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L’eventuale escalation delle sanzioni economiche alla Russia fino all’arma letale dell’embargo del canale gas ha una sola grande vittima designata subito che si chiama Italia e, successivamente, una seconda che è l’Europa tutta. L’Italia si ritroverebbe con una disponibilità di 10 miliardi di metri cubi di gas raccattati in casa e in mezzo mondo di fronte a un fabbisogno di 30 miliardi. Il che vuol dire chiudere troppe fabbriche italiane per un po’ e fare danni mai visti all’agro-alimentare con milioni di lavoratori senza più uno stipendio. Tutti gli investitori sanno che le progressive sanzioni energetiche alla Russia fanno terreno bruciato intorno all’economia italiana. Perché qui, di misura in misura, si decide se le acciaierie e l’industria dell’automotive devono restare aperte o chiudere. La seconda vittima designata è l’Europa perché alla fine del sacrosanto processo di isolamento dal mondo occidentale della Russia di Putin, tutti i Paesi europei si ritroveranno a pagare il gas il triplo di quello che pagano americani e cinesi. Ovviamente anche India e Russia staranno molto meglio di noi. Il che significa un divario strutturale di competitività anche in una globalizzazione acciaccata e da reinventare come è quella che ci aspetta dopo il doppio cigno nero della pandemia e della guerra
C’è stato un lungo vertice europeo per decidere se porre o meno una sanzione sull’Italia che ne rada al suolo l’economia e cominci a conoscere la recessione più profonda della sua storia per una guerra in cui non c’entra niente. Questo vertice si chiama Consiglio di Economia e finanza (Ecofin) e formalmente si occupa di sanzioni economiche alla Russia che ha invaso uno stato sovrano libero come l’Ucraina. Per fortuna si è deciso di non porre questa sanzione alla Russia, pardon all’Italia, e non si sono toccati gas e petrolio, ma solo il carbone, che è peraltro la materia prima più disponibile al mondo. L’appuntamento con la recessione più profonda della storia italiana per noi è almeno rinviato, ma è bene che si cominci a dire le cose come stanno con qualche brutalità perché il tasso fariseo di mistificazione e di propaganda politica supera ogni immaginazione.
Il Paese europeo più dipendente in tutto dallo Stato aggressore, la Russia, e dallo Stato aggredito, l’Ucraina, si chiama Italia. Dipendiamo per quasi tutte le materie prime energetiche e alimentari. Dobbiamo batterci con tutte le nostre energie perché la grande politica vinca in Europa, Mattarella e Draghi appartengono ai giganti della storia politica europea di oggi e bisogna che trovino ascolto. Perché la Cina e gli Stati Uniti comincino a parlarsi per sciogliere la matassa della guerra europea, non per incrementare le loro rendite di posizione. Perché l’Europa si renda conto che l’economia russa è già stata colpita giustamente molto duramente in quanto questa guerra di Putin all’Ucraina è una vergogna per il suo popolo. È stata colpita dalle sanzioni in essere vere e da quelle nuove “ridicole” sul carbone e più serie su altre banche russe e porti, ma deve essere chiaro a tutti che il filo della pace in questa fase si riannoda intorno al tavolo della grande politica e non delle sanzioni economiche. Qui l’Europa politica si deve fare rispettare dall’America prima di tutto e poi dalla Cina. Deve pretendere che loro sciolgano la matassa.
L’eventuale escalation di queste sanzioni economiche alla Russia fino al punto massimo dell’embargo del canale gas finanza che lega la Russia all’Europa ha una sola grande vittima designata subito che si chiama Italia, al suo fianco Austria e Germania che ha però più carbone alternativo di noi, e successivamente, nel giro di qualche anno, un’altra vittima designata che è l’Europa tutta. La prima, l’Italia, perché si ritroverebbe dalla sera alla mattina con la disponibilità massima di dieci miliardi di metri cubi di gas raccattati in mezzo mondo e un pochino in casa di fronte a un fabbisogno di energia di 30 miliardi di metri cubi di gas. Il che non vuol dire come dice qualcuno, con pessimo gusto, mettersi qualche pulloverino in più, ma chiudere circa il 50% delle fabbriche italiane per un po’ e fare saltare metà del mondo agro-alimentare del Paese con milioni e milioni di lavoratori senza più uno stipendio.
