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Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, in una recente visita all'azienda Masmec di Modugno (Bari)

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La tecnologia non è solo studio, va collocata nelle imprese. Cammina sulle gambe di chi sa farla camminare. Perché ha testa. Perché ci crede. Perché si organizza. Attenzione, però: la tecnologia vive di primati, di standard conseguiti, ma deve avere dietro un sistema Paese, nazionale innanzitutto, che asseconda e favorisce questa crescita. Riusciremo a consolidare le attività strategiche di alta tecnologia italiana attraverso gli investimenti del Pnrr offrendo non a parole prospettive di lavoro qualificato al talento giovanile italiano? Telecomunicazioni, treni, spazio, missili, digitale, transizione ecologica: abbiamo con il Pnrr l’occasione unica di valorizzare i nostri primati

Qui non si parla più di microeconomia industriale. Fondiamo questo con quello. Cerchiamo di tornare in questo settore. La tecnologia non è solo studio, va collocata nelle imprese. Cammina sulle gambe di chi sa farla camminare. Perché ha testa. Perché ci crede. Perché si organizza. Attenzione, però: la tecnologia vive di primati, di standard conseguiti, ma deve avere dietro un sistema Paese, nazionale innanzitutto, che asseconda e favorisce questa crescita. Deve avere dietro anche un sistema sovranazionale, europeo certo dentro una partita che è globale e richiede alleanze strategiche, peso politico e dimensioni adeguate. Nel senso, ecco il punto, che quel sistema nazionale fatto di primati tecnologici e di lavoro di squadra del Paese si deve vedere anche lì.

Allora, pongo la domanda: teniamo conto di tutto ciò all’interno del Piano nazionale di ripresa e di resilienza? Sì o no? Telecomunicazioni, treni, cantieri, spazio e missili, digitale e transizione ecologica: come ci muoviamo? Quali sono gli interessi nazionali? Esistono e sono tutelati ovviamente dentro le regole? Anche qui, domando: sì o no? Quali sono gli accordi internazionali? Con chi, per fare che cosa? Chi si prende questo o quello del nostro aerospazio? Che ci prendiamo noi? Che facciamo noi e insieme a chi? A chi andranno Oto Melara e Wass, le due aziende del settore militare messe in vendita da Leonardo? Al consorzio franco-tedesco Knds, che ha fatto un’offerta strutturata, o alla Fincantieri che ha fatto un’offerta incentrata sulla “tutela dell’italianità” delle due società? È vero o no ciò che ha detto l’amministratore delegato di Cdp, Dario Scannapieco, quando sostiene che Fincantieri esprime un grandissimo contenuto tecnologico? Vogliamo che cresca ancora questo contenuto? Che valorizzi ulteriormente le due società italiane messe in vendita?

Avevamo in casa nostra tre aziende leader a livello internazionale, Fiat Ferroviaria, Breda e Ansaldo. Ricordo gli occhi di Airaghi, il mitico direttore dell’ufficio studi di Finmeccanica quando mi parlava una vita fa dei nostri gioielli. Non esistono più, questi gioielli italiani sono diventati pezzi importanti della francese Alstom e della giapponese Hitachi. Ne paghiamo le conseguenze perché abbiamo perso una filiera completa di lavori di eccellenza nel mondo e non contribuiamo più a definire gli standard che incidono sulla vita di tutti i cittadini che sono decisi altrove.

Abbiamo oggi in casa una sola multinazionale italiana, che si chiama MER MEC Spa, appartiene al gruppo Angel, è l’unica tra le sette riconosciute in Europa per il segnalamento, è leader mondiale nella produzione di Treni Diagnostici high tech in 66 nazioni. Ha fatto acquisizioni importanti e sta crescendo nella parte tecnologica di segnalamenti a bordo treno, ha vinto gare in undici nazioni.

Questa multinazionale ha il suo quartier generale a Monopoli – Puglia, Italia – e società controllate in tutta Italia e negli Stati Uniti, in India, in Cina, in Europa ovunque, ha clienti in 45 Paesi nel mondo. Pongo una domanda semplice semplice: può essere il Pnrr un’occasione di crescita per questa multinazionale della tecnologia del segnalamento che è un vanto italiano e ha la testa nella regione che ha il primato italiano dei progetti del Pnrr e può contribuire a raggiungere il primo obiettivo del piano europeo che è quello di colmare le disparità territoriali? Può essere un’occasione per consolidare i primati tecnologici e recuperare un ruolo italiano nella definizione degli standard globali? Parliamoci chiaro: ci siamo posti almeno il problema in una logica di microeconomia industriale all’interno del Pnrr che è giustamente segnato dalla digitalizzazione e transizione ecologica dove treni superveloci e bande larghe ultraveloci richiederanno sempre più tecnologia? Riusciremo a consolidare le attività strategiche di alta tecnologia italiana attraverso gli investimenti del Pnrr offrendo non a parole prospettive di lavoro qualificato al talento giovanile del nostro Mezzogiorno? Ci poniamo almeno il problema come Paese che una cosa è essere protagonisti di questi processi e un’altra comprimari a volte rispettati a volte no?

Ancora: che cosa vogliamo fare della nostra Tim, erede minuscola della grande Stet italiana che dominava nelle telecomunicazioni mondiali? È diventata terreno di scontro tra un fondo di private equity americano, Kkr, e la Vivendi del finanziare francese Bolloré? Questa situazione può essere una formidabile occasione, diremmo quasi un’opportunità, per fare in modo che la Cassa depositi e prestiti (Cdp) recuperi la sua centralità non solo nella rete della banda larga ultraveloce, ma anche per favorire il recupero di una leadership tecnologica italiana in uno dei settori strategici che appartengono alla grande storia di questo Paese? Possono essere proprio i sussidi e i prestiti a tassi di favore europei accordati al Pnrr italiano, ripeto italiano, una formidabile opportunità per recuperare ora un ruolo globale italiano nella tecnologia proprio attraverso Cdp? Chiedendole di intervenire all’inizio del processo, non alla fine quando americani e francesi avranno cercato di estrarre il massimo di valore per sé frazionando i business e sminuendo le potenzialità della nostra tecnologia?

Con la consueta chiarezza il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato tra i pochissimi a parlare di “protezione dell’occupazione e della tecnologia all’interno di Tim e di varie componenti della società” oltre che “di protezione della rete e delle infrastrutture”. Non solo, ha aggiunto, il governo analizzerà questa offerta e altre varie future, ma ha anche annunciato che “per questo straordinario caso il governo ha creato un comitato di ministri per esaminare la gestione delle telecomunicazioni”. Di queste impegnative dichiarazioni, che mostrano piena consapevolezza della strategicità della questione, abbiamo apprezzato più di tutto l’esplicito riferimento alla protezione della tecnologia perché è da qui che il Paese può ripartire o no. Perché è su questo terreno che andrà anche valutata l’attuazione degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza ai fini della Nuova Ricostruzione. Che potrà svolgere un ruolo di riunificazione infrastrutturale delle due Italie ma esattamente come avvenne nella Ricostruzione del Dopoguerra si deve anche porre il problema di fare crescere le leadership tecnologiche italiane attraverso questa montagna di investimenti che non potrà ripetersi.

Questo è il senso più profondo della responsabilità politica per l’oggi e per il domani. Ci è venuto di fare questa riflessione nel giorno della firma del trattato del Quirinale a Roma tra Francia e Italia. Che ha un contenuto storico e è un passaggio importante per favorire la crescita della Nuova Europa della coesione sociale. Che vuol dire, tra l’altro, porre mano all’inevitabile revisione di quelle regole europee di bilancio pro cicliche che hanno prodotto già danni gravissimi e che ora si collocano fuori dalla storia. In questo, però, come in tutti gli altri punti, a partire da quelli strategici dei rapporti con il Mediterraneo e l’Africa e delle alleanze industriali, praticamente tutto dipenderà dagli uomini che dovranno gestire il Trattato ai massimi livelli di responsabilità. Dipenderà da quello che sapremo fare noi e da quello che sapranno fare loro.

A noi oggi interessa qui richiamare l’attenzione dell’uomo che ha salvato l’euro e che incarna lo spirito forte del multilateralismo, Mario Draghi, sui contenuti strategici del Piano nazionale di ripresa e di resilienza italiano che si deve in gran parte alla spinta del suo governo di unità nazionale ma che avrà successo se diventerà patrimonio comune della politica come dell’amministrazione e delle forze sociali. Il primo contenuto, il più strategico di tutti, sarà la tutela e la valorizzazione delle leadership tecnologiche italiane. Perché queste, non altre, saranno nel futuro il biglietto da visita dell’Italia.


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