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Il Pnrr è il motore da accendere per ripartire unendo Nord e Sud. Tre le condizioni fondamentali per centrare l’obiettivo. La prima è che si torni a parlare di filiere industriali e di capifiliere in una logica unitaria di Paese. La seconda è che il riequilibrio tra Nord e Sud nella spesa pubblica ordinaria e in quella per gli investimenti, dalla scuola alla sanità fino ai trasporti mettendo al primo posto il capitale umano, sia effettiva, riscontrabile, esigibile, potremmo dire frutto di una scelta comune che metta insieme condivisione, efficienza e lungimiranza. La terza condizione che è la più importante di tutte è che la società civile troppo a lungo silente del Mezzogiorno si risvegli e che questo risveglio si senta dalle sue università che sono all’avanguardia come dal suo mondo delle imprese che vive di mercato per diventare un blocco produttivo che faccia tutt’uno con una classe di amministratori che ha nel sindaco di Napoli e in quello di Bari i capifila di un nuova classe dirigente e di un nuovo modello organizzativo e operativo delle amministrazioni pubbliche meridionali
Siamo sempre meno soli e questo ci conforta. Dai oggi dai domani sono sempre di più quelli che hanno capito che l’Italia si salva se si salva il Sud. Anzi, direi meglio al contrario, l’Italia intera del regionalismo predone che ha diviso il suo popolo in due Paesi con un reddito pro capite dell’uno che è la metà dell’altro e ha regalato a ricchi e poveri la crescita zero, può salvarsi solo se cambia quasi tutto a partire dalla sua macchina pubblica centrale e territoriale, se ritrova lo Stato e una visione industriale di Paese, e soprattutto se dimostra di essere capace di iniziare il proprio viaggio di rinascita partendo dalle stazioni più abbandonate che sono quelle del Mezzogiorno.
La Corte costituzionale che dialoga in modo naturale con il Parlamento e con il governo si esprime attraverso le motivazioni delle sue sentenze e non le manda a dire. Il messaggio è chiarissimo: bisogna fare subito i livelli essenziali di prestazione (Lep) perché senza riconoscere i diritti di cittadinanza di venti milioni di persone è impossibile garantire un’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza equa e efficiente. Ernesto Galli Della Loggia e Aldo Schiavone in “Una profezia per l’Italia-Ritorno al Sud” edizioni Mondadori mostrano consapevolezza della questione centrale del Paese e si inseriscono nel solco della coerenza meridionalista degasperiana sollecitata da questo giornale da circa tre anni che il governo di unità nazionale guidato da Draghi manifesta negli atti, non nelle parole, e che noi vorremmo diventasse il motore propulsivo di una nuova classe meridionale che abbracci i sindaci della prima linea e le loro burocrazie come il tessuto produttivo, universitario e sociale della comunità del Mezzogiorno.
Tutto questo può avvenire, però, solo a determinate condizioni. La prima è che si torni a parlare di filiere industriali e di capifiliere in una logica unitaria di Paese. La seconda è che il riequilibrio tra Nord e Sud nella spesa pubblica ordinaria e in quella per investimenti, dalla scuola alla sanità fino ai trasporti mettendo al primo posto il capitale umano, sia effettivo, riscontrabile, esigibile, potremmo dire frutto di una scelta comune che metta insieme condivisone, efficienza e lungimiranza. La terza condizione che è la più importante di tutte è che la società civile troppo a lungo silente del Mezzogiorno si risvegli e che questo risveglio si senta dalle sue università che sono all’avanguardia come dal suo mondo delle imprese che vive di mercato per diventare un blocco produttivo che faccia tutt’uno con una classe di amministratori che ha nel sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e in quello di Bari, Antonio Decaro, i capifila di un nuovo modello organizzativo e operativo delle amministrazioni pubbliche meridionali.
