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L’unico mercato di sviluppo che l’Italia ha è il Sud. Deve essere una priorità condivisa la necessità di favorire in ogni modo la crescita dell’economia privata dei territori meridionali. Perché solo facendo crescere l’industria privata e attraendo con condizioni di favore capitali privati internazionali si può determinare una crescita di lungo termine. Mentre la cabina di regia fa le scelte giuste sconcerta che si ponga il problema della non cumulabilità tra il credito di imposta per gli investimenti 4.0 con il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno erogati per compensare le diseconomie del territorio e favorire gli investimenti privati che portino alla coesione. Si pone il solito problema tecnico e, cioè, che entrambe le misure sono finanziate con i fondi del Pnrr mentre in passato la prima era finanziata con i fondi del bilancio pubblico nazionale. Senza spiegare che il risultato di questo ragionamento sulla non cumulabilità è che chi fa investimenti in innovazione al Nord non perde niente utilizzando un piano europeo con finalità di coesione e chi fa invece gli stessi investimenti di innovazione nel Mezzogiorno perde paradossalmente i crediti di imposta legati dichiaratamente, come è giusto, alla territorialità
C’è qualche residua difficoltà di grumi di potere più o meno lobbistici a capire che lo sviluppo del Mezzogiorno è lo sviluppo del Paese. Vogliamo sviluppare nuovi mercati e non siamo in grado di sviluppare i mercati che già abbiamo in casa. Vogliamo conquistare il mondo ma presentiamo il nuovo Frecciabianca in Sicilia come una rivoluzione con un tempo di percorrenza Palermo-Catania di oltre tre ore.
Ai soggetti privati che si propongono di fare il loro con la gomma nei territori meridionali abbandonati si contrappongono mille ostacoli perché “danneggerebbero” il trasporto pubblico locale – fallimentare se non inesistente – perché ne comprimerebbero il mercato in termini quantitativi. Quasi che rendere un servizio migliore ai cittadini e ridurre gli esborsi pubblici che paghiamo tutti noi per reti di trasporto locale malconce e disorganizzate fosse peccato.
Si ripete lo stesso, identico errore di quando si voleva contrastare la concorrenza privata nell’alta velocità ferroviaria perché si riteneva che dividesse in quote il mercato esistente e se ne sbandieravano le conseguenze di un pericoloso indebolimento del soggetto pubblico ferroviario e di una caduta degli investimenti pubblici sulla rete. Salvo poi constatare che la nuova concorrenza ha più che raddoppiato il mercato esistente dell’alta velocità ferroviaria italiana e favorito la crescita degli investimenti di sistema.
È semplicemente aumentato il numero di persone che invece di prendere la macchina ha deciso di muoversi in treno. L’ennesima dimostrazione quantitativa dell’efficacia della teoria liberale. Portiamo questo esempio perché è importante avere ben chiaro che l’unico mercato di sviluppo che l’Italia ha è il Sud. Il Nord deve capire che è suo primario vantaggio contribuire a fare in modo che le infrastrutture immateriali e materiali delle regioni meridionali recuperino l’abnorme ritardo frutto di miopi distorsioni della spesa pubblica e di incapacità tecniche diffuse sul territorio. Così come deve essere una priorità condivisa la necessità di favorire in ogni modo la crescita dell’economia privata dei territori meridionali perché solo facendo crescere l’industria privata e attraendo con condizioni di favore capitali privati internazionali si può determinare una crescita di lungo termine con tassi da miracolo economico.
Se questo è, come è, l’obiettivo strategico apprezziamo la decisione assunta nell’ultima cabina di regia per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) di autorizzare i Comuni in piena libertà a spendere il 10% di ogni progetto per assumersi lo specialista che serve e che loro non hanno per attuarlo. Così come apprezziamo il varo dell’impianto generale di assistenza tecnica messo su con apposite convenzioni che coinvolgono Cdp, Studiare Sviluppo, Consip e Invitalia.
Meno le Regioni mettono becco e più si attrezzano tecnicamente Comuni e assistenza centrale, più si lavora seriamente per superare il gap di capacità tecnica dell’amministrazione meridionale. Che è fondamentale per fare non a parole ciò che serve per migliorare la competitività dei territori visto che i piccoli progetti locali e i grandi progetti di rete e non hanno bisogno di amministrazioni locali che nel primo caso sappiano progettare in proprio e che, nel secondo, non intralcino la realizzazione dei grandi investimenti pubblici ferroviari, digitale ultra veloce, acquedottistici, in capitale umano come scuola, università, ricerca, in sanità e così via.
Poiché ci si muove in direzione opposta rispetto allo stesso obiettivo strategico siamo, invece, sconcertati dal fatto che si ponga il problema della non cumulabilità tra il credito di imposta per gli investimenti 4.0 con il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno erogati per compensare le diseconomie del territorio e favorire gli investimenti privati che portino alla coesione sociale. Si pone il solito problema tecnico e, cioè, che entrambe le misure sono finanziate con i fondi del Pnrr mentre in passato la prima era finanziata con i fondi del bilancio pubblico nazionale. Senza spiegare che il risultato di questo ragionamento sulla non cumulabilità è che chi fa investimenti in innovazione al Nord non perde niente utilizzando un piano europeo con finalità di coesione e chi fa invece gli stessi investimenti di innovazione nel Mezzogiorno perde paradossalmente i crediti di imposta legati dichiaratamente, come è giusto, alla territorialità.
Siamo di fronte all’ennesima manifestazione di potere di quel grumo di interessi lobbistici tanto radicati quanto miopi che sono sempre in azione per togliere aggiuntività e stabilità nelle condizioni di favore indispensabili perché cresca e si sviluppi un apparato produttivo privato nel Mezzogiorno all’altezza della sfida. Che è quella della riunificazione delle due Italie recuperando il grande mercato interno colpevolmente perduto che da troppo tempo penalizza in partenza l’Italia intera, unendo Nord e Sud del Paese nel declino.
Tutto ciò accade perché quel grumo di poteri lobbistici interno si sente in dovere di tornare a mettersi di traverso rispetto a un’Italia che, grazie a Draghi, ha recuperato credibilità internazionale al punto che ci sono capitali privati importanti pronti a fare loro il Ponte sullo Stretto? Perché non si vuole una crescita dell’economia legata ai traffici del Mediterraneo e al recupero di territori meridionali in questo senso strategici? Non è dato sapere. Quello che sappiamo con certezza è che queste letture ambigue sui crediti di imposta del Sud che riguardano peraltro anche investimenti già fatti devono sparire dal tavolo della discussione del governo con la velocità della luce. Se qualcuno ha sbagliato a interpretare si corregga all’istante perché così la coesione non si fa. Anzi, i capitali privati internazionali non arrivano e quelli del territorio se ne scappano.
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