Di questo, non di altro, stiamo parlando perché abbiamo bisogno di almeno due anni per cercare di avvicinarci alla situazione pre-guerra. Imponendo anche un calendario di razionamenti sotto vigilanza militare e predisponendo un’organizzazione militare di distribuzione delle esigue risorse disponibili e di controllo sul loro utilizzo.
La seconda vittima designata è l’Europa perché alla fine del sacrosanto processo geopolitico di isolamento dal mondo occidentale della Russia di Putin macchiatasi di orrori criminali imperdonabili, tutti i Paesi europei liberati da questa dipendenza energetica si ritroveranno a pagare il gas il triplo di quello che pagano americani e cinesi. Ovviamente anche India e Russia staranno molto meglio di noi. Il che significa un divario strutturale di competitività da fare tremare vene e polsi anche in una globalizzazione acciaccata e da reinventare come è quella che ci aspetta dopo il doppio cigno nero della pandemia e della guerra. Questi sono i fatti, il resto sono chiacchiere politicanti a buon mercato di una classe politica priva di memoria storica, di cultura economica e di intelligenza politica.
Rimanendo al piano interno il continuo slittamento del documento di economia e finanza (Def) risente della evidentissima complessità della situazione. Perché ogni giorno che passa si annunciano nuove sanzioni, o almeno se ne parla e questo basta perché corrano i prezzi del petrolio e del gas e ieri ovviamente anche il prezzo di quel carbone che trovi ovunque che è riuscito a salire ai massimi in progresso del 5% in quanto unica materia prima sanzionata davvero. Ovviamente anche lo spread italiano nonostante gli acquisti di Banca d’Italia, dà piccoli segni di preoccupante risveglio da non sottovalutare. Diciamocela tutta. Siamo noi italiani a fronteggiare in prima linea e petto al vento il calendario di progressive sanzioni energetiche alla Russia anche perché tutti gli investitori del mondo sanno bene che colpo su colpo fanno terreno bruciato intorno all’economia italiana. Perché qui, di misura in misura, si sta decidendo se le acciaierie italiane e l’industria dell’automotive, tanto per fare qualche esempio, devono restare aperte o devono chiudere per settimane se non mesi.
Per questo il governo Draghi che è l’unico ad essersene accorto intervenendo prima con misure di politica industriale che non riescono neppure a trovare una riga sui giornali, e che nemmeno Confindustria aveva chiesto, deve avere ora il coraggio di scrivere un documento di economia e finanza (Def) di guerra perché la finta fiducia è peggio del realismo guidato. Bisogna decidere prima di tutto se e quando fare lo scostamento di bilancio, e soprattutto di quanto. Bisogna decidere se, quando e di quanto sostenere l’economia italiana dovendo evitare di cadere dentro il burrone di un’economia di guerra da recessione profonda che fa impennare il debito pubblico in rapporto a un prodotto interno lordo così deteriorato o se si è ancora in grado con 4/6 miliardi subito e molto di più poi dall’Europa subito dopo di raddrizzare la baracca prima della voragine.
Siccome tutti sanno che siamo alla vigilia di una situazione non difficile, ma complicatissima, perché ci sono due cigni neri nuovi che si aggiungono al cigno nero italiano del debito sovrano del 2011 e alla crisi finanziaria del 2008, tutto possiamo fare meno che gli struzzi. Nascondere la testa sotto la sabbia per tenere in piedi una finta fiducia che i fatti non spiegati e non contrastati stracciano ora dopo ora nella coscienza di tutti. No, questo no.
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