in aggiudicazione, si perde tempo a discutere astrattamente di scostamento di bilancio pubblico su tutto, anche per le cose più effimere a volte neppure indicate o sul tasso di “sovietizzazione” della nostra informazione televisiva pubblica e privata che è di per sé uno sconcio perché umilia le intelligenze e impedisce la conoscenza dei problemi reali.

Siamo oltre ogni ragionevolezza perché ci rifiutiamo perfino di tenere conto che siamo il Paese europeo che ha assorbito tutte le risorse possibili e immaginabili del Next Generation Eu mettendo nel conto fondo perduto, prestiti a tassi di favore, e addirittura un nostro fondo complementare pagato con il nostro bilancio pubblico.

Giocano tutti al bancolotto dello scostamento facendo finta di dimenticare che la stagione degli acquisti pandemici della Banca centrale europea, peraltro effettuati attraverso la nostra Banca d’Italia, è finita per sempre e che i nuovi titoli con cui dovremmo finanziare i nuovi ipotetici scostamenti del nulla debbono giocoforza trovare dei compratori che esigeranno un premio di rischio che già inflazione e incertezza del quadro internazionale stanno mettendo pesantemente sulle nostre spalle. Niente: di questo che già accade, e di quello molto più grave che può accadere, non si parla affatto.

Bisogna intervenire piuttosto con due miliardi e qualcosa per il caro bollette, forse di più, prestando molta attenzione alle fasce più fragili. Bisogna tirarne fuori altri sei di miliardi perché non si blocchi la macchina degli investimenti che è l’unica speranza di riequilibrare sul piano interno l’inevitabile caduta della domanda estera. Qui non si tratta di fare nuovo debito per fare nuova assistenza. Abbiamo un gigantesco, urgentissimo, problema di semplificazioni delle procedure di intervento per ogni tipo di investimento estrattivo, eolico, solare, di rimessa in moto di impianti a olio o a carbone, di vecchi e nuovi rigassificatori, e di tutto ciò che è possibile attivare, ma su questo i capi dei nostri partiti populisti e anche quelli cosiddetti progressisti sparano una sequenza impressionante di distinguo e di sottovalutazioni.

Perfino in un quadro di economia di guerra con uno Stato aggressore, la Russia di Putin, che gioca anche con i nostri rubinetti del gas, sulle regole del contratto e sui pagamenti in rubli, ci sono forze politiche che si permettono di riproporre la solita solfa del solito problema di questa o quella sovrintendenza che distrugge il futuro della nostra economia e dei nostri figli e tutela invece in modo odioso privilegi e rendite queste sì affaristiche a volte addirittura personali, comunque fuori dalla storia e dal tempo. Basta!

Stiamo facendo i conti con la grande guerra delle materie prime e siamo il Paese europeo più esposto in assoluto perché dipendiamo dal granaio ucraino e dagli altri materiali alimentari come da quello energetico (gas e petrolio) della Russia e invece di vedere cosa fare ad horas discutiamo di neutralismo, alimentiamo polemiche sul nulla, stiamo ancora a dibattere se serve o meno un nuovo generale Figliuolo con adeguati poteri speciali per sbloccare questo tipo di investimenti. Tutto ciò, nonostante, come ha giustamente denunciato ieri il presidente degli industriali del Lazio Camilli, ci vogliano ancora cinque anni, dico cinque, per autorizzare la costruzione di un impianto di energia rinnovabile o per fare un rigassificatore nuovo.

Siamo pazzi o siano su scherzi a parte? Ma di che cosa vogliamo parlare se siamo nel pieno di un conflitto di civiltà tra democrazia e dittatura, se il mondo dell’economia si è fermato e rischia sempre più di fermarsi, e noi che abbiamo in casa la locomotiva d’Europa, e cioè il Mezzogiorno d’Italia strategico per tutti i tipi di materie prime energetiche oggi fondamentali, stiamo a perdere ancora tempo a fare convegni sulle strategie da scegliere? Che cosa ci vuole a capire che dovremmo solo operare con serietà dentro il Pnrr per stringere i bulloni sui bandi di gara che possono partire subito, a cominciare dal Mezzogiorno? E che, magari, dovremmo per una volta renderci conto che su quasi mille miliardi di spesa pubblica ci sarà pure ancora qualcosa da sottrarre a scelte effimere e clientelari a favore di chi continua a accumulare fortune su rendite pubbliche per occuparci finalmente con fatti, non parole, del nostro futuro e salvare così il Paese dalla recessione? Ci rendiamo conto o no che lo stop degli arrivi di fertilizzanti russi ipoteca le semine di grano e che la fiducia delle famiglie è ai minimi storici perché pesano bollette e il caro carrello della spesa?

Sono a rischio milioni di posti di lavoro e a nessuno deve più essere consentito di fare demagogia in tv o propaganda politica da quattro soldi. Ringraziamo il Signore di avere ai vertici della Repubblica figure come Mattarella e Draghi stimate nel mondo che preservano la collocazione giusta dell’Italia in quella che è sempre più una grande guerra economica e una grande guerra di civiltà fuse insieme. Avere la stima dei partner democratici che contano di più, a partire dall’America, significa contare anche di più in Europa e significa fare crescere il fronte della democrazia in un quadro globale dove il mondo autarchico parte avvantaggiato perché i dittatori non hanno gli “ingombri” della divisione dei poteri, del dibattito pubblico e delle regole comuni da rispettare. Occupiamoci di difendere con dignità i nostri primati di civiltà e di affrontare e provare a risolvere le emergenze economiche con la serietà che la situazione impone. Evitiamo sceneggiate quotidiane e richieste demagogiche che non sono soddisfabili e che, soprattutto, nessuno ha più la testa e la disposizione d’animo per sopportarle. Ogni limite ha una pazienza, direbbe Totò.


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