L'inaugurazione del nuovo ponte di Genova
6 minuti per la letturaIl Sud deve fare come Genova e Milano deve capire che la nuova Genova della rinascita è il Sud. Questo è il vero interesse strategico dell’Italia che coincide con l’interesse di Milano. Questo deve capire il sindaco Sala. Come Genova si sblocca con il terzo valico che la connette finalmente all’Europa così il Sud si sblocca con un sistema di alta velocità ferroviaria che finalmente lo riconnette all’Europa e così l’Italia diventa la porta dell’Europa nel Mediterraneo. Il senso strategico del Pnrr è fare molto, molto, molto di più negli investimenti su capitale umano, rete ultra veloce e transizione ecologica nel Mezzogiorno. Perché se non si recupera questo gap e non si investe qui dove si è più deboli sull’innovazione e sulla ricerca il Paese intero si ferma. Altro che “Sud-Sud-Sud, ma l’innovazione…”
Il Sud deve fare come Genova e Milano, deve capire che la Genova del futuro è il Sud. Questo serve al Sud e al Nord e, quindi, questo serve all’Italia. Questo devono capire una volta per tutte il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e il sindaco di Milano, Beppe Sala “traditi” da un fuori onda che esprime la loro delusione sul Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr).
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Simbolicamente come Genova si sblocca con i lavori del terzo valico così il Sud si sblocca con l’alta velocità ferroviaria. Come Genova è ripartita con il nuovo ponte Morandi così il Sud dovrà ripartire con il ponte di Messina. Volendo essere un tantino più analitici come Genova si sblocca con il terzo valico che la connette finalmente all’Europa così il Sud si sblocca con un sistema di alta velocità ferroviaria che finalmente lo riconnette all’Europa e diventa la porta dell’Europa nel Mediterraneo.
Queste sono le sfide cruciali di mobilità del Paese che vanno affrontate e vinte insieme. Questo su un piano più largo è il senso strategico del Piano nazionale di ripresa e di resilienza della rinascita italiana che finalmente si impegna a fare molto, molto, molto di più negli investimenti su capitale umano, rete ultra veloce e transizione ecologica nel Mezzogiorno. Perché se non si recupera questo gap e non si investe qui dove si è più deboli sull’innovazione e sulla ricerca il Paese intero si ferma. Altro che “Sud-Sud-Sud”, ma l’innovazione…” come dice Sala che invita Fontana “a farci un po’ più furbi su questa cosa” e a “fare un po’ più di sistema tra tutti”.
Spiace dovere ricordare a un sindaco che stimiamo molto che l’errore imperdonabile che ha bloccato lo sviluppo del Paese negli ultimi venti anni è stato una cultura che trapela dalle sue parole rubate. L’idea che l’innovazione si fa in un territorio e non in un altro. L’idea che qui i soldi fruttano e lì no. L’idea di prendere, prendere, prendere perché dall’altra parte c’è il buco nero. Il Pnrr esprime una cultura europea che spinge nella direzione opposta e finanzia la Nuova Ricostruzione perché lo squilibrio territoriale italiano che li preoccupa sia aggredito dove si manifesta.
Il punto decisivo di oggi è un altro: come ci si attrezza per ottenere questo risultato. Non ci può essere sempre un Renzo Piano che regala un progetto o una Fincantieri che si sostituisce a tutti. All’Italia, al Sud come al Nord, in misura più intensa al primo rispetto al secondo, serve una macchina pubblica capace di spendere le risorse in modo produttivo, onesto, convincente perché solo intorno a essa e alla sua capacità di produrre risultati concreti si può formare uno spirito nuovo.
Bisogna uscire dalla logica del federalismo della irresponsabilità dove cacicchi regionali del Sud e “capi di Stato ombra” del Nord si muovono sotto la spinta di interessi che inevitabilmente contrastano con l’interesse generale.
Paghiamo oggi la miopia di avere per venti anni consecutivi ridotto il diritto di cittadinanza sanitario, scolastico, infrastrutturale di un cittadino campano e pugliese a volte (soprattutto negli investimenti in sanità) alla metà di un cittadino milanese e addirittura a un quarto di quello emiliano-romagnolo. Si sono condannati territori importanti del Mezzogiorno a un arretramento civile prima ancora che economico e si sono finanziate le pratiche dell’assistenzialismo nei territori più ricchi. Si è tolto sviluppo al Sud per fare assistenzialismo al Nord. Si è fatto il male del Paese.
Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza è l’ultima storica occasione per fare l’esatto contrario di quello che si è fatto negli ultimi venti anni provando a riunificare le due Italie e dando alle sue avanguardie produttive una dimensione internazionale vincente dovuta alla crescita del mercato interno e alla rinnovata capacità di cogliere tutte le proiezioni internazionali nei nord e nei sud del mondo. La scelta di Stellantis di fare a Termoli la terza gigafactory dei veicoli elettrificati rientra in quella tradizione industriale lungimirante che spinse la famiglia Agnelli e il dottor Romiti a investire quando altri non lo facevano a Pomigliano d’Arco e a Melfi. C’è, soprattutto, però, il segno di un’azione di modernizzazione di tutti gli impianti del Mezzogiorno che volle con determinazione Marchionne. A Melfi come a Cassino come a Pomigliano d’Arco e in altri siti produttivi. Ricordo una discussione con Marchionne sulle piattaforme globali. Insistevo, sbagliando, sull’esigenza che Fiat-Chrysler desse subito un segnale al Paese producendo la prima nuova macchina in Italia. Ribatteva lui che la svolta sarebbe stata quella di inserire le fabbriche del Mezzogiorno modernizzate e innovate dentro le piattaforme globali con i tempi giusti per farne un asset dell’industria del futuro dell’oggi e del domani.
Questo ragionamento mi venne in mente quando tutti si affrettavano a dire che Stellantis avrebbe segnato l’uscita dell’Italia dalla produzione di auto. Ricordandomi le parole di Marchionne mi spinsi a dire che per il Mezzogiorno d’Italia il nuovo assetto sarebbe stata una grande opportunità. Perché le multinazionali globali scelgono di collocare i loro investimenti dove maggiori sono le opportunità e le scelte fatte in passato a favore di quegli stabilimenti spingevano in questa direzione.
Sappiamo benissimo che l’automotive, la meccanica di precisione e di qualità hanno collocazioni territoriali fuori dal Mezzogiorno e non ci stancheremo mai di difendere l’importanza di questi presidi globali di subfornitura di qualità. Deve, però, essere chiaro a tutti che è una fortuna assoluta per l’intero Paese che una grande multinazionale investa due miliardi e mezzo su Termoli sul business del futuro creando più occupazione così come a Melfi aumenti la produzione. Perché la riunificazione delle due Italie passa attraverso il miglioramento dell’ambiente infrastrutturale ma ha decisivo bisogno di capitali privati manifatturieri che prolunghino e stabilizzino la crescita produttiva. Bisogna rendersi conto che il consolidamento dell’economia privata dei territori del Mezzogiorno e la rinnovata capacità di attrazione di investitori internazionali sono la chance del futuro non del Mezzogiorno ma dell’Italia intera. Altrimenti si ritorna agli errori del passato e agli egoismi miopi che li hanno determinati.
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