Parliamoci chiaro, non è più tempo di chiacchiere o di tattiche strumentali come quelle messe in scena dai partiti a fini elettorali su una manovra che con otto miliardi può fare esattamente quello che sta facendo evitando di frazionare tutto in tanti inutili manifestini elettorali. Il Paese tutto deve capire che se il Pnrr sarà dato in mano alle grandi imprese europee tecnologiche che ovviamente subappalteranno tutto avremo perso l’ultima occasione che l’Italia intera ha per ripartire unendo Nord e Sud. Abbiamo appreso con piacere che Cassa depositi e prestiti ha tolto due miliardi da Patrimonio Rilancio, che potremmo definire “soldi al vento” di passate gestioni Cdp, per sviluppare venture capital raccogliendo 1,5 miliardi e avendo una mission molto chiara. Che è quella di fare in modo che queste nuove imprese di tecnologia italiana crescano per rimanere e fare rete, non per essere vendute al primo giro di boa al primo fondo americano che permette agli ideatori di fare cassa e passare alla bella vita senza lasciare nulla di tecnologico al nostro Paese.
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Per avere delle filiere devi avere dei capifiliere. Dalle telecomunicazioni ai treni fino allo spazio e alla cantieristica e a molto altro questo ragionamento deve precedere e accompagnare le scelte del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Così come lo stesso ragionamento deve precedere e accompagnare la allocazione delle risorse per investimenti in sanità, scuola e trasporti nei territori meridionali che hanno solo questa occasione per provare a recuperare il divario strutturale altrimenti irrecuperabile per sempre. Siamo capaci o no di fare noi fondi tematici per finanziare le start up nell’aerospazio in uscita da Leonardo? Siamo d’accordo o no che i siluri di Oto Melara devono rimanere in casa e fare massa con Fincantieri? Siamo capaci di tornare a ragionare con una logica di insieme intorno ai nostri grandi pivot energetici che sono Eni e Enel ma facendo massa con SNAM nella ricerca sull’idrogeno, Terna nelle strategie di accumulo e Leonardo sulla elettronica e nella cyber sicurezza?
Vogliamo farlo sì o no un ragionamento sulla Tim di oggi che da essere una delle più belle Telecom di ieri rischia di diventare terreno di scontro tra fondi americani e finanzieri francesi e che tutto ciò rischia di ritardare l’investimento strategico per l’Italia nella rete della banda larga ultraveloce? Vogliamo riappropriarci, valorizzando la quota di Cdp e le risorse messe a disposizione dall’Europa, la leadership tecnologica italiana? Vogliamo fare altrettanto con quello che ancora abbiamo nella tecnologia ferroviaria e in quella spaziale guardando al mondo con gli occhi di un Paese che vuole tornare unito ad essere competitivo?
Dopo tante chiacchiere a vuoto il governo Draghi è stato il primo a varare i livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) che riguardano il cuore della questione civile, prima che sociale e economica, della riunificazione delle due Italie spostando due e passa miliardi sul Mezzogiorno per fare asili nido e servizi di assistenza sociale agli anziani. Questo è il modello che deve riguardare l’uscita del Paese dal federalismo miope della irresponsabilità proseguendo su questa strada per definire i livelli essenziali di prestazione nella scuola come nella sanità e nei trasporti per tutti i cittadini italiani facendo cadere la barriera di inciviltà che separa il casello tra quelli che sono in serie A e quelli collocati in serie B.
Ha ragione la ministra Carfagna che definisce questa, in un’intervista al nostro giornale, la madre di tutte le battaglie. Per la prima volta qualcosa di serio sta cominciando a muoversi e anche i timori sui bandi come avevamo previsto si stanno fugando perché le quote sono quasi sempre molto superiori al 40% che si riteneva in bilico. Attenzione, però, il Mezzogiorno utilizzi tutti gli aiuti messi a disposizione da Agenzia della coesione a Cdp e si organizzi comunque costi quel che costi perché non può fallire la prova della progettazione e della esecuzione. La politica si ricordi che mentre si dipana la lunga matassa dei livelli essenziali di prestazione il pieno degli investimenti finanziati dall’Europa nella sanità come nella scuola lo deve fare il Mezzogiorno e questo pieno di risorse deve essere speso presto e bene.
Altrimenti si ritorna alle miopie di prima che indeboliscono alla lunga ricchi e poveri. Perché i primi diventano sempre meno ricchi e i secondi passano tout court alla fame. Dopo decenni di dimenticanze e di incapacità non si riduce il divario nella sanità e nella scuola con la gradualità delle mezze misure e, soprattutto, si pregiudica il salvataggio dell’intero Paese. Perché non si consegue il primo degli obiettivi strategici del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che è quello di ridurre le disparità territoriali. Non si esce dal fossato, anzi si sprofonda tutti un po’ di più. Questo almeno ricordiamocelo.
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