Il Presidente del Consiglio Mario Draghi durante la conferenza stampa sulla manovra
5 minuti per la letturaMario Draghi ha tenuto il punto. Le misure che servono per la crescita entreranno nella legge di bilancio. Le misure che non servono per la crescita non entreranno nella legge di bilancio. È andata così. Anzi, no. Ha fatto di più. Una legge di bilancio espansiva che pone il Mezzogiorno, i giovani e le donne al centro di tutti i programmi come non è mai stato fatto nella storia repubblicana italiana. Siamo oltre la coerenza meridionalista degasperiana per le quantità in gioco e per la cura della qualità di tutto ciò che serve perché questa quantità di risorse si traduca in interventi effettivi di sviluppo e di spesa sociale nelle regioni meridionali. A tre mesi dalle elezioni del nuovo Capo dello Stato questa legge di bilancio ha un contenuto rivoluzionario per le solite pratiche italiane
Mario Draghi ha tenuto il punto. Le misure che servono per la crescita entreranno nella legge di bilancio. Le misure che non servono per la crescita non entreranno nella legge di bilancio. È andata così. Anzi, no. Ha fatto di più. Molto di più. Siamo davanti a una legge di bilancio espansiva, in piena coerenza con gli altri provvedimenti come il Documento di economia e finanza e il Piano nazionale di ripresa e di resilienza, che taglia di 12 miliardi le tasse nell’anno e di 40 nel triennio, migliora significativamente la spesa sociale, stimola gli investimenti privati e pone il Mezzogiorno, i giovani e le donne al centro di tutti i programmi di interventi di spesa pubblica produttiva come non è mai stato fatto nella storia repubblicana italiana.
Parliamo di 540 miliardi di investimenti pubblici in un quindicennio diretti a conseguire prima di ogni altro l’obiettivo di colmare il divario tra Nord e Sud. Siamo molto oltre la coerenza meridionalista degasperiana per le quantità in gioco e per la cura della qualità di tutto ciò che serve perché questa quantità di risorse si traduca in interventi effettivi di sviluppo e di spesa sociale nelle regioni meridionali.
Riprendo le parole di Mario Draghi: abbiamo un programma di edilizia scolastica molto grande, molto innovativo, molto equo che tende a colmare il divario Nord e Sud con un formato standard progettato da grandi architetti che metta i piccoli comuni nelle condizioni di poterne beneficiare. Questa intenzione era stata anticipata dal nostro giornale in assoluta solitudine e scorgiamo in tale approccio un meridionalismo fattivo che prende coscienza della realtà e non si ferma di fronte alle debolezze tecniche e operative. Perché se continuiamo a guardarci l’ombelico e a ripeterci che non abbiamo gli uomini capaci di fare i progetti, possiamo solo aumentare il conto della lamentela che è quello in cui siamo maestri.
No, questa volta, le cose si vogliono fare per davvero e quindi si adotta un formato standard fatto da grandi architetti che vale anche per chi non ha né grandi architetti né buoni geometri. Così si può seriamente pensare di fare quello che per decenni non si è fatto e bisogna fortemente crederci. A tre mesi dalla elezione del nuovo Presidente della Repubblica e alla vigilia di un anno elettorale che precede le consultazioni politiche questa coerenza ha un contenuto rivoluzionario per le solite pratiche italiane.
Draghi ha tenuto il punto sulle pensioni e sui privilegi che debbono finire perché la sostenibilità del debito pubblico è legata alla spesa previdenziale e ogni euro indebito consumato su questa voce è sottratto al futuro dei nostri giovani (quota 100 costava 10 miliardi l’anno) e pesa sulla reputazione dei titoli sovrani che pagano tutti mentre il saldo positivo del privilegio lo incassano in pochi.
Draghi ha tenuto il punto sulla revisione del reddito di cittadinanza che non vuol dire l’azzeramento renziano del provvedimento più volte richiesto, ma strutturalizzarlo per quello che deve essere e è necessario che sia – un sostegno a chi non ha reddito – e immunizzarlo altresì dalle derive assistenzialiste con controlli efficaci e taglio brutale delle possibilità di rifiuto di occasioni di lavoro. Con una postilla ancora più esplicativa della rotta di governo che prevede che ogni euro così risparmiato andrà direttamente alla riduzione delle tasse.
Anche questo significa legge di stabilità della crescita. Che vuol dire taglio della spesa corrente e delle sue componenti assistenziali a sostegno della discesa dei prelievi fiscali e contributivi e degli investimenti pubblici e privati. Draghi ha tenuto il punto sulla necessità di un intervento consistente, elevato addirittura a dodici miliardi, per affrontare uno dei nodi strutturali che stringe al collo l’economia del Paese e, cioè, l’abnorme carico di prelievi fiscali e contributivi. Cosa che si può fare solo se hai la forza di resistere alle solite pressioni delle mille lobby italiane che hanno sempre qualche interesse clientelare da farsi finanziarie e alle quali la classe politica italiana si è, purtroppo, mostrata sempre sensibile.
Fa tutto questo Draghi perché l’Europa del debito comune consente di operare, dandoti le risorse che servono, ma lo fa soprattutto per la chiarezza delle idee e la fermezza nel tenere la rotta che gli sono proprie. Che sono quelle di chi ha la consapevolezza che dal problema del debito pubblico e dal problema delle prestazioni sociali inadeguate si esce solo attraverso la crescita che quest’anno sarà ben oltre il 6 per cento e che dovrà mantenersi a livelli molto alti anche negli anni a venire. Che sono quelle di chi ha la consapevolezza che non c’è crescita senza coesione sociale e senza equità. Siamo curiosi di vedere chi e con quali argomenti potrà remare contro questa legge di bilancio della crescita e la coerenza che esprime con tutti i provvedimenti economici fin qui adottati. Quelli che fanno crescere l’Italia di ben oltre il sei per cento.
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Ottima l’idea dei formati standard fatto da grandi architetti. Non lo facevano i nostri grandi antenati, i Romani? Poi imitati durante il ventennio fascista. Da un saggio di un francese sulla vita di Mussolini, appresi che il Duce era un appassionato di architettura e seguiva personalmente i progetti.
Il formato standard veniva, ad esempio, applicato nel caso dei Dopolavori (https://www.beniculturalionline.it/profile-579594168775840.php ); diversi anni fa ne scoprii per caso un esempio magnifico a Scafati, in provincia di Salerno, inclusi i mobili e le lampade originali della sala biliardo. O per le fattorie agricole nelle Colonie (come in Libia). O, con valenza artistica di alto livello e stili variegati, per i palazzi in tutta Italia (v. Napoli, dove anni fa, nell’ambito del Maggio dei Monumenti, partecipai ad una interessante visita guidata) o in Eritrea, ad Asmara, la piccola Roma.
Ai formati standard fatti da grandi architetti, appunto io penso quando propongo un Grande Piano Pluriennale di Alloggi Pubblici di Qualità, che purtroppo è assente anche dal PNRR. Relegando l’Italia, con appena 600.000 case popolari (cat. A/4) e ultrapopolari (cat. A/5), pari ad un misero 1,5% sul totale dei 35 milioni di immobili residenziali, all’ultimo posto in UE. Basti dire che in Olanda, che occupa il primo posto, si arriva al 32%, in Austria al 23%, in Danimarca al 19% e in Francia al 16%. Ho già segnalato che in Francia, nel 2010, ed è il record, sono stati costruiti 131.500 case popolari, cioè quante in Italia, al ritmo attuale (1.000 all’anno, secondo Federcasa-Nomisma, 2016, di cui 200 al Sud), se ne costruiscono in ben 130 anni.