Mario Draghi
5 minuti per la letturaI fatti ci dicono che dopo tre trimestri, dati ISTAT, la crescita acquisita dell’Italia nel 2021 è del 6,1%. Questa legge di bilancio ha il contenuto della crescita incorporato e lo declina in una prospettiva di lungo termine e di riequilibrio territoriale tra Nord e Sud con provvedimenti vincolanti. Perché questa legge di bilancio decide di dare vita a un fondo pluriennale di investimenti pubblici da 540 miliardi che dura fino al 2036, ma soprattutto ce ne mette 89 di aggiuntivi ora, non domani. Mette altri 23,3 miliardi del fondo di sviluppo e di coesione che viene accelerato con 3 miliardi annui fino al 2028 e 2,5 miliardi per il 2029. Questo vuol dire mettere in sicurezza un Paese che deve continuare a crescere a ritmi molto elevati anche dopo il Pnrr se vuole trovare una via di uscita dal maxi debito pubblico. Il sindacato deve stare molto attento ad andare contro il vento nuovo che spira ormai forte nel Paese e che capisce che le difese corporative non hanno più senso. Lo testimoniano gli elogi di Biden a Draghi per avere prodotto un nuovo modello economico e avere dimostrato che le democrazie funzionano
Quota 102 per le pensioni solo per il 2022 è un provvedimento che chiude con il passato del mondo antico italiano dei privilegi a chi sta meglio e della crescita negata ai giovani. È lo spartiacque finale prima del passaggio al contributivo pieno. È un provvedimento, quota 102, che è pari a meno di un trentesimo della manovra espansiva da 30 miliardi del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, ma occupa quasi il 100% del dibattito della pubblica opinione sulla legge di bilancio.
Gli altri ventinove trentesimi raccontano la coerenza espansiva della manovra che salva il Paese e getta le basi di lungo termine del nuovo miracolo economico italiano, ma sono banditi dal dibattito della pubblica opinione che ha la caratteristica patologica di ignorare tutto ciò che costruisce il futuro. Sono i colpi di coda di un regime mediatico-politico che si nutre di rumore, insegue e spaccia la fuffa. Fugge come un coniglio impaurito di fronte alla verità rocciosa dei fatti e alla sua complessità.
I fatti ci dicono che dopo tre trimestri, dati ISTAT resi noti ieri, la crescita acquisita dell’Italia nel 2021 è del 6,1%. Gli indicatori anticipatori del quarto trimestre ci dicono che sarà come sempre un po’ più contratto e che sconterà i colli di bottiglia dell’offerta delle materie prime, ma sarà ugualmente in crescita. Premesso che l’onda lunga a nostro avviso è forte e non si fermerà perché la risposta italiana alla campagna di vaccinazione è più resiliente di ogni opposizione ideologica più o meno organizzata, possiamo sin da ora dire che una crescita del 7% e probabilmente oltre è assolutamente alla portata dell’Italia. Quindi l’anno del governo di unità nazionale coincide con una crescita che verrà raccontata nei libri di storia tra le annate d’oro del secondo miracolo economico che competono e superano molte di quelle del primo miracolo economico.
La cosa più importante, per quanto vi potrà sembrare paradossale, non è questo risultato da libri di storia. La cosa più importante è che come sempre Draghi è stato di parola. Ha detto: le misure che servono per la crescita entreranno in questa legge di bilancio e quelle che non servono non entreranno. È stato così, ma con qualcosa in più. Questa legge di bilancio ha il contenuto della crescita incorporato e lo declina in una prospettiva di lungo termine e di riequilibrio territoriale tra Nord e Sud non come declamazione ma con provvedimenti vincolanti. Perché questa legge di bilancio, non altre, decide di dare vita a un fondo pluriennale di investimenti pubblici da 540 miliardi che dura fino al 2036, ma soprattutto ce ne mette 89 di aggiuntivi ora, non domani.
Questo vuol dire mettere in sicurezza un Paese che deve continuare a crescere a ritmi molto elevati anche dopo il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) se vuole trovare una via di uscita concreta dal vincolo del suo maxi debito pubblico.
Questa legge di bilancio stabilisce che i bonus edilizi del 50 e del 65% dureranno tre anni e non uno e permette, dunque, di stabilizzare in un arco di tempo triennale la misura espansiva. Questa legge di bilancio, soprattutto, si muove in coerenza assoluta con l’ultimo decreto attuativo del Recovery Plan che blinda con pragmatismo normativo e assistenza tecnica a 360 gradi le capacità progettuali e esecutive del Mezzogiorno oggi insufficienti. Ci mette, peraltro, altri 23,3 miliardi del Fondo di sviluppo e di coesione che viene accelerato con 3 miliardi annui fino al 2028 e 2,5 miliardi per il 2029. Come dire: questa è la direzione nella quale dobbiamo andare.
Così come chiudere, da un lato, la stagione degli onerosissimi regali a chi vuole andare in pensione con i soldi del retributivo, cioè, di tutti noi a un’età incompatibile con l’allungamento dei tempi di vita e con la sostenibilità di lungo termine del nostro debito pubblico e scommettere, dall’alto, come non avveniva da decenni sull’abbattimento di dodici miliardi della pressione fiscale significa fare una manovra espansiva che guarda all’oggi, al domani e al dopodomani. Soprattutto, la coerenza espansiva effettiva di questa legge di bilancio con i programmi di intervento di lungo termine di investimenti pubblici europei e italiani ci dice che trasformare il rimbalzone in una crescita strutturale che unisca il Paese e duri a lungo oggi è possibile. Il sindacato deve stare molto attento ad andare contro il vento nuovo che spira ormai forte nel Paese e che capisce che le difese corporative non hanno più senso.
Gli elogi di Biden a Draghi per avere prodotto un nuovo modello economico e avere dimostrato che le democrazie funzionano non appartengono alla ordinaria amministrazione. La fatica silenziosa di costruire in questo G20 presieduto da Draghi la base di qualcosa che sia consacrata poi a Glasgow nel Cop26 copresieduto da Draghi in tema di lotta al cambiamento climatico, di strumenti e di risorse finanziare, non appartiene anche questa alla ordinaria amministrazione. Sono terreni difficili dove è facile scivolare perché la durezza degli interessi in gioco è un dato di fatto. Non cogliere, tuttavia, il rispetto e la considerazione che il capo del governo italiano riscuote sulla ribalta internazionale è impossibile. Anche perché a questi due elementi si deve il fatto che oggi l’accoglienza dell’Italia nel mondo è cambiata. Siamo diventati tutti più credibili. Non è poco.
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Vale forse la pena di fare tre puntualizzazioni:
1. Quota 100 è stata l’eccezione al contributivo pieno soltanto nel senso che ha sostituito per tre anni il varco d’uscita stabilito dalla normativa pensionistica (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi per il pensionamento di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi di contributi per il pensionamento anticipato a prescindere dall’età anagrafica, un anno in meno per le donne), stabilendo un minimo di 62 anni di età e 38 anni di contributi.
2. Poiché, dopo le parole di Draghi del ritorno al contributivo pieno, tutti parlano di “ritorno alla Fornero”, segnalo che il metodo contributivo è stato introdotto dalla Riforma Dini (L. 335/1995); la Riforma Fornero lo ha soltanto esteso, pro-rata dal 1.1.2012, a coloro che erano stati esclusi dalla Riforma Dini, cioè coloro che al 31.12.1995 avevano almeno 18 anni di contributi, tutti relativamente anziani e (nel 2011) ormai in pensione o prossimi al pensionamento.
Al riguardo, poiché questa BUFALA è stata ripetuta da RGS nell’ultima NADEF, si veda la mia recente
lettera alla Ragioneria Generale dello Stato.[1]
[1] Lettera n. 4 alla Ragioneria Generale dello Stato sulla sua BUFALA (almeno) semestrale sulla Riforma delle pensioni Fornero
https://vincesko.blogspot.com/2021/10/lettera-n-4-alla-ragioneria-generale.html )
Dalla quale riporto:
«(ESTENSIONE METODO CONTRIBUTIVO)
2) Il processo di riforma ha previsto altresì l’estensione, a partire dal 2012, del regime contributivo a tutti i lavoratori.
Si tratta dell’estensione pro-rata, a decorrere dall’1.01.2012, con l’art. 24, comma 2, del metodo contributivo NON “a tutti i lavoratori”, ma soltanto a quelli che erano esclusi dalla riforma Dini del 1995, che lo ha introdotto, cioè coloro che avevano un’anzianità contributiva al 31.12.1995 di almeno 18 anni, tutti relativamente anziani e ormai già tutti in pensione.
Questa è la misura della Riforma Fornero meno incisiva e più sopravvalutata da tutti. Come si ri-vede, anche dal Ministero dell’Economia e Finanze. Valga a dimostrarlo il previsto risparmio dalla mera estensione del metodo contributivo (mentre la vulgata è che la Riforma Fornero abbia salvato i conti pensionistici sostituendo il contributivo al retributivo per tutti), quantificato dalla relazione tecnica,[2] relativamente al periodo dal 2012 al 2018, in, rispettivamente, (al netto fisco) 5, 24, 39, 70, 116, 169 e 216 milioni, numeri che dimostrano la scarsissima incidenza della misura, pari ad appena l’1 per cento circa del risparmio annuo accreditato alla Riforma Fornero, e ormai azzeratosi.
[2] Relazione tecnica legge 214/2011 (pag. 46)
https://democraticieriformisti.files.wordpress.com/2011/12/relazione-tecnica.pdf#page=46 »
3. La BUFALA descritta sopra è una delle tante che circonda la Riforma delle pensioni Fornero, che è diventata essa stessa da oltre un lustro una BUFALA prima nazionale e poi mondiale, che contrasto da solo.[3] Una vera fatica di Sisifo.
[3] LA RIFORMA DELLE PENSIONI FORNERO È UNA BUFALA MONDIALE
https://vincesko.blogspot.com/2021/10/la-riforma-delle-pensioni-fornero-e-una